Balbo Italo

Quartesana, 6 giugno 1896

Nasce in una famiglia piccolo-borghese. Gli studi ginnasiali sono per Balbo incostanti, iniziando ben presto a frequentare gli ambienti rivoluzionari e repubblicani della città: è attratto dalle idee mazziniane e si iscrive così al Partito repubblicano, per poi entrare nella massoneria (fino al 1923). Di animo sicuramente acceso, nel 1910 Balbo si arruola volontario per la spedizione a favore degli albanesi contro gli ottomani, che però è abortita. Seppure ancora molto giovane, egli collabora già con la ravennate Voce Mazziniana, con il democratico radicale La Provincia di Ferrara, e con il sindacalista La raffica, mentre nel 1913 fonda insieme a Giuseppe Ravegnani la rivista letteraria intitolata Vere Novo. Al contempo Balbo capeggia praticamente ogni manifestazione studentesca e tiene spesso discorsi durante le manifestazioni irredentistiche: per questo il padre lo invia a San Marino per completare gli studi, dopo i quali continua a prendere parte a manifestazioni, anche a Milano, dove conobbe Mussolini e inizia a collaborare con il Popolo d’Italia. Nel capoluogo lombardo Balbo soggiorna presso il fratello più grande Edmondo. Ex sindacalista rivoluzionario ferrarese e interventista convinto, Edmondo aderisce al Fascio d’avanguardia milanese e collabora con il giornale La Giovane Italia, frequentandone con il fratello più piccolo la redazione. Con la guerra, Balbo poteva seguire le proprie idee interventiste, arruolandosi così volontariamente per il fronte: diventa sottotenente degli Alpini, e comanda nel 1918 il reparto arditi del battaglione Pieve di Cadore sul Monte Grappa, guadagnando due medaglie d’argento e una di bronzo. Nel frattempo, segue un corso da pilota a Torino, prima di Caporetto. Prima della smobilitazione, Balbo assume a Udine la direzione del settimanale L’Alpino, sul quale inizia una violenta battaglia contro i socialisti e a favore dell’impresa di Fiume. Smobilitato, Balbo porta a termine il ciclo dei suoi studi, laureandosi a Firenze nel 1920 con la tesi Il pensiero economico e sociale di Mazzini. È questo il momento in cui torna a Ferrara, alla ricerca di lotta politica e di una rivoluzione: dopo i fatti del 20 dicembre del 1920, Balbo viene chiamato a dirigere il Fascio ferrarese, queste sue spinte rivoluzionarie si traducono ben presto nella lotta cruenta ai socialisti, caldeggiando le prime spedizioni punitive. Gli ideali mazziniani e repubblicani di Balbo si mescolano a un senso romantico di rischio e avventura, nonché di un virulento antisocialismo: a ciò si aggiungano il fervore giovanile, la recente esperienza in guerra e la volontà di ribaltare a ogni costo la realtà, condita dall’odio verso i politicanti e accesa dalla volontà di successo personale. Balbo sostiene l’utilità della violenza, ed è privo di quell’idealismo dei Gaggioli e dei Montanari che non vogliono mettere il fascismo ferrarese al servizio dell’Agraria, nonostante le formali smentite: accetta di prendere parte al fascismo a patto di determinate condizioni economiche e personali. A Ferrara Balbo è tra i fondatori del settimanale del Fascio ferrarese Balilla, un utile strumento di propaganda, sul quale scrive, sotto lo pseudonimo di Fantasio, di voler far piazza pulita di tutti, socialisti e borghesi; ma come segretario politico del Fascio prima, e segretario provinciale poi, pianifica le spedizioni in tutta la provincia ma non solo, estendendo l’azione delle sue squadre nei territori limitrofi a Ferrara e spingendosi fino a Venezia, in decisa funzione antisocialista: anzi, non condivide in alcun modo il patto di pacificazione con i socialisti voluto da Mussolini, non ritenendo, come sostenevano anche altri fascisti locali, che a Ferrara non ci sono le condizioni per attuarlo. Così Balbo continua a dirigere le spedizioni per andare a colpire il socialismo emiliano, assecondando i desideri degli agrari; d’altro canto, egli è ben conscio della necessità di avere una solida base d’appoggio: incanala così il proletariato ferrarese nei sindacati autonomi fascisti, incaricandone la direzione a Edmondo Rossoni, anche se il programma agrario fascista di concedere la terra a ogni operaio non sembra prendere piede in modo effettivo. Non solo: l’occupazione di Ferrara da lui stesso ideata per ottenere lavori pubblici contro la disoccupazione viene interpretata dagli avversari politici come una mossa unicamente politica. E, dopo le leghe socialiste, è il momento delle leghe bianche, nonostante i cattolici ferraresi si siano schierati a fianco del fascismo sul fronte antisocialista. Per avere la garanzia dell’efficacia dell’azione delle sue squadre, Balbo esige la massima disciplina. All’inizio del 1922, infatti, ha già pensato a organizzare in senso militare le sue squadre, per trasformare gli uomini a servizio del fascismo in una vera e propria milizia divisa in zone di comando: balbo ottiene la zona più importante, quella formata da Emilia-Romagna, mantovano, Marche, Veneto, Trentino e Zara. Dopo che non ha luogo la spedizione a Fiume, Balbo rientra a Ferrara, persistendo nell’opera di organizzazione di quello che ormai sta divenendo un esercito fascista, chiedendo un ordinamento delle forze armate e una maggiore disciplina: viene accolta così la sua richiesta di istituire un Comando supremo della milizia fascista, con l’annesso regolamento di norme di disciplina e di impiego delle squadre. Nonostante questo, l’azione militare intrapresa a Parma a inizio dell’agosto del 1922 fallisce, non riuscendo a vincere le resistenze antifasciste nella città emiliana. Balbo, tuttavia, è convinto che le squadre fossero ormai pronte a un’azione più grande, che va svolta immediatamente: la conquista della capitale Roma, che avviene alla fine di ottobre dello stesso anno, permettg ai fascisti di insediarsi al Governo. Balbo, che in questo frangente gioca un ruolo di primo piano, rientra in seguito a Ferrara, dove nel 1923 fonda e dirige il quotidiano Il Corriere Padano, affidandone poi la direzione a Nello Quilici. Nella provincia, poi, Balbo continua a perseguire la lotta spietata contro gli avversari politici: viene ritenuto il responsabile della morte di Don Minzoni, avvenuta per mano fascista il 23 agosto del 1923 ad Argenta; chiede ai suoi uomini di bastonare “con stile”, come scrive in una lettera a Tommaso Beltrani. È così costretto a ritirarsi dal comando generale della Milizia fascista. A Ferrara è acclamato e Mussolini lo stima, tanto da nominarlo sottosegretario di Stato all’Economia Nazionale nel 1926, ruolo che mantiene fino al 1929, per poi essere nominato Ministro dell’Aeronautica. È questo il periodo dello studio civile e militare dell’aviazione, conducendo personalmente le trasvolate nel Mediterraneo, nell’Europa settentrionale e quelle oceaniche, a Rio de Janeiro e a Chicago, che hanno anche un marcato aspetto propagandistico per il fascismo: Balbo è nominato Maresciallo dell’aria, ma quando i finanziamenti al Ministero dell’Aeronautica vengono ridotti, è dimesso dal ruolo di Ministro e, nel 1934, diventa governatore della Libia, andando a sostituire Badoglio. Nella colonia Balbo intraprende un’opera di sviluppo civile, sociale, militare ed economico, al fine di renderla parte integrante del territorio italiano: moltissime famiglie salpano dall’Italia per la Libia, e nel 1939 egli concede la cittadinanza speciale italiana a tutti i musulmani. Sul piano internazionale, Balbo inizia a nutrire dissensi con la politica perseguita da Mussolini. Non condivide la scelta di schierarsi come alleati al fianco della Germania nazista, né è convinto della stipulazione delle leggi razziali antisemite; tuttavia, porta avanti le scelte governative e allo scoppio della guerra assume il comando delle forze militari libiche, che, però, hanno mezzi poco adeguati a portare avanti il conflitto: e proprio per un errore dell’antiaerea italiana, Balbo, in volo nei cieli di Tobruk, viene abbattuto il 28 giugno del 1940.

Fonti: Berselli Aldo, Balbo, Italo, s.v., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. V, 1963.
Andrea Baravelli (a cura di),Il fascismo in persona. Italo Balbo, la storia e il mito, Sesto San Giovanni (Milano), Mimesis, 2021.

Bardellini Giuseppe

Borgo San Luca, 25 maggio 1892

Abbandona gli studi per aiutare il padre nella sua officina, e le lotte bracciantili di inizio secolo hanno una grande influenza sul giovane Bardellini, che inizia a orientarsi verso il socialismo. Inizia a frequentare il circolo socialista di Borgo San Luca, impartendo lezioni agli analfabeti iscritti. Decide poi di aderire al sindacalismo rivoluzionario nel 1908, che ha stabilito, l’anno precedente, di abbandonare il Partito socialista ufficiale nel congresso tenutosi a Ferrara. Bardellini conosce nel 1910, divenendone amico e collaboratore, Michele Bianchi, in quel tempo segretario della Camera del Lavoro di Ferrara e direttore della Scintilla. Frattanto Bardellini diventa segretario dei sindacalisti del borgo natio, e nel settembre del 1911 è tra i massimi esponenti dello sciopero contro l’impresa libica: anzi, per le elezioni del 1913, fonda il settimanale La Battaglia, a sostegno della candidatura di Bianchi, contro quella del socialista Mazzanti che caldeggia l’intervento in Libia. Ma Bianchi fa confluire i voti, ottenuti dai sindacalisti rivoluzionari, a favore del radicale Mosti, deciso interventista nella questione libica, e così Bardellini rientra nelle fila del PSI, e come riformista viene eletto a consigliere comunale e provinciale a Ferrara. Contrario all’intervento dell’Italia in guerra, dopo il conflitto, nel 1919, Bardellini anima lo sciopero del luglio del 1919, rimediando l’arresto, per poi essere rilasciato quasi immediatamente. Nel 1920 egli è nuovamente eletto al Consiglio comunale, dove diventa assessore dell’annona, e al Consiglio provinciale di Ferrara, formando e presiedendo la Lega provinciale dei metallurgici. Bardellini deve dimettersi dall’esecutivo della Federazione socialista ferrarese, perché contrario alla politicizzazione delle agitazioni delle fabbriche del 1920, e, nell’anno seguente, viene licenziato dal Consorzio delle Cooperative, dove svolgeva l’attività di ispettore amministrativo, a causa delle pressioni del Fascio. Egli decide allora di aprire un ufficio di assistenza per le cooperative presso la Camera del Lavoro di Ferrara, ma le reiterate aggressioni fasciste lo costringono a rifugiarsi a Milano. Torna a Ferrara dopo la morte del padre, ma viene ancora aggredito dai fascisti: Bardellini si dedica, allora, all’officina paterna, dal 1925 fino al 1945 quando, con la Liberazione, viene nominato assessore del Comune di Ferrara. L’anno seguente viene eletto, ancora una volta, nei consigli comunale e provinciale, ricoprendo in entrambe le amministrazioni il ruolo di assessore; nel 1951-1952 è anche pro-sindaco di Ferrara, fino a essere eletto, nel 1953 e nel 1958, Senatore nel collegio di Comacchio-Copparo. Dopo il mandato, torna nella sua bottega artigiana fino al 1968. Bardellini muore a Ferrara il 24 gennaio del 1981.

Fonti: Stefano Caretti, Bardellini Giuseppe, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. I, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1975.

Brombin Francesco

Professore presso l’Istituto tecnico Monti di Ferrara, è un nazionalista. Brombin fonda nel gennaio 1919 l’Associazione pro mutilati, ed è uno dei principali portavoce dei combattenti. Nel febbraio 1920 organizza gli studenti in modo da spezzare lo sciopero delle poste. Egli ha in precedenza fatto parte del Gruppo nazionalista di Ferrara, uscendone nel 1914 probabilmente per l’egemonia dei clericali sul nazionalismo ferrarese. A metà settembre 1920 in casa sua si svolge una riunione con nove partecipanti: si vuole ricostituire il Fascio di combattimento ferrarese, e dopo un mese di confusione a metà ottobre si richiede al Comitato Centrale milanese le tessere di iscrizione. Nel gennaio del 1921 Brombin tenta di istituire un sindacato autonomo di produzione, di lavoro e di consumo di Ferrara tra i commercianti cittadini (sotto la bandiera dell’Associazione nazionale Combattenti e non del Fascio), affidandolo all’ex sindacalista Pilo Ruggeri e, per la parte amministrativa, a Raul Forti: non ottiene però i risultati desiderati. È promotore della Cooperativa di costruzione integrale edile. Con le amministrative del 1922 Brombin diventa presidente del Consiglio provinciale, con vicepresidente Alberto Verdi e segretario Giulio Righini (entrambi fascisti legati ad ambienti nazionalisti). Si dimette però da questa carica e dal ruolo di segretario del Fascio cittadino di Ferrara, consegnando la tessera fascista alla fine di marzo 1923: non vuole «essere schiavo della cricca fascista-massonica» (Corner, p. 267 che rimanda a Balilla, 1 aprile 1923). È anche presidente del Fascio dei Sindacati Autonomi.


Calzolari Armando

Baura, 23 marzo 1881

Avvocato, si candida con il partito cattolico nelle elezioni del 1919. È consigliere comunale e provinciale a Ferrara prima delle elezioni del 1920. Nel 1919 diventa segretario della sezione cittadina di Ferrara del PPI (e di nuovo della sezione comunale a metà 1920) e segretario del Comitato Provinciale per l’opera di assistenza civile e religiosa dei figli dei morti in guerra; negli anni Dieci ricopre anche le cariche di vice presidente del fiorentino Circolo Popolare Cattolico, di segretario della Giunta Diocesana, di membro della Direzione Comunale di Ferrara e del Comitato provinciale del PPI; è anche membro della Deputazione della Congregazione di Carità. Domenica 18 aprile 1920 La Domenica dell’operaio da la notizia che al congresso nazionale del PPI Calzolari viene eletto nel nuovo Consiglio Nazionale del PPI con 119.629 voti, secondo solo a Luigi Sturzo. Dopo la guerra, Calzolari viene nominato Presidente del primo Comitato provinciale della Democrazia Cristiana ferrarese, eletto il 28 settembre del 1946, e ricopre il ruolo di consigliere comunale dal 1946 al 1952. Muore a Ferrara il 24 settembre del 1955.

Fonti: Dario Franceschini, Il Partito Popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e don Minzoni, Bologna, CLUEB, [1985].

Cavallari Mario

Portomaggiore, 9 dicembre, 1878

Viene mandato nel collegio di San Carlo di Modena fino al conseguimento della licenza ginnasiale nel 1893, per poi proseguire gli studi a Fano. Cavallari inizia a frequentare la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna proprio a fine secolo, quando le lotte politiche e sociali lo avvicinano al socialismo. Si laurea quindi nel 1901 in Diritto penale, e viene immediatamente eletto nel Consiglio comunale del paese natale, così come nelle due elezioni successive. Cavallari collabora già con la Scintilla, che però abbandona nel 1905 per fondare il Pensiero Socialista e dare voce alla corrente moderata e riformista del socialismo. Non è impegnato solamente nella politica: Cavallari difese, in questi anni, un gran numero di braccianti contro la borghesia, portando avanti i suoi ideali di difesa dei diritti dei lavoratori. Nel 1913 Cavallari viene eletto deputato nel collegio di Portomaggiore. Rimane nelle fila del PSI anche quando si esprime a favore dell’intervento italiano sia in Libia, sia nel conflitto mondiale: anzi, parte come volontario, ottenendo una promozione e una decorazione per meriti di guerra, congedandosi con il grado di capitano. Nonostante l’impegno profuso all’interno del PSI, nell’agosto del 1919 viene espulso dal partito, a causa del suo interventismo e la sua partenza volontaria per il fronte: il segretario del Partito Costantino Lazzari presenta, in una riunione nella sezione di Portomaggiore, l’ordine del giorno che prevede l’espulsione di Cavallari dal Partito. Alda Costa e Gaetano Zirardini, invece, sono favorevoli alla sola decadenza dell’on. Cavallari dalla carica di deputato; l’espulsione è votata con 11 voti contro 10, mentre 6 si astengono. Lazzari riceve, in seguito, una lettera di Filippo Turati (6 agosto 1919) in difesa di Cavallari: il 20 settembre la Scintilla da notizia del reinserimento di Cavallari tra i ranghi socialisti nella sezione di Portomaggiore. Cavallari riprende le sue attività, e difende gli imputati ferraresi del 20 dicembre 1920 nel processo di Mantova, attirandosi così le antipatie dei fascisti, che lo minacciano e devastano il suo studio. Durante il periodo fascista, Cavallari si dedica esclusivamente alla propria professione, distaccandosi dalla vita pubblica ma mantenendo contatti con gli ambienti antifascisti. Dopo l’8 settembre del 1943 egli viene arrestato e tradotto nelle carceri di via Piangipane, e poi a Verona. Rientra a Ferrara al termine della guerra, e viene nominato presidente del CLN cittadino, riprendendo l’attività nelle fila socialiste. È presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara e del Consorzio generale di bonifica, e rifiuta una candidatura al Senato e una alla Camera. Muore in una clinica bolognese nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 1960.

Fonti: Stefano Caretti, Cavallari Mario, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. I, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1975.

Costa Alda

Ferrara, 26 gennaio 1876

Ottenuto il ruolo di insegnante elementare nel 1899, inizia in questo periodo anche il suo interesse alla politica, divenendo, in seguito, una delle personalità socialiste più influenti della provincia ferrarese. Avversa all’anarco-sindacalismo, nel 1905 si schiera con la scissionista Federazione provinciale riformista dei circoli socialisti, collaborando poi con l’organo ufficiale, il Pensiero socialista, finché la scissione non viene risolta nel novembre del 1906. Nel 1913 Alda Costa è tra i fondatori dell’organo del socialismo ferrarese, la Bandiera socialista; non solo, perché rimane, per tutta la durata della guerra, negli esecutivi della Camera del Lavoro di Ferrara e della federazione socialista ferrarese, ed è anche responsabile, dalla fine del 1916, della propaganda per la pace e dell’organizzazione femminile del PSI. Con la sua opera e quella di Zirardini, il movimento socialista ferrarese rimane in piedi per tutta la durata del conflitto; né indietreggia quando imperversa a Ferrara lo squadrismo fascista, nonostante aggressioni e umiliazioni da parte degli uomini di Balbo, continuando la sua attività anche dopo l’ottobre del 1922, mantenendo carteggi e operando clandestinamente. Alla cerimonia del giuramento, però, nel 1926, il suo atteggiamento insofferente le costa la perquisizione domiciliare: vengono portati alla luce i legami che intratteneva ancora con il Partito socialista, quindi viene sospesa dall’insegnamento, licenziata e inviata al confino per cinque anni, ridotti a due, che trascorse tra le Tremiti e la Basilicata. Rientrata a Ferrara, è costretta a richiedere il pensionamento anticipato e a ritirarsi nel 1932. Durante il secondo conflitto mondiale, Alda Costa riprende i contatti con i vecchi compagni di partito, partecipando poi a una serie di incontri interpartitici: dopo l’uccisione del federale Ghisellini viene arrestata il 15 novembre del 1943 e trasferita nel carcere di Copparo (in provincia di Ferrara). Malata di leucemia, Alda Costa muore nell’ospedale di Copparo il 28 aprile 1944.

Fonti: Alessandro Roveri, Costa, Alda, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXX, 1984.
Giuseppe Bardellini, Note su Alda Costa, 1963.
Autunno Ravà, Alda Costa educatrice – combattente – martire: trent’anni di stolta persecuzione poliziesca, Ferrara, Partito Socialista Italiano, 1952.
Marco Cazzola, Alda Costa. Scritti e discorsi (1905-1921), a cura della Segreteria di Presidenza dell’Amministrazione Provinciale di Ferrara, Ferrara, Spazio Libri, 1992.

Gaggioli Olao

Ferrara, 1897

Dopo aver conseguito il diploma in ragioneria, Gaggioli si adopera per formare il circolo socialista autonomo interventista di Ferrara. Parte poi volontario in guerra, prima nei bersaglieri e poi negli Arditi come tenente: viene insignito di quattro medaglie d’argento e una di bronzo al Valor Militare, e, nel 1922, della Croce di Cavaliere della Corona d’Italia per meriti di guerra, ottenendo anche il plauso di Mussolini. Nel 1918 Gaggioli si lega ai Fasci futuristi di Marinetti, per poi mettersi a capo, nel febbraio dell’anno successivo, del gruppo futurista ferrarese, di stampo nazionalista e anticlericale e con un programma «contro la disoccupazione e le mosse bolsceviche» (Gazzetta ferrarese, 14 aprile 1919). Appoggia così il movimento mussoliniano, aderendo all’assemblea milanese di piazza San Sepolcro. Membro dell’Associazione Nazionale Combattenti, Gaggioli è massone e legionario fiumano, tanto da dimettersi dal PRI per il mancato sostegno a favore di Gabriele D’Annunzio negli eventi di Fiume. Dopo un primo tentativo di formazione del Fascio ferrarese nell’estate del 1919, Gaggioli è tra i promotori della sua ricostituzione nell’ottobre 1920, ottenendo un immediato successo: organizza squadre di vigilanza per le elezioni, e guida i suoi uomini a Bologna negli eventi tragici di Palazzo d’Accursio. Gaggioli, tuttavia, si dimette da segretario del Fascio il 17 dicembre del 1920, in particolar modo per l’eccessiva influenza dell’Agraria ferrarese all’interno del movimento, come testimonia la lettera del fratello Luigi a Morisi, datata 29 dicembre 1920 (ACS, MRF, b. 28 Ferrara); il suo ritiro lascia così spazio all’arrivo di Balbo a Ferrara. Gaggioli è tra i protagonisti dell’affermazione del fascismo ferrarese: forma la squadra Celibano, conduce una spietata lotta ai socialisti e un’assidua propaganda in tutta la provincia a sostegno, in seguito, dei sindacati nazionali autonomi (tra il 1921 e il 1922 egli diventa vicesegretario provinciale dei sindacati fascisti, e presidente del Consorzio fra le Cooperative di produzione e lavoro della provincia). Gaggioli, però, come dimostravano le sue dimissioni nel dicembre 1920, mal sopporta le ingerenze agrarie all’interno dell’azione e del programma fascista, tanto che nell’autunno del 1921 entra, insieme a Barbato Gattelli, in contrasto con Balbo, che si serve delle squadre fasciste per fare gli interessi degli agrari. Ancora con Gattelli, quindi, Gaggioli costituisce il Fascio autonomo ferrarese nel novembre del 1921, che poi avrebbe rilanciato nel settembre del 1923, il che scatena la repressione ordinata da Balbo, che alla fine convince Gaggioli a desistere; questi viene dunque riaccolto all’interno del PNF, dove gli sono affidati ruoli nella Milizia: è comandante della legione di Ancona alla fine del 1923, e poi di quella ferrarese tra il 1923 e il 1940. Gaggioli compare tra i deputati della XXX Legislatura del Regno del 1939 e, in seguito, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana.

Fonti: Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922, s.v., Milano, Mondadori, 2003.

Gattelli Barbato

Argenta, 8 marzo 1896

Abbandona gli studi nel 1915 per arruolarsi nel Reggimento Artiglieria come Tenente e combattere al fronte e, una volta rientrato dalla guerra (durante la quale conobbe Mussolini), diventa un giovane industriale, proprietario di una piccola industria metallurgica di motori per automobile, di nome SFIM, da lui fondata e gestita a Chiesuol del Fosso. Di stampo garibaldino e in seguito fascista convinto e attivo promotore della propaganda fascista in provincia, il giovane Gattelli subentra come deputato ferrarese al posto di Mussolini, eletto anche nella circoscrizione di Milano-Pavia. All’interno delle dinamiche del fascismo ferrarese, Gattelli cerca di osteggiare la conduzione che al Fascio stava dando Italo Balbo: Gattelli si trova su posizioni verso l’ala sinistra del movimento, ed è più un fascista anticapitalista; come i fratelli Gaggioli, Gattelli è un esponente del ceto medio urbano e, inoltre, in quanto rappresentante dell’Associazione Combattenti egli ha tra questi largo seguito. Il suo pensiero è quello di riportare il fascismo a quello che era prima della coalizione con l’agraria ferrarese: si schiera dunque con Mussolini sulla pacificazione, strada che il futuro Duce non ha assolutamente intenzione di percorrere; Gattelli da così battaglia a Balbo schierandosi con Mussolini, che in realtà si riconcilia con Balbo grazie proprio alle sue squadre. Così, il Fascio autonomo ferrarese acquista il giornale repubblicano «Provincia di Ferrara», che, dal 14 settembre 1921, esce con il sottotitolo “Quotidiano fascista”: si richiede agli agrari di attenersi ai programmi concordati per la ripartizione delle terre. Nell’estate del 1922 Gattelli riprende la sua battaglia contro gli agrari e la borghesia, nonché contro Balbo, finanziando personalmente un nuovo giornale, «L’idea fascista», e capeggiando ancora una volta quel gruppo di fascisti urbani delle origini, chiedendo che i fascisti andassero incontro agli interessi dei lavoratori. Nonostante durante la marcia su Roma i fascisti dissidenti operano attivamente per la riuscita dell’azione, il dissidio non si spegne e Gattelli viene arrestato nel giugno del 1923.

Fonti: Luigi Davide Mantovani, Italo Balbo e la dissidenza fascista a Ferrara, in Il fascismo in persona. Italo Balbo, la storia e il mito, a cura di Andrea Baravelli, Sesto San Giovanni (Mi), Mimesis, 2021.

Grosoli Pironi Giovanni

Carpi, 31 agosto 1859

È figlio di un avvocato di origine ebraica che aveva abbracciato con entusiasmo la religione cristiana e da madre appartenente a una famiglia nobile. Dopo essersi trasferito con la famiglia a Ferrara, Grosoli riceve un’educazione e un’istruzione fortemente improntate al sentimento religioso e cattolico, nonché una formazione di stampo umanistico. Proprio per questi motivi Grosoli ha forti spinte caritatevoli e cristiane, portando avanti a Ferrara numerose e importanti iniziative sociali, tanto che nel corso degli anni la Santa Sede lo ricompensa con la nomina a Cameriere di cappa e spada nel 1886, a Commendatore di San Gregorio Magno nel 1888, con la Croce pro Ecclesia et pontifice nel 1888 e il titolo a Conte romano nel 1896. Nel 1906 il conte Grosoli, servendosi del palazzo di famiglia a Ferrara, vi istituisce una vera e propria Casa del popolo, come centro di attività ricreative sociali e cattoliche. L’attività caritatevole di Grosoli va di pari passo con il suo impegno politico nelle fila del movimento cattolico: è per ben due volte, a cavallo dei due secoli, presidente del Comitato romagnolo dell’Opera dei congressi e dei comitati cattolici, mettendosi in luce anche in altri due settori in cui avrebbe operato di lì a poco: quello giornalistico e quello creditizio. All’inizio del 1895 promuove a Ferrara la creazione del periodico cattolico La Domenica dell’Operaio, e partecipa alla creazione de L’Avvenire a Bologna, in seguito noto come L’Avvenire d’Italia. Sostiene poi la creazione della Società Editrice Romana Civile per Azioni, un vero e proprio trust per coordinare dal punto di vista amministrativo i giornali cattolici a esso aderenti. Ancora a Ferrara, Grosoli si impegna per la costituzione di casse rurali e opere di assistenza rivolte a contadini e piccoli proprietari, sostenendo il Piccolo Credito Romagnolo (di cui era presidente dal 1916) per le iniziative creditizie nel mondo rurale; è inoltre presidente del Piccolo Credito di Ferrara fino al 1928, controllava con Giuseppe Vicentini il Credito nazionale, ed era consigliere del Banco di Roma (1919-1921). Grosoli va ricordato per essere stato, nel suo periodo di attività, il punto di riferimento per i cattolici ferraresi: viene eletto più volte al Consiglio comunale cittadino a partire dal 1899, e il suo operato è fondamentale per portare i cattolici nella coalizione alla guida del Comune nel 1922; ma Grosoli è importante anche a livello nazionale: egli, infatti, è nel 1919 tra i membri fondatori del Partito Popolare Italiano, anche se non è sempre concorde con la linea portata avanti dal partito. Anzi, Grosoli diventa un aperto sostenitore del movimento fascista, che arriva a definire come una vera e propria «crociata per la libertà»: non solo per motivi antisocialisti, ma anche per proteggere quegli investimenti che molti cattolici ferraresi avevano fatto, tra banche (per quei piccoli proprietari che appoggiavano il fascismo contro le leghe socialiste) e industria saccarifera, che rappresentano una fitta ed estesa rete di interessi economici. Nonostante la carica di Senatore a partire dal 1920, questo suo pensiero filofascista e il suo sostegno al Governo Mussolini lo allontanano progressivamente dal Partito, fino a dimettersi da esso. Grosoli ha però delusioni anche dal punto di vista finanziario: dopo aver già dovuto attingere al patrimonio personale dopo la liquidazione della Società Editrice Romana e il fallimento dell’Unione Editoriale Italiana che la sostituisce, la crisi di fine anni Venti colpisce anche le banche cattoliche e Grosoli deve così cedere tutti i suoi averi, morendo in povertà ad Assisi, in Provincia di Perugia, il 21 febbraio del 1937.

Fonti: Francesco Malgeri, Grosoli Pironi, Giovanni, s.v., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LIX, 2002.
Confindustria Ferrara. Gli uomini, la storia, il palazzo, a cura di Leopoldo Santini, Ferrara, Edisai, [2007], pp. 158-161.
Romeo Sgarbanti, Ritratto politico di Giovanni Grosoli, Roma, 5 lune, 1959.
Dario Franceschini, Il Partito Popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e don Minzoni, Bologna, CLUEB, [1985].

Mantovani Vico

Ferrara, 13 febbraio 1869

Laureato in ingegneria, Mantovani diventa il leader degli agrari ferraresi, accettando il programma agrario fascista ferrarese che a inizio 1921 prevede la creazione di tantissimi piccoli proprietari terrieri con contratti di enfiteusi, onde allontanare la minaccia socialista. Mantovani diventa così uno dei primi promotori del fascismo ferrarese. A partire dagli anni del primo dopoguerra, Mantovani, oltre alla presidenza dell’Agraria ferrarese, ricopre numerose cariche amministrative: è Consigliere comunale e Consultore municipale di Ferrara dal 1922, nonché Consigliere provinciale e Assessore supplementare della Giunta comunale Caretti sempre con le elezioni del 1922; Mantovani ricopre anche altre cariche all’interno delle istituzioni ferraresi: nel 1919 egli è presidente del Comitato Pro Mutilati di Copparo, e da agosto dello stesso anno Consigliere della Società Anonima Auto Agricola; poi Presidente della Banca Mutua, Presidente della Scuola Industriale di Ferrara, Commissario straordinario e in seguito Vice presidente della Camera di Commercio di Ferrara (1927-1932) e Presidente del Consorzio generale di bonifica per la Provincia di Ferrara, nonché fondatore e presidente dell’Istituto federale di Credito Agrario. Membro del Consiglio direttivo dell’Associazione liberale, a livello nazionale Mantovani viene eletto alla Camera dei Deputati nelle elezioni del 1921, 1924 e 1929 per le Legislature XXVI, XXVII e XXVIII del Regno d’Italia, e nominato Senatore l’1 marzo del 1934. Tra le onorificenze, viene insignito nel 1915 del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, nel 1919 divenne Ufficiale dell’Ordine e della Corona d’Italia e nel 1921 Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia. Vico Mantovani si spegne a Ferrara il 22 ottobre del 1938.

Fonti: sito del Senato della Repubblica 

Marangoni Guido

Casanova Elvo (Vercelli), 16 maggio 1872

Ragioniere e appassionato di arte (è direttore dei Civici Musei di Milano e socio onorario delle Accademie di Brera e di Venezia), collabora fin da giovane con il periodico democratico torinese La Squilla, che poi si orienta verso il socialismo. Marangoni si trasferisce a Milano, militando nel Partito socialista e mostrando uno spiccato anticlericalismo. Con l’inizio del XX secolo Marangoni inizia a collaborare con i sindacalisti rivoluzionari ferraresi, che nel 1905 gli affidarono la direzione della Scintilla. Nel 1907 Marangoni viene anche arrestato in quanto dirigente dello sciopero di Copparo contro la compartecipazione; poi, nel 1909, è l’artefice della riunificazione sindacale in seguito alla scissione tra riformisti e anarco-sindacalisti ferraresi. Forse per questo viene eletto alla Camera nel collegio Copparo-Comacchio nelle elezioni dello stesso anno, per poi essere rieletto nuovamente nel 1913 e nel 1919. Durante i suoi mandati da vigore al movimento cooperativo ferrarese, e mantiene, nei confronti della guerra, un atteggiamento decisamente neutralista, allontanandosi dal sindacalismo interventista. Nel 1916 promuove la formazione della Federazione giovanile socialista di Ferrara, operando poi, attivamente, alla ricostituzione del socialismo nel Ferrarese nel periodo postbellico e schierandosi contro la scissione comunista; ricopre il ruolo di presidente del Consiglio provinciale di Ferrara dal 1914 al 1920. Con il fascismo, però, Marangoni abbandona la vita politica, e muore il 16 gennaio del 1941 a Bordighera, in Provincia di Imperia.

Fonti: Alessandro Roveri,  Marangoni Guido, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. III, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1977.
https://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/3n040-00050/

Mazzanti Raffaele

Argenta, 28 aprile 1877

Dopo aver conseguito il diploma di maestro elementare, Mazzanti si iscrive giovanissimo al Partito socialista, e in poco tempo viene nominato segretario della sezione socialista di Codifiume, frazione del Comune di Argenta, e si attiva come propagandista negli scioperi di fine secolo a Molinella, collaborando con la testata Scintilla; accusato di estorsione, deve emigrare, sembra, in America per sfuggire a una condanna di oltre undici mesi, che tuttavia sconta al suo rientro. Dopo la detenzione Mazzanti si rimette subito all’opera, specialmente nel campo della cooperazione, vitale nelle zone di bonifica in cui si trova: viene nominato segretario della Federazione delle cooperative di consumo e di lavoro alla fine del 1903. Mazzanti approda poi, da socialista riformista, nel capoluogo, pur continuando a mantenere la carica di segretario di Codifiume. Nel 1910 viene eletto al Consiglio comunale di Ferrara e continua la propaganda socialista in tutta la Provincia. Mazzanti, però, ha dei contrasti con il PSI, dimettendosi per poi rientrarvi in seguito, quando pubblicamente approva l’impresa libica. Mazzanti rimane schierato su una concezione “ministerialista” del socialismo, attribuendo alla classe lavoratrice funzioni prettamente economiche e sindacali, e non politiche: è così che, negli scioperi del 1912, Mazzanti mette in atto questo pensiero, e, al controllo del neoformato Consorzio provinciale delle Cooperative di lavoro, ottiene a Roma dei supplementi ai lavori pubblici, fondamentali per combattere la sempre maggiore disoccupazione nel Ferrarese. Dopo la mancata elezione alle politiche del 1913, non finiscono gli attriti con il Partito, tanto che Mazzanti è costretto a dimettersi dal PSI e dal ruolo di consigliere provinciale per aver apertamente appoggiato l’entrata dell’Italia in guerra nel maggio del 1915, pur mantenendo il controllo del movimento cooperativo provinciale. Dopo la guerra, però, Mazzanti deve abbandonare anche la presidenza del Consorzio delle Cooperative: ufficialmente si accettano le dimissioni di Mazzanti, ma le accuse sono quelle di essersi arricchito durante la guerra, di non aver mai corrisposto alla Camera del lavoro il debito contributo, di essere stato un interventista, di non aver cercato di contribuire allo sviluppo della cooperazione di classe (Scintilla, 18 ottobre 1919); durante la sua gestione, tuttavia, vengono create 36 cooperative in tutta la provincia di Ferrara. Mazzanti, per reazione, si schiera con il Blocco conservatore nelle successive elezioni del 1919, appoggiato dagli agrari ferraresi e da un movimento fascista che muove i suoi primissimi passi. Mazzanti non si iscrive al Fascio, ma lo fiancheggia, così come intrattiene stretti legami con i banchieri cattolici ferraresi. Dopo essersi recato a Bari e poi a Napoli, egli ritorna a Ferrara, ed è proprio il Fascio a consegnargli il controllo del Consorzio delle cooperative, strappato ai socialisti. Arrivano, tuttavia, nuovamente le sue dimissioni, per diretto intervento del Ministro del Lavoro Labriola. Nel 1922 Mazzanti viene eletto al Consiglio provinciale, nelle fila, ancora una volta, del Blocco Nazionale capeggiato ormai da elementi fascisti.

Fonti: Gianni Isola, Mazzanti Raffaele, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. III, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1977.

Montanari Alberto

Geometra ed ex ufficiale dei Bersaglieri, partecipò alla riunione a casa Brombin ed è tra i primi fascisti di Ferrara, tanto che prende il posto come segretario del Fascio ferrarese del dimissionario Olao Gaggioli appena prima dei fatti del 20 dicembre 1920. Nel 1921, quando Balbo diventa segretario della Federazione fascista, Montanari è nominato nuovamente ma provvisoriamente segretario del Fascio di Ferrara. Il 24 marzo 1921 la Gazzetta ferrarese ne annuncia la partenza da Ferrara per recarsi a Treviso, dopo aver gettato «anima e corpo nella battaglia civile dei Fasci». Viene allontanato con le elezioni del 1921 perché sospettato di essere portavoce degli agrari.


Niccolai Adelmo

Sambuca Pistoiese (Pistoia), 4 settembre 1885

Di professione avvocato, ma anche giornalista e pubblicista, durante gli studi si lega all’unione socialista bolognese, avvicinandosi però, soprattutto, al sindacalismo rivoluzionario ferrarese, che guida fino al 1906. Si adopera attivamente, al fianco di Marangoni, per la riunificazione del socialismo ferrarese, e diventa poi presidente dell’Amministrazione provinciale di Ferrara durante il primo conflitto mondiale, verso il quale mantiene sempre un atteggiamento di ostilità. La sua opera continua anche dopo la guerra, al fine di ricostituire nuovamente una compatta organizzazione socialista a Ferrara, e viene così eletto nel 1919 come deputato nel collegio Ferrara-Rovigo. Difende in tribunale molti lavoratori socialisti, e per questo motivo si attira l’odio dei fascisti, che lo malmenano a sangue il 19 dicembre del 1920 a Bologna (dov’è stato aletto a Consigliere comunale), sconsigliando così la manifestazione di protesta per il giorno successivo a Ferrara, quando poi si arriva allo scontro tra fascisti e socialisti. In protesta alle violenze fasciste, così, Niccolai promuove l’astensione del socialismo ferrarese dalle elezioni del 1921, rifiutando la propria candidatura; viene tuttavia minacciato dai fascisti e, costretto a lasciare l’Emilia, si trasferisce a Roma, dove professa il suo lavoro di avvocato, difendendo in tribunale vari antifascisti, tra cui Gramsci. In seguito alla Liberazione, Niccolai torna a Ferrara, accolto trionfalmente dalle masse di lavoratori, riprende attivamente la sua politica nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, accettando poi la candidatura nel Fronte democratico popolare a Roma e a Ferrara nel 1948. Però, durante un comizio, viene colto da una crisi cardiaca e muore il 19 marzo dello stesso anno a Velletri (Roma).

Fonti: Alessandro Roveri, Niccolai Adelmo, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. III, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1977.

Rossi Romualdo

Goro, 21 luglio 1877

Nasce da una famiglia di braccianti e, dopo gli studi elementari, Rossi si reca come manovale in Francia, in Svizzera e infine in Belgio, un periodo nel quale si forma dal punto di vista politico alla fine del XIX secolo: tornato nella natale Goro, si iscrive al PSI, emergendo, in breve tempo, grazie alla sua attività di propagandista e di distribuzione della stampa “sovversiva”. Viene eletto così consigliere comunale di Mesola, in provincia di Ferrara, nel 1910, e, pochi giorni dopo, nel vicino comune di Codigoro, mentre si sta orientando su posizioni sindacaliste rivoluzionarie e collaborando anche con il giornale la Scintilla, di cui diventa direttore nell’agosto del 1912, anno in cui viene chiamato anche a dirigere la Camera del Lavoro di Ferrara. Sempre nel 1912 Rossi è eletto Sindaco di Mesola. La sua propaganda non si arresta, e a causa delle sue idee antitripoline viene condannato a 9 mesi: per sfuggirvi Rossi è costretto a riparare in Svizzera, in Francia e infine a San Marino, riuscendo a rientrare a Ferrara solamente in seguito all’amnistia concessa il 30 dicembre del 1914. Dopo aver capeggiato il gruppo aderente all’Unione Sindacale Italiana a causa di una scissione all’interno del sindacalismo ferrarese, nel 1915 Rossi riapre la Scintilla; le sue iniziali posizioni decisamente neutraliste nei confronti della guerra mutano profondamente, e Rossi diventa un fervido sostenitore della guerra, sottoscrivendo un manifesto di collaborazione con i nazionalisti, a nome del Fascio d’azione rivoluzionaria (fondato nel 1914 da repubblicani, anarchici e sindacalisti e aperto agli ex socialisti mussoliniani), nel maggio del 1915. Prima di essere chiamato in guerra come telegrafista, Rossi collabora con il foglio radical-socialista Il Fascio, diretto da Giuseppe Longhi mentre, durante il conflitto, giunge a posizioni decisamente antisocialiste, che egli propone come collante delle forze che componevano il blocco interventista. Rientrato dalla guerra, nel 1919 aderisce all’Unione Italiana del Lavoro: ne diventa il dirigente principale nel capoluogo e in tutta la Provincia di Ferrara, e aderisce, in seguito alla formazione del Fascio ferrarese, con tutte le sue organizzazioni ai sindacati autonomi fascisti. In una breve parentesi romana del 1920 Rossi è tra i fondatori del sindacato nazionale delle cooperative. Rossi, però, abbandona ben presto i sindacati fascisti, dal momento che viene danneggiato dalla nomina, come segretario della Camera Sindacale del Lavoro di Ferrara, del sindacalista fascista Edmondo Rossoni, tanto da arrivare a criticare l’azione fascista nella Valle Padane sul giornale Gioventù Sindacalista nel 1921. Rossi rientra ben presto nelle fila fasciste, ottenendo alla fine la carica di segretario della Camera del Lavoro ferrarese e, dopo la necessaria adesione al Partito Nazionale Fascista, viene designato come responsabile dell’organizzazione sindacale nella Provincia di Udine (1925), ma dopo soli cinque mesi è costretto ad abbandonare il posto per essersi schierato dalla parte degli operai che richiedevano un adeguamento salariale. Rossi rientra così a Roma, dove assume la direzione del periodico Patria, senza compiere azioni atte a ostacolare il regime fascista, anzi appoggiandolo e scrivendo anche saggi apologetici sulla grandezza fascista. Dopo la Liberazione, Rossi non è più attivo in politica, e muore a Roma il 10 agosto del 1968.

Fonti: Gianni Isola, Rossi Romualdo, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. IV, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.

Rossoni Edmondo

Tresigallo, 6 ottobre 1884

Dopo gli studi ginnasiali, si iscrive al PSI del paese natale, dopo le sue iniziali simpatie cattoliche, e partecipa agli scioperi di inizio secolo. Rossoni si trasferisce a Milano alla fine del 1904 per lavorare come impiegato di industria, e nel capoluogo lombardo si avvicina agli ambienti sindacalisti rivoluzionari, entrando a far parte del gruppo di propaganda sindacalista di Milano. Alla fine del 1907, rispettando le normative del sindacalismo rivoluzionario più intransigente, Rossoni esce dalla Federazione socialista, troppo moderata, e si dedica come rivoluzionario e antimilitarista alla Camera del Lavoro di Milano e al movimento giovanile socialista. L’anno successivo, nel giugno del 1908, dopo aver esercitato come propagandista del sindacalismo a Piacenza (dove si trovava alla guida amministrativa della Camera del Lavoro), Rossoni deve sfuggire alla condanna di quattro anni di reclusione per istigazione a delinquere e propaganda antimilitarista. Inizia così un periodo di fuga tra Europa e Americhe. Riparatosi a Nizza, viene minacciato di espulsione dal governo francese come agitatore, e così Rossoni decide di recarsi oltreoceano in Brasile; anche qui, a causa della sua attività sindacale, viene espulso dalle autorità, e dopo una breve parentesi a Parigi attraversa nuovamente l’Atlantico nel 1910 come corrispondente dagli Stati Uniti dell’organo sindacalista italiano L’Internazionale di Parma. Vive principalmente a New York, dove collabora con la testata Il Proletario, e continua a portare avanti le sue ferventi idee antimilitariste: qui Rossoni tocca con mano l’emigrazione italiana in America, compiendo conferenze negli Stati Uniti e in Canada, e l’11 giugno del 1911 pronuncia un violento discorso che si scaglia contro il patriottismo borghese, sputando, infine, sul tricolore italiano e su una corona deposta ai piedi di una statua di Garibaldi. Nel 1912 viene arrestato dopo lo sciopero degli operai tessili del New England e, in libertà provvisoria in attesa del processo, Rossoni rientra in Italia nel 1913 in seguito alla fondazione dell’Unione Sindacale Italiana, partecipando a scioperi come quello di Massafiscaglia e quello di Milano, dove viene arrestato per eccitamento all’odio tra le classi sociali. Rimesso in libertà provvisoria, Rossoni fa tappa a Londra per partecipare al Congresso Sindacalista Internazionale come rappresentante delle Camere del Lavoro di Parma e Bologna, poi ritorna negli Stati Uniti d’America. Qui viene a sapere della fondazione dell’interventista Unione Italiana del Lavoro: vi aderisce immediatamente, e abbandona Il Proletario, passando a dirigere il giornale interventista e nazionalista La Tribuna di Brooklyn (in seguito, nel 1918, fonderà l’interventista L’Italia nostra, a Milano). Nel 1916 Rossoni lascia New York per operare in favore dell’intervento in guerra italiano, dopo due brevi soste a Londra e a Parigi: una volta a Milano, egli aderisce a al Fascio d’azione interventista. Presta quindi servizio militare, ma poi viene incaricato di ricostituire la UIL, di cui diventa segretario nel 1918. Dopo la guerra, nel 1919 dirige la Camera del Lavoro di Roma, iniziando a simpatizzare per il movimento fascista; nel 1921 Italo Balbo lo chiama a Ferrara per dirigere l’organizzazione sindacale fascista nella zona. Rossoni viene nominato poi nel 1922 segretario della Confederazione dei sindacati fascisti; l’importanza della sua figura crebbe continuamente e diventa così uno degli uomini più importanti del fascismo. È eletto deputato nel 1924 per la XXVII Legislatura del Regno, continuando a operare all’interno del sindacalismo fascista; nonostante ciò, le alte sfere fasciste restano dubbiose nei confronti di Rossoni, a causa delle sue vecchie azioni di ribellismo classista. Escluso così nel 1928 dalla presidenza della Confederazione Nazionale dei Sindacati Fascisti, a Rossoni viene offerto, in cambio, il ruolo di Ministro. Egli è rieletto deputato nel 1929, ma durante l’estate si ritrova al centro di uno scandalo, tanto che solo nell’ottobre del 1930 viene riammesso nel Gran Consiglio fascista e, nel 1932, arriva alla carica di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. In questo periodo Rossoni è il promotore di una decisiva trasformazione del suo paese natio, Tresigallo, che tra il 1933 e 1939 muta radicalmente nella sua urbanistica, nel tentativo di divenire una città ideale, corporativa e fascista, com’era nei piani dello stesso Rossoni: trasformare, all’insegna della modernità, una terra densa di disoccupazione, operandovi, vale a dire, una vera e propria rivoluzione che coinvolgesse la società, l’economia e la cultura del luogo. Alcuni dissensi, in seguito, portano Mussolini a nominarlo, dal 1935 al 1939, quello di Ministro dell’Agricoltura e Foreste. Le sue posizioni si fanno sempre più reazionarie e filo-naziste, tanto che non si astiene dall’approvazione delle leggi razziali nel 1938. Il 25 luglio del 1943 vota, però, a favore dell’ordine del giorno Grandi, per poi rifugiarsi in Vaticano dopo l’8 settembre. Al processo di Verona, il tribunale speciale per la difesa dello Stato della Repubblica Sociale Italiana condanna a morte in contumacia Rossoni, e poi, per soppressione delle pubbliche libertà, dopo la Liberazione riceve la condanna all’ergastolo (28 maggio 1945). Rossoni ripara ancora oltreoceano, in Canada, passando per Dublino, e dopo che la Cassazione annulla la sentenza rientra in Italia: muore a Roma l’8 giugno del 1965.

Fonti: Alessandro Roveri, Rossoni Edmondo, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. IV, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.
Enzo Fimiani, Rossoni, Edmondo, s.v., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXXVIII, 2017.
Stefano Muroni, Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno, introduzione di Giuseppe Parlato, postfazione di Folco Quilici, con un saggio di Antonio Pennacchi, Bologna, Pendragon, 2015.

Trevisani Giuseppe

Massafiscaglia, 31 maggio 1880

Non ottiene titoli di studio perché lavora come bracciante nel paese natio dove, durante gli scioperi di inizio Novecento che vedono Massafiscaglia tra i centri più sensibili alla propaganda socialista, Trevisani ha maniera di mettersi in rilievo come organizzatore, tanto che nel 1907 viene eletto consigliere comunale di Massafiscaglia e nel 1909 entra nella commissione esecutiva della Camera del Lavoro di Ferrara. Elemento considerato pericoloso dalle autorità per la sua attività, nonostante questo nel 1912 Trevisani viene eletto sindaco di Massafiscaglia, dove, nel 1913, si svolge uno dei più grandi e lunghi scioperi di quel tempo: durante la protesta, che però è fallimentare, Trevisani, adoperatosi per la sua riuscita, viene accusato di sabotaggio a danno dei proprietari del luogo, e viene così condannato a cinque mesi e venti giorni di detenzione, oltre a 450 mila lire di multa. Nel novembre del 1915 Trevisani è guardiano provvisorio delle strade per l’amministrazione provinciale, per poi essere richiamato alle armi nel maggio del 1916. Dopo la guerra, egli viene eletto deputato al Parlamento nel collegio di Ferrara-Rovigo, e nel 1920, ancora nella natia Massafiscaglia, entra nel Consiglio comunale. Socialista riformista, collabora con gli altri organizzatori ferraresi come Zirardini, Marangoni e Niccolai, schierandosi al seguito di Serrati contro la scissione comunista prima del congresso di Livorno. In questo periodo, con gli arresti di Zirardini e del sindaco di Ferrara Bogianckino per i fatti del 20 dicembre 1920, Trevisani dirige per breve tempo la Camera del Lavoro ferrarese insieme a Matteotti. Il fascismo, però, sta prendendo piede, ed egli tornò così alla sua professione di assistente stradale, tanto da essere rimosso dalla lista dei sovversivi nel 1934. Muore a Massafiscaglia il 9 gennaio del 1960.

Fonti: Diego Cavallina, Trevisani Giuseppe, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. V, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.

Verdi Alberto

Cento, 17 giugno 1888

Nel 1919 è il capo di nazionalisti di Ferrara, e ottiene il controllo della Gazzetta ferrarese, già voce delle idee dell’alta borghesia ferrarese. Si candida con il Blocco nazionale nelle elezioni del 1919. Nazionalista dal 1914 ed ex combattente (corpo dei bombardieri), è anche membro dell’Associazione Nazionale Combattenti. Diventa consigliere provinciale nel 1920 e viene eletto al Consiglio comunale di Ferrara nel 1922 (in passato era stato consigliere anche a Cento). Tra la fine degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta è anche podestà di Ferrara.


Zirardini Gaetano

Ravenna, 19 febbraio 1857

Nato in una famiglia patrizia, Zirardini studia scultura prima nella natia Ravenna e poi a Firenze, ma la sua attività si concentra nelle fila del nascente movimento socialista italiano. Seguace e amico di Andrea Costa, egli ha infatti un ruolo di rilievo come organizzatore nel partito socialista rivoluzionario di Romagna, di cui è tra i fondatori. Promuove e dirige il giornale Il Sole dell’avvenire, è copresidente con Andrea Costa del II Congresso del Partito socialista rivoluzionario di Romagna nel 1883, conclusosi con l’intervento della polizia, con la quale ha incidenti anche in un comizio faentino poco tempo dopo. Trascorre così più di 3 anni in esilio a Parigi, a causa dei numerosi processi subiti per i suoi interventi di stampo socialista sui giornali (processi per reato di stampa e associazione internazionale). Qui lavora come scultore, decoratore e commesso di viaggi, collaborando anche con testate locali. Rientra in Italia con l’amnistia concessa nel 1888 e diventa assessore comunale e consigliere provinciale. Dopo i fatti della Lunigiana e della Sicilia, Zirardini intensifica la sua attività politica, manifestando solidarietà con le vittime della repressione e organizzando comizi: arrivano le condanne, e viene arrestato nel 1895. Uscito l’anno successivo, vive per qualche tempo a Bologna, dove collabora con il giornale Il Risveglio, viene arrestato e poi si arruola volontario per la Grecia nel 1897, ritornando con il grado di tenente garibaldino, dopo aver combattuto a Domockos e Panaghia. Siamo a fine secolo: Zirardini è costretto a operare in semiclandestinità, per evitare le repressioni della polizia; riesce tuttavia a incontrare altri dirigenti del partito, anche se persistono processi e condanne. Con l’inizio del Novecento, Zirardini può lavorare, invece, con maggior tranquillità: è tra i fondatori della Federterra nel 1901, intervenendo in moltissimi suoi congressi; ideatore e fondatore della Camera del Lavoro di Ravenna, mantiene il ruolo di segretario fino al 1914, quando viene chiamato a dirigere la Camera del Lavoro di Ferrara, a maggio, al tempo molto divisa al suo interno: la sua opera di socialista moderato riesce a far convivere i riformisti, gli intransigenti e i socialisti rivoluzionari, facendolo divenire il vero e proprio portavoce degli operai delle campagne. Mantiene il ruolo alla Camera del Lavoro anche durante la guerra, contro la quale si oppone non solo a parole, ma anche con i fatti, come con l’agitazione e l’occupazione del corpo d’armata a Bologna da lui organizzate. Durante la guerra la sua reputazione cresce ulteriormente, senza mai cessare l’intenso lavoro sindacale. Se l’organizzazione del proletariato viene mantenuta intatta nel Ferrarese, il merito va attribuito a Zirardini e alla sua opera, senza dimenticare il contributo di Alda Costa. Negli anni ferraresi, egli è tra i maggiori dirigenti socialisti a operare nel territorio. Per affrontare il problema del caroviveri, fonda un Ente comunale dei consumi, che si costituisce a fine 1916 come Associazione dei Consumatori; si impegna per istituire enti analoghi anche nella provincia. È l’animatore principale delle grandi vittorie elettorali dei socialisti ottenute a Ferrara tra il 1919 e il 1920, anno in cui, peraltro, il 6 marzo viene approvato il Concordato Unico Provinciale per i lavori della terra, denominato “Patto Zirardini”, che concede benefici ai lavoratori. Diventa segretario della Federazione ferrarese del PSI, e dirige l’organo di stampa del partito, La Bandiera Socialista, fino alla sua trasformazione in Scintilla, avvenuta il 19 luglio 1919, dal momento che è considerato troppo poco rivoluzionario (ne avrebbe ripreso la direzione il 3 gennaio del 1921). Anche se cerca, dopo la fine della guerra, di contenere le spinte più violente all’interno del movimento socialista, alla fine ne viene travolto tra 1919 e 1920. Il 20 dicembre del 1920, inoltre, è accusato di essere tra i responsabili della tragedia che si consuma presso il Castello Estense a Ferrara, e viene arrestato insieme al sindaco Bogianckino mentre si trova in stazione, per recarsi al Congresso di Livorno nel gennaio del 1921. Nonostante questo, alle elezioni generali del 15 maggio 1521 viene candidato a Novara e Ravenna, ed è eletto come deputato alla Camera, per poi essere anche scarcerato una decina di giorni dopo: le accuse per gli eventi del 20 dicembre cadono nel 1922. Protesta più e più volte con Bonomi perché intervenisse per riportare l’ordine nella provincia di Ferrara, ormai dilaniata dalle squadre fasciste, mentre la pubblica sicurezza resta inerte. Ma quando ormai il fascismo impedisce ogni tipo di azione politica, Zirardini si ritira a Milano a vivere dalla sorella, professando la sua attività di scultore; le minacce fasciste gli impediscono di tornare in Romagna. Continua tuttavia a professare e a divulgare l’antica fede socialista, fino alla morte, sopraggiunta a Milano il 19 maggio del 1931.

Fonti: Francesca Cardellini, Gaetano Zirardini una vita per il socialismo, Istituto di Storia Contemporanea del Movimento Operaio e Contadino Ferrara, n. 1, Ferrara, 1976.
Paolo Favilli, Zirardini Gaetano, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. V, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.