Aimi Alcide

(1896-1960)

Studia in seminario, per partecipare poi alla Grande Guerra come ufficiale (con il grado di tenente). Combatte al fronte, sul Carso, ricevendo diverse decorazioni, tra cui la Croce di guerra al valor militare. Dopo il conflitto diventa figura di spicco del fascismo parmense, in particolare è il punto di riferimento dei fascisti di Busseto, guida le squadre d’azione in provincia ed è una figura preminente per il sindacalismo fascista. Partecipa alla fondazione del Fascio di Busseto e ne diventa segretario nel gennaio 1921 (in seguito all’uccisione del precedente segretario, Vittorio Bergamaschi). La sua carriera nel fascismo parmense vede anche un breve periodo in prigione per oltraggio contro le forze dell’ordine. Nell’agosto 1922, quando nei quartieri popolari di Parma si ergono barricate contro i fascisti, Aimi prende parte alle azioni per occupare Sissa e distrugge, con i suoi squadristi, la Cooperativa di Fontanelle. Per quest’ultimo fatto viene ricercato dalla polizia, il che spinge Aimi ad un periodo di latitanza. Dopo la presa del potere da parte del fascismo a livello nazionale, Aimi torna alla guida del sindacalismo parmense e procede alla definitiva distruzione dei sindacati nemici in provincia. Negli anni successivi, in seguito alle lotte intestine del Fascio di Parma, Aimi viene trasferito a Mantova (1927) e prosegue la sua carriera di sindacalista guidando, tra gli altri, i sindacati fascisti di Firenze.Nel 1939 diventa consigliere nazionale (nella Corporazione dei cereali). Muore a Como, nel 1960.


Fossa Davide

(1902-1976)

È uno dei fascisti più conosciuti di Parma, almeno nel periodo 1919-1921, anche se spesso opera lontano dal territorio natale. Iscritto ai fasci nel 1921, è tra i fondatori del Fascio di San Pancrazio Parmense e guida i sindacati fascisti di Parma. Partecipa alla marcia su Roma. Nel 1929 viene eletto alla Camera e in seguito partecipa alla guerra d’Etiopia. Aderisce alla RSI, guidando le province di Piacenza (1943-1944) e Modena (1944). Dopo la guerra emigra in Sud America, per poi tornare in Italia, dove muore nel 1976.


Ranieri Remo

(1894-1967)

Remo Ranieri, nato a Fontanellato, durante la nascita del fascismo riesce a ritagliarsi una piccola fetta di autonomia nella provincia, grazie al suo prestigio personale conquistato nel Fascio di Borgo San Donnino (cittadina che dalla fine degli anni Venti si sarebbe chiamata “Fidenza”). Nel 1922, quando già è uno dei punti di riferimento del fascismo locale, diventa assessore a Borgo San Donnino e, lo stesso anno, ad agosto, partecipa agli scontri di Parma. Negli anni successivi al 1922 rimane uno dei protagonisti del fascismo parmense, nonostante le numerose guerre intestine che caratterizzano il Fascio di Parma. Nel 1925, però, deve fare i conti con l’ostilità di Farinacci, che lo espelle dal partito. Farinacci non gradisce la sacca di autonomia che Ranieri è riuscito a costruirsi in quel territorio (il parmense) su cui il ras cremonese ambisce mettere le mani; inoltre è necessario allontanare uno dei capi dei fascisti dissidenti del parmense. A seguito di altre lotte intestine, che coinvolgono anche l’allora segretario del PNF (Augusto Turati). Ranieri viene riammesso al Partito. Continua la sua carriera nelle legioni della MVSN. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta diventa segretario federale del parmense e poi membro della direzione nazionale del PNF, nonché deputato. Nel 1934 lascia la politica e si dedica al ramo industriale alimentare. Muore a Fidenza nel 1967, dopo aver subito un processo per il suo passato fascista.


Picelli Guido

(1889-1937)

Antifascista, deputato, capo degli Arditi del popolo di Parma, combattente in Spagna durante la guerra civile. Guido Picelli mentre è uno dei punti di riferimento dell’antifascismo italiano, dopo la sua morte (avvenuta in Spagna, nel 1937) diventa un vero e proprio mito nella memoria degli antifascisti (non solo parmigiani), tanto che il suo ricordo sarebbe stato una colonna portante per la Resistenza parmense e per la politica di Parma nel dopoguerra. Nato a Parma nel 1889 lavora come orologiaio anche se la sua ambizione è di diventare attore. Aderisce al PSI e partecipa alla Grande Guerra come volontario nella Croce Rossa (sottotenente in un reggimento di fanteria). Nel 1919 diventa segretario del PSI di Parma e nel 1920 segretario delle Guardie Rosse. Partecipa a diverse azioni antimilitariste dell’immediato dopoguerra che gli guadagnano una certa fama tra le masse popolari di Parma. Viene eletto alle elezioni del 1921 con il PSI. Il suo apporto all’antifascismo locale è fondamentale: è convinto che lo squadrismo fascista non possa essere affrontato solamente con la propaganda politica o con le sfide elettorali. Lo scontro va portato sullo stesso piano dove gli squadristi fascisti lo avevano portato, cioè quello militare. È così che nell’estate del 1921 fonda gli Arditi del popolo di Parma, nonostante non siano pochi i socialisti e i comunisti di Parma ad essere contrari alla sua linea politica. Arrestato diverse volte per detenzione di armi, viene scarcerato perché deputato. Durante lo sciopero dell’Alleanza del Lavoro e durante le celebri giornate dell’agosto 1922, Picelli diventa il capo indiscusso della vittoriosa azione militare dei quartieri popolari contro il tentativo di aggressione da parte delle squadre fasciste, guidate da Italo Balbo. Dopo la marcia su Roma Picelli scioglie gli Arditi di Parma, creando i Gruppi segreti di azione (operano fino al 1923). Con l’inizio del regime la vita di Picelli diventa durissima, come quella di molti altri antifascisti italiani. Nonostante sia diventato ancora una volta deputato nel 1924 (per il Partito Comunista) viene arrestato (era la quinta volta) per aver esposto una bandiera rossa alla Camera. Inoltre, subisce molte aggressioni dopo il delitto Matteotti, da parte dei fascisti. Nel novembre 1926 viene condannato al confino, dopo che il suo mandato parlamentare viene dichiarato decaduto in seguito alle Leggi fascistissime. Passa diversi mesi in diverse carceri in Sicilia, per poi finire al confino, sulle isole di Lampedusa e Lipari. Nel 1931, liberato dal confino, muove verso Milano, per poi espatriare prima in Francia e poi in Unione Sovietica. Il suo impegno antifascista non viene mai meno, fino a portarlo a combattere la guerra civile in Spagna, dove cade sul fronte di Guadalajara. Il governo repubblicano di Spagna gli conferisce funerali di Stato, che vengono celebrati in diverse città. È il primo atto di una memoria antifascista che si sarebbe costruita attorno a Guido Picelli.


De Ambris Alceste

(1874-1934)

De Ambris aderisce al PSI a fine Ottocento e diventa uno dei principali protagonisti del socialismo della sua provincia natale (Massa Carrara). Nel 1898 piuttosto che entrare a far parte delle forze armate per servizio di ordine pubblico, preferisce disertare ed emigrare in Francia (il che gli costa una condanna ad un anno di carcere). Si trasferisce quindi in Brasile, dove matura un’esperienza notevole nella difesa dei diritti dei lavoratori agricoli italiani. Tornato in Italia, diventa segretario della Camera del Lavoro di Savona (1903), poi si trasferisce a Livorno, a Roma (dove guida La Gioventù Socialista) e poi ancora a Milano (è tra i dirigenti del sindacalismo socialista). Nel 1907 diventa direttore della Camera del Lavoro di Parma e guida anche L’Internazionale, l’organo di stampa dei sindacalisti locali. A seguito dello sciopero del 1908 deve nuovamente abbandonare l’Italia. Tornato in Italia dopo la sua elezione a deputato per il PSI (1913) torna a dirigere i sindacati e diversi organi di stampa socialisti. Con lo scoppio della Grande Guerra, insieme a Filippo Corridoni sostiene l’idea interventista e partecipa alla guerra come volontario. Nel 1919 condivide le idee del primo fascismo, tanto da collaborare al Manifesto dei Fasci (pubblicato nel giugno 1919). Nel 1920 raggiunge D’Annunzio a Fiume, diventa capo di gabinetto del poeta e redige la Carta del Carnaro. Nel Natale 1920 De Ambris torna a Parma, approdando definitivamente all’antifascismo. Con l’avvento al potere del fascismo De Ambris muove volontariamente verso l’esilio in Francia dove muore nel 1934.


Lusignani Luigi

(1877-1927)

Lusignani, liberale, è una delle figure più controverse di Parma, nel periodo 1919-1922. È sindaco della città (1906-1909), professore all’Università di Parma, fondatore dell’Associazione Agraria Parmense e presidente della Cassa di Risparmio di Parma e, sembra, coinvolto in diverse logge massoniche della città. Nel 1909 viene sconfitto da Berenini alle elezioni politiche e nello stesso anno un’inchiesta fa luce sulla gestione finanziaria del Comune poco trasparente durante la sua amministrazione. Dopo la Grande Guerra fonda la Banca Popolare Agricola e nel 1920 viene eletto presso il consiglio provinciale (per i liberali), pur essendo già allora molto vicino al fascismo (è tra i finanziatori del quotidiano La Patria). Gli anni del dopoguerra sono molto complessi per Lusignani: viene coinvolto in polemiche contro l’avvocato Aurelio Candian, vicenda che attira molto l’attenzione dei riflettori e che porta ad un processo, terminato solamente nel 1924. Aderisce al PNF nel 1922 e non mancano episodi in cui si serve degli squadristi per compiere violenze contro esponenti politici che si sono posti contro di lui. Ufficialmente, per questo motivo viene espulso dal Partito. Dopo la marcia su Roma stringe contatti con Farinacci e altri estremisti fascisti. Grazie al ras cremonese (che ha ricevuto sostanziosi finanziamenti da Lusignani), l’ex-sindaco di Parma riottiene la tessera del PNF nel 1924. Ma ciò non pone fine alle ostilità nei suoi confronti da parte dei fascisti moderati e da parte di quelli che, come Aimi, lo vedono come un esponente di una classe dirigente ormai decaduta. Divenuto Farinacci segretario del partito, Lusignani diventa presidente della Cassa di Risparmio di Parma, all’inizio del 1925. In seguito a scontri intestini al Fascio di Parma, al suo seguente commissariamento e al fallimento della Cassa di Risparmio, Lusignani viene esonerato dai suoi incarichi e arrestato. Muore suicida, nel carcere di Reggio Emilia, nel 1927.