Ravenna

BIOGRAFIE

Cagnoni Andrea

Ravenna, 1875

Nato a Ravenna nel 1875, fratello minore di Pietro Cagnoni e socio fondatore della Società romagnola di navigazione a vapore, è insieme al fratello una delle figure di rilievo della vita economica ravennate. Protagonista della mobilitazione cittadina irredentista, a fianco del fratello a sostegno della causa fiumana, viene nominato assessore alle finanze nella prima giunta fascista nell’aprile del 1923. Dopo l’allontanamento del fratello dalla presidenza della Deputazione provinciale, anche lui rassegna le proprie dimissioni. Continuerà a occuparsi del porto e della vita economica della città permanendo in Consiglio comunale. Nel 1931 viene nominato podestà di Ravenna, carica che mantiene per sei anni, durante i quali la città vive una intensa fase di riurbanizzazione.


Cagnoni Giovanni Battista (“Gianni”)

Ravenna, 1899

Classe 1899, figlio dell’armatore Pietro Cagnoni, si afferma fin dalla fondazione del Fascio di combattimento ravennate come principale protagonista delle azioni violente del primo squadrismo. Di carattere irruento, guadagna il ruolo di leader grazie anche al suo essere stato un giovanissimo volontario nella Grande guerra. A capo delle spedizioni punitive in particolare nella zona di Cervia e Rimini, protagonista dell’aggressione alla sede ravennate della Camera del Lavoro durante la “marcia su Ravenna” del settembre 1921, gode della protezione dell’autorevole padre, che lo fa anche allontanare dall’ambiente ravennate per proteggerlo dalla minaccia di ritorsioni. Quando viene arrestato a Cervia insieme a altri undici per aver aggredito la forza pubblica, gli stessi Italo Balbo e Dino Grandi si recano dal prefetto di Ravenna rendendo pubbliche le loro rimostranze. Poi nominato commissario prefettizio a Cesenatico, non sarà in grado di mantenere l’incarico a lungo, mentre si distinguerà nelle azioni militari, tanto nella guerra di Spagna, dove partirà volontario, che nella Seconda guerra mondiale, ricevendo diverse croci al merito. Da squadrista della prima ora si troverà a combattere contro i reparti tedeschi in Corsica dopo l’armistizio, guadagnando per questo motivo una medaglia al valore nella Resistenza francese.


Cagnoni Pietro

Ravenna, 1869

Nato a Ravenna nel 1869. Imprenditore ravennate, commerciante di legnami, insieme al fratello Andrea fonda nel 1909 la Società romagnola di navigazione a vapore, dedita al trasporto merci e passeggeri verso Trieste e le coste istriane. Di tradizione repubblicana, fervente irredentista nonché figura di rilievo della Loggia massonica Dante Alighieri, si fa promotore dell’intervento italiano nella Grande guerra. Nel 1919 diventa presidente del primo Comitato Pro Fiume ravennate, mettendo anche a disposizione le sue imbarcazioni per rifornire gli insorti fiumani. In virtù della sua attività di armatore e del suo impegno pubblico nei confronti dei reduci e della causa fiumana, viene indicato come figura autorevole adeguata per prendere in mano la gestione della Federazione provinciale delle cooperative, dopo che l’incendio della sede e la prova di forza fascista sulla città hanno portato all’allontanamento del fondatore Nullo Baldini nel luglio del 1922. Pietro Cagnoni, su decreto prefettizio, assume nel novembre 1922 l’incarico di commissario straordinario per l’amministrazione temporanea della Federazione, con il mandato di ridimensionare il colosso socialista, smantellarlo dove necessario e renderlo funzionale all’amministrazione fascista. Nel novembre 1923 viene inoltre nominato, su intercessione di Giuseppe Frignani, a capo della Deputazione provinciale di Ravenna. Figura centrale nel passaggio dalla tradizione repubblicana all’amministrazione fascista della città, viene poi fatto oggetto di una campagna stampa denigratoria per via della sua affiliazione alla massoneria, e costretto alle dimissioni da entrambi gli incarichi nell’ottobre del 1924. Muore nel 1926 già lontano dalla vita politica della città.


Calvetti Celso

Ravenna, 3 agosto 1890

Nato nel 1890, ragioniere, figlio di proprietari terrieri e impiegato nel Consorzio agrario, proviene dalla tradizione liberale di destra legata alla massoneria. Reduce di guerra, è tra i protagonisti decisivi nella fondazione del fascismo ravennate. Primo segretario politico del Fascio di combattimento, partecipa come rappresentante ravennate alla grande adunata bolognese del fascismo emiliano romagnolo, il 21 aprile del 1921. Come Frignani, incarna la parte più borghese e politica del primo fascismo. Sarà nominato sindaco di Ravenna dopo le elezioni dell’aprile 1923, poi assumerà la carica di podestà fino al 1931.


Frignani Giuseppe

Ravenna, 14 aprile 1892

Classe 1892, ragioniere e avvocato, si afferma come figura di riferimento del fascismo ravennate. Reduce di guerra e ferito gravemente, è tra i fondatori della ravennate Associazione nazionale combattenti e mutilati, poi vicedirettore della Cassa di Risparmio di Ravenna. Nel Fascio di combattimento di Ravenna fin dalla fondazione nel marzo 1921, assume ruoli organizzativi riuscendo ad imporre la propria linea politica in contrasto con Ettore Muti e Renzo Morigi. Sua la volontà di nominare Pietro Cagnoni alla presidenza della Deputazione provinciale e all’amministrazione della Federazione delle cooperative. A capo della federazione fascista di Ravenna dal 1922, è alla guida della prova di forza che porta all’occupazione delle principali istituzioni cittadine nei giorni della marcia su Roma. Il governo Mussolini lo vorrà alla direzione del Banco di Napoli, facendone uno degli elementi centrali della politica economica del regime.


Morigi Renzo

Ravenna, 28 dicembre 1895

Classe 1895, figlio di proprietari terrieri, fa parte del primo nucleo del Fascio di combattimento ravennate, fondato nel marzo del 1921. Partecipe del primissimo squadrismo, assume ruoli diversi nella gestione fascista del territorio ravennate, dalla tra cui la carica di assessore comunale. Campione di tiro a segno, medaglia d’oro alle olimpiadi di Los Angeles del 1932, sarà segretario federale dal 1928 al 1933 nonché vicesegretario nazionale del Pnf, membro del Gran consiglio del fascismo e deputato nella XXIX legislatura.


Muty Ettore (poi Muti)

Ravenna, 22 maggio 1902

È il leader indiscusso dello squadrismo ravennate. Rinomato per la sua indole violenta e per le sue doti al comando, quando compare, non ancora ventenne, tra i primi fondatori del Fascio di combattimento ravennate è già reduce dell’impresa di Fiume e della Grande guerra, dove si è arruolato volontario a soli 16 anni falsificando i documenti. Da Ravenna si pone alla guida delle spedizioni punitive dello squadrismo ravennate, contro circoli politici, sedi socialiste e militanti della bassa romagnola. Presente in tutti i momenti decisivi di affermazione simbolica e violenta dello squadrismo, è tra i protagonisti dell’offensiva verso i paesi della provincia dopo la conquista fascista di Ravenna (la famigerata “colonna di fuoco” guidata da Italo Balbo) e si pone alla guida delle squadre fasciste nell’occupazione della sede della prefettura mossa in concomitanza della marcia su Roma. La sua permanenza a Ravenna come comandante della Milizia Volontaria della Sicurezza Nazionale durerà fino al 1927, quando verrà trasferito a Trieste a seguito di un attentato subito, in circostanze non chiare, nella piazza principale della città. Aviatore decorato nella guerra d’Etiopia, segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista, la sua vita politica e militare si sarebbe svolta lontano da Ravenna, fino all’arresto e all’uccisione avvenuta il 24 agosto 1943.


Poletti Pio

1846

Classe 1846, giovane volontario garibaldino nella campagna trentina, è sindaco liberale di Ravenna dal 1892 al 1902. Convinto irredentista, con l’entrata in guerra dell’Italia si arruola come volontario, nonostante l’età avanzata, riuscendo ad ottenere una medaglia di bronzo al valore militare prima di essere dimesso per problemi di salute. Portavoce della mobilitazione cittadina contro il “disfattismo” dei neutralisti, rappresenta l’interventismo che si converte dopo la guerra in nazionalismo antisocialista. Sostiene infatti il fascismo nascente ed è capolista alle elezioni dell’aprile 1923 che vedono il Pnf come unico candidato, nelle quali ottiene il numero più alto di preferenze.


Rambelli Luciano

Ravenna, 1902

Classe 1902, coetaneo di Ettore Muty, sarà Segretario federale a Ravenna dal 1934 al 1940, anno in cui verrà costretto a dimettersi a seguito di un’inchiesta che lo accuserà di avere messo in piedi, nel ravennate, un sistema di potere dispotico e corrotto, fondato sul ricatto e sul controllo indiscusso sul territorio. Negli anni dell’ascesa del fascismo lo troviamo, giovanissimo e armato di bastone da passeggio, tra i più accesi picchiatori delle squadre in camicia nera, protagonista delle scorribande contro socialisti e cooperatori nella provincia.


Forlì Cesena

BIOGRAFIE

Arpinati Leandro

Civitella di Romagna, 29 febbraio 1892

Nato da modesta famiglia, milita dapprima nelle fila del gruppo giovanile socialista, per poi passare all’anarchismo, dopo una breve esperienza da operaio nel torinese. Collaboratore dell’Alleanza libertaria di Roma, si fa presto conoscere in Romagna per le polemiche contro il giornale forlivese La Lotta di classe, all’epoca diretta da Benito Mussolini. Trasferitosi per lavoro a Bologna, partecipa sin dall’agosto 1914 all’agitazione interventista in città e durante la guerra si avvicina sempre di più al messaggio “trincerista” del Popolo d’Italia, risultando tra i fondatori del Fascio bolognese di combattimento (10 aprile 1919), e assurgendo alla carica di segretario federale nel 1921. Impegnato con estrema violenza ed asserzione in spedizioni punitive da Monza ad Ancona, dopo i “Fatti di Palazzio d’Accursio”, s’impone rapidamente come una delle figure dominanti del fascismo emiliano (ininterrottamente eletto deputato dal 1921 al 1934), Nel primissimo dopoguerra ha un ruolo indiretto ma rilevante nel favorire l’elevazione della conflittualità socio-politica nell’Appennino forlivese (dove è ben conosciuto, dati i suoi natali), poichè il suo “famigerato” nome di RAS squadrista, basta a preparare il terreno alla penetrazione da fuori provincia di “camicie nere” emiliane, agganciandosi alle rappresaglie (a partire da quelle per il fattaccio di Arpineto di Civitella, 17 aprile 1921) organizzate dai ben più numerosi gruppi repubblicani, impegnati in una feroce battaglia di strada contro socialisti e comunisti. Il 27 luglio 1922, all’apice della pressione apportata dalle milizie emiliane e dalle squadre ferraresi-ravennati sulla periferia rivierasca della provincia forlivese, Arpinati è ferito nel corso di uno scontro a fuoco che porta alla morte del fascista bolognese Clearco Montanari. L’evento catalizzerà le pregresse interlocuzioni, in chiave anti-socialista, tra fascisti e repubblicani romagnoli, che arriveranno ad un “Concordato di Pacificazione” il 28 luglio 1922, sulla cui base Balbo imbastirà il suo prepotente attacco su Ravenna, Cesenatico, Santarcangelo di Romagna e Savignano, conclusosi nell’occupazione “nera” dei rispettivi Comuni. Gerarca di successo lungo il primo decennio del Regime, la posizione di Arpinati si fa tuttavia sempre più critica man mano che la dittatura si “totalitarizza” (a causa della sua avversione per corporativismo, interventismo economico e fascistizzazione dello Stato): già dimessosi da ogni incarico ufficiale, viene arrestato nella notte del 26 luglio 1934 con l’accusa di «ostilità alle direttive e all’unità dello Stato» e inviato in confino a Lipari. Amnistiato, rientra nel 1936 a Bologna, ove rimane sotto stretta sorveglianza, vivendo come capo di azienda agricola (Tenuta di Malacappa). Dopo l’Armistizio, rifiuta a più riprese le offerte di Mussolini per un rientro politico tra le fila della RSI (i cui connotati in teoria sarebbero dovuto essere maggiormente confacenti all’antico spirito “movimentista” di Arpinati), fino al definitivo diniego espresso di persona al “decaduto duce”, alla Rocca delle Caminate, il 7 ottobre 1943. Decisivi, in questo senso, saranno il naturale anti-germanesimo di Arpinati (ereditato dallo spirito della Grande Guerra) e, soprattutto, l’astio conservato da Arpinati verso Mussolini. Rimasto allora nella tenuta di Malacappa, Arpinati aiuta alcuni ufficiali inglesi, evasi da un campo di prigionia, e si presta a sostenere occasionalmente gruppi di resistenti italiani. Il 22 aprile 1945, giorno successivo alla liberazione di Bologna, viene ucciso da un gruppo di partigiani comunisti, che non avevano dimenticato le pesantissime violenze subite negli anni dello squadrismo emiliano. Perderà la vita anche l’amico Torquato Nanni (1888-1945), già sindaco socialista di Santa Sofia, che tenta invano di difenderlo frapponendosi al mitra puntato contro di lui.


Bombacci Nicola 

Civitella di Romagna, 24 ottobre 1879

Nasce da famiglia contadina. Cresciuto a Meldola, dopo un fugace passaggio in Seminario, arriva tardivamente a diplomarsi come maestro elementare, compagno di corso del più giovane Benito Mussolini, presso il Collegio di Forlimpopoli. Dopo alcuni anni di precariato lavorativo nelle province di Reggio Emilia e Piacenza, decide di abbandonare l’insegnamento e di dedicarsi interamente all’attività politica, tra le fila socialiste. Diventa segretario della federazione di Cesena nel 1910 e l’anno successivo entra nel Consiglio Nazionale dell Confederazione Generale del Lavoro. Trasferitosi a Modena, vi diventa rapidamente il dominus politico, arrivando assommare – durante la Grande Guerra – le cariche di segretario della Camera del Lavoro e della Federazione provinciale. Nel luglio 1917 entra nella Direzione del Partito Socialista Italiano, in quota massimalista, divenendo segretario generale nell’ottobre 1919: estremamente popolare ed assertivo, impone al partito una riconfigurazione in senso verticistico e centralizzatore (anche delle sue strutture locali) del partito. Profondamente affascinato dal leninismo tenta di traghettare la strategia del PSI verso immediata costituzione di Soviet italiani, ma non riuscendo a trovare adeguati consensi, è costretto a rassegnare le dimissioni da segretario generale (febbraio 1920). Dopo aver fondato con Gramsci, Bordiga, Graziadei ed altri la Frazione Comunista in seno al partito socialista, al XVII Congresso Nazionale del PSI (Livorno, 15-21 gennaio 1921), opta per la scissione e la fondazione del Partito Comunista d’Italia, Sezione Italiana della III Internazionale (PCd’I), nel quale divenne membro del Comitato Centrale. Viene eletto deputato nelle elezioni politiche del 1921, e nominato segretario del Gruppo Parlamentare Comunista. Alla presenza del conterraneo Bombacci, il 24 aprile 1921 il PCdI s’installa ufficialmente nel comprensorio forlivese-cesenate, contrapponendosi dopo pochissimo all’apertura dei Fasci di Cesena (15 febbraio 1921) e Forlì (10 aprile 1921). Il 25 aprile, lo stesso Bombacci è obbligato a lasciare Forlì dai fascisti, che lo scortano rudemente alla stazione ferroviaria: durante il tragitto, un giovane militante “rosso” (Senzani Pietro), al grido di «Viva il Comunismo, Viva la Russia, spara da una finestra contro il manipolo di camicie nere, senza tuttavia centrare il bersaglio. In rappresaglia i fascisti malmenano pubblicamente Bombacci, prima di lasciarlo andar via in treno. Il suo nome continua ad aleggiare dentro alla crescente resistenza violenta che i comunisti romagnoli oppongono all’offensiva fascista sul territorio. Dopo la presa di potere fascista, le posizioni movimentiste e massimaliste mantenute in seno al PCd’I – nel quale invece si affermano le correnti ordinoviste (Gramsci, Togliatti, Terracini, …) e settarie (Bordiga) – decretano il rapido eclissarsi dell’astro di Bombacci, che verrà espulso nel 1923 – poi temporaneamente reintegrato su pressioni sovietiche – infine radiato definitivamente per “indegnità politica” nel 1927. Sostentatosi per alcuni anni grazie a sussidi e collaborazione con l’Ambasciata sovietica a Roma, si ritrova a partire dal 1930 in gravi condizioni economiche e famigliari: in particolare a causa delle dispendiose cure richieste dal figlio Wladimiro, inizia a riavvicinarsi al conterraneo e vecchio compagno di Collegio, Benito Mussolini, che decide di aiutarlo, non solo in onore dei vecchi tempi, ma anche per ottenere la soddisfazione di vedere l’abiura ideologica di uno dei massimi esponenti comunisti pre-marcia. Il duce gli procura un impiego presso l’Istituto internazionale per la cinematografia educativa e sovvenziona la fondazione di una rivista di Regime, diretta da Bombacci assieme ad alcuni ex-sindacalisti rivoluzionari. Divenuto alfiere di un mussolinismo interpretato come “rivoluzione sociale del lavoro e della collettività” («Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno», discorso del 15 marzo 1945 a Genova), aderisce fanaticamente alla RSI. Finisce fucilato il 28 aprile 1945 sul Lago di Como e poi appeso per i piedi a Piazzala Loreto assieme a Mussolini, la Petacci ed altri gerarchi fascisti.


Braschi Giovanni 

Mercato Saraceno, 27 febbraio 1891

Nasce da famiglia borghese (commercianti di legname). Sin da giovanissimo è vicino alle associazioni cattoliche giovanili  e inizia a distinguersi pubblicamente in occasione delle lotte contadine per il rinnovo dei patti agrari, nel biennio 1911-12. Compiuti gli studi liceali presso il Seminario di Faenza, s’iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza di Bologna, dove entra in contatto con numerosi intellettuali progressisti a vocazione sociale, eredi dell’esperienza “modernista” di Romolo Murri. Si laurea solo nel luglio 1919, quando ha ormai 28 anni, poichè all’entrata in guerra dell’Italia decide di arruolarsi volontario. Fatto prigioniero sulle Dolomiti, quando ha raggiunto i  gradi di tenente di fanteria, è rinchiuso a lungo tra Austria e Ungheria, passando anche per il campo di Mauthausen: proprio durante questo periodo, compone un ricco diario, poi pubblicato, con discreta fortuna, nel dopoguerra.  Terminato il conflitto e rientrato in Romagna, riprende la sua attività socio-politica, accogliendo pienamente le istanze di Don Luigi Sturzo:  è infatti tra i fondatori del Partito Popolare Italiano nel forlivese, di cui diviene Segretario provinciale. Ribadendo il suo impegno verso le questioni dei lavoratori della terra, è anche tra i fondatori della «Rivista Agricola Romagnola», di cui assume subito la direzione. Quando si candida alla Camera per la circoscrizione bolognese-romagnola, nel 1921, ha un curriculum che si estende pure al Segretariato della Federazione contadina e al comitato direttivo nazionale della Confederazione Generale del Lavoro. Piuttosto popolare conquista facilmente la XXVI e la XXVII (tornata del 1924) legislatura. Imperturbabilmente esposto alla sinistra del PPI, è fieramente antifascista sin dai primordi del 1919: è per questo motivo spesso in contrasto interno con quelle forze cattoliche romagnole che – a macchia di leopardo sul territorio – offrono intermittenti sponde alle “camicie nere” in funzione anti-socialista o anti-repubblicana. Numerose volte oggetto di aggressioni squadriste nei primissimi anni Venti, riesce ad evitare violenze estreme – anche in ragione del minoritario peso specifico detenuto dal PPI nel forlivese-cesenate – e a mantenersi presidio di una opposizione, almeno ideale, all’ascesa mussoliniana. A seguito del famigerato discorso del 3 gennaio 1925, con il quale l’autoproclamato duce “chiude il Parlamento” ed impone il Regime dittatoriale, Braschi si ritira a Forlì: dichiarato decaduto dalla carica parlamentare nel 1926, è oggetto fino a tutto il 1927 di continui attacchi (tra i più gravi, la devastazione del suo studio d’avvocato  e l’incendio della casa) volti a ridurlo al silenzio.  Torna alla vita pubblica solo alla caduta del Regime fascista, schierandosi naturalmente con le forze democratiche: con l’instaurazione della RSI, è arrestato dalla polizia nazi-fascista il 2 dicembre 1943. Infine reputato non materialmente pericoloso, viene scarcerato agli inizi del 1944: fuggito verso Nord, viene presto membro del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, in rappresentanza della neonata Democrazia Cristiana (DC). A Paese liberato, diventa Consigliere comunale per la DC a Forlì, poi si candida alle elezioni del 2 giugno 1946 per l’Assemblea Costituente: eletto ed attivo nella Terza Commissione per l’esame dei disegni di legge, nel 1948 è nominato Senatore di diritto nella I Legislatura (1948), carica che manterrà sino alla morte (4 gennaio 1959). A livello governativo della Repubblica, ha ricoperto i ruoli di Sottosegretario alle Finanze (con delega ai danni di guerra) nel De Gasperi III (febbraio-maggio 1947) e di Ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel Segni I (1955-1957).


Comandini Ubaldo  

Cesena, 25 marzo 1869

Nasce a Cesena da famiglia di fortissime tradizioni risorgimentali (suo zio Federico era stato tra i difensori della Repubblica Romana). Cresciuto in una granitica fede repubblicana, si laurea in Giurisprudenza a Bologna nel 1891, abbinando sin da subito un’intensa attività politica alla professione di avvocato. Il movimento repubblicano era d’altronde in pieno fermento organizzativo (si sarebbe composto in partito nell’aprile 1895) e la fanatica determinazione di Comandini ne fece rapidamente uno dei più autorevoli esponenti in Romagna, che restava il territorio più importante a livello nazionale per gli ideali mazziniani. Eletto nel 1892 consigliere comunale di Cesena, diviene assessore alla Pubblica Istruzione. Raggiunto un ruolo di peso nella Massoneria locale (1899), Comandini inizia nel 1900 la sua vera scesa politica, sviluppando innanzitutto l’iniziativa in campo sociale, con faticose campagne tra i mezzadri e i braccianti impegnati nelle lotte per conquistare migliori patti colonici. Nel giugno 1900, riconquista il collegio elettorale di Cesena ai repubblicani dopo otto anni di prevalenza liberale. Alla Camera è il più giovane deputato del gruppo repubblicano, di cui viene nominato segretario. Confermato deputato per le successive tre legislature, da Roma Comandini continua ad occuparsi direttamente delle vicende romagnole. L’impegno da lui profuso nelle campagne cesenati porta ad esempio, nel novembre 1901, alla costituzione della Fratellanza dei contadini e della Federazione dei braccianti, con oltre mille soci ciascuna. Il successo di questa operazione d’espansione porta inevitabilmente all’elevazione della competizione “popolare” con i socialisti, testimoniata da clamorose “rotture” nei Congressi regionali dei lavoratori della terra, e finanche da sanguinosi scontri in tutta la Romagna, parzialmente ricomposti solo a seguito della decisione della sezione cesenate – controllata dai repubblicani – di distaccarsi dalla Camera provinciale del lavoro di Forlì, in mano ai socialisti (2 novembre 1902). Sempre nel 1902 i repubblicani riconquistano il Comune di Cesena: con il radicamento del partito repubblicano nell’amministrazione locale e nelle organizzazioni economiche vengono così raggiunti gli scopi che Comandini si era proposto accingendosi all’opera di rinnovamento del partito. Tutto ciò conseguito, dirige ogni suo interesse professionale e politico verso Roma. Riconfermato ancora deputato per il collegio di Cesena (elezioni del 1904 e del 1909), ricopre a lungo il ruolo di Presidente del gruppo parlamentare del Partito repubblicano italiano. Quando, nell’agosto 1914, un gruppo di deputati del partito repubblicano presenta una mozione interventista, Comandini – insieme con Giuseppe Gaudenzi, deputato repubblicano di Forlì – si dissocia dalla posizione ufficiale del partito, in considerazione principalmente della contrarietà delle masse lavoratrici alla guerra. Modifica tuttavia la sua visione nel giro di alcuni mesi, tanto da arruolarsi volontario assieme ai figli ventenni, una volta aperte le ostilità da parte italiana. Dal giugno 1916 all’ottobre 1917 fa parte del ministero Boselli come ministro senza portafoglio, occupandosi di assistenza di guerra: pur caduto il Gabinetto, resta attivo sino a Vittorio Veneto come Commissario generale per la propaganda. Nel complicato indomani del conflitto, sottoposto a critica anche dall’interno del suo partito, decide di accogliere le insistenze del suo entourage cesenate e si dimette dal Governo nel febbraio 1919.Pur amareggiato, nel novembre 1919 accetta una nuova candidatura alle elezioni politiche, ma subisce una clamorosa sconfitta che lo convince a non ripresentarsi nelle successive elezioni del 1921. Nel giugno 1920, prende parte a Roma al Congresso per il rinnovamento, nel quale il movimento dei combattenti cerca di darsi una piattaforma politica, ma la sua attenzione è assorbita soprattutto dalla recrudescenza in Romagna delle ostilità tra socialisti neutralisti e repubblicani interventisti, i quali alla luce dei rispettivi “totem” (la Rivoluzione d’Ottobre e la Vittoria nella Grande Guerra) si stanno liberando ad una feroce resa dei conti. In tale ribollente situazione, macchiata da multipli omicidi e da una retorica sempre più sanguinaria, Comandini interpreta l’insorgente fascismo come un fattore di utile complemento, in chiave patriottarda ed anti-marxista, affascinato anche dalle presunte tendenze anti-monarchiche di Mussolini. Imponendo allora al repubblicanesimo cesenate un atteggiamento non ostile, è tra i firmatari a Ravenna, il 28 luglio 1922, di un patto di pacificazione con i fascisti, che contribuirà de facto a sdoganare la decisiva offensiva delle squadre di Italo Balbo contro il versante adriatico della Romagna. Giunto il fascismo al Governo, la posizione di Comandini inizia a farsi particolarmente difficile, come testimoniato dal suo tormentato rifiuto all’invito rivoltogli da Mussolini ad entrare nel suo primo Gabinetto. Le sue scelte nelle concitate settimane che precedono la Marcia su Roma, ne determinano a cose fatte una progressiva emarginazione rispetto al direttorio nazionale del partito repubblicano: Comandini opta per dunque per l’incredibile scissione, costituendo il 22 gennaio 1923, naturalmente a Cesena, la Federazione repubblicana autonoma delle Romagne e delle Marche. Ritrovatosi presto in un cul de sac operativo, morale e politico, finisce per ricredersi sul fascismo, esponendosi in pubblica condanna a seguito del delitto Matteotti, pochi mesi prima di morire, a Roma il 1° marzo 1925, per un attacco di trombosi cerebrale.


Gaudenzi Giuseppe  

Terra del Sole, 1872

Nasce nel 1872 a Terra Del Sole, allora facente parte della Toscana, da famiglia piuttosto benestante. Compie gli studi a Firenze ma si dimostra precocemente attivo nella politica romagnola: ancora liceale, è già tra i massimi promotori della Società Operaia Repubblicana “Aurelio Saffi” di San Varano (frazione rurale di Forlì). Il 26 luglio 1890, fonda il settimanale “La Romagna” che si attesta su posizioni di mazzinianesimo intransigente e opera sin da subito quale “organo riformatore” di un movimento repubblicano entrato in decisa crisi dopo il “tradimento filo-monarchico” di Alessandro Fortis (1888) – fin lì massima autorità parlamentare di area mazziniana – e la morte di Saffi (1890). Il 30 aprile 1894 diventa Presidente del Circolo Giuseppe Mazzini di Forlì, il più importante d’Italia per via della sua influenza sull’intero movimento, e anche segretario della Consociazione Romagnola, dal cui Congresso (24 giugno 1894) riesce ad ottenere l’approvazione di un progetto di riordinamento organizzativo, volto a superare le fratture interne tra “astensionisti” e “parlamentaristi”, attraverso la costituzione del Partito Repubblicano Italiano, legittimato a trovare una linea unitaria (ma anche strumento necessario ad aggirare il decreto di scioglimento, ingiunto dalla Prefettura di Forlì alla Consociazione Romagnola, accusata secondo le leggi anti-anarchiche crispine di sovvertire l’ordine sociale). Il 21 aprile 1895, viene fatto nascere il PRI: Gaudenzi ne è il primo segretario nazionale e il suo giornale, “Il Pensiero romagnolo”, fondato nell’agosto 1894 dopo la scomparsa de ”La Romagna”, è eretto ad organo ufficiale del Partito. Sempre nel 1895, è eletto per la prima volta in Consiglio comunale di Forlì (in una lista concordata coi Comitati popolari), ottenendo la conferma nel 1898: in questo anno, marchiato dai Moti per il pane e dalle conseguenti repressioni governative, Gaudenzi s’impone ancor di più quale riferimento nazionale del repubblicanesimo, in quanto tra i pochissimi a scampare l’arresto o la fuga all’estero. L’intero peso dello scompaginato PRI posa sulle sue spalle, tanto che la sede centrale del partito è nuovamente trasferita (da Milano) a Forlì, da cui per un certo periodo sarà redatta anche la comunicazione ufficiale per l’intero Paese (al ”Pensiero romagnolo” viene aggiunto il sottotitolo ”Il Popolo sovrano”, per le edizioni destinate al resto della Penisola). Con il rientro nella normalità politica, la città di Forlì, così come gli altri grandi centri della Romagna, è tra le prime in Italia a sperimentare una amministrazione comunale a guida repubblicana (1901), raggiunta anche grazie ad un accordo – in chiave d’interventismo popolare e di tutela delle fasce sociali più deboli – coi socialisti, garantito proprio da Gaudenzi, che si ritaglia inizialmente il ruolo di Assessore, per poi passare nelle rinnovate consiliature successive alla funzione di Prosindaco (dal 1910). Segno massimo di questa intesa è la fondazione della Camera del Lavoro di Forlì (1901), retta congiuntamente da repubblicani e socialisti. Gaudenzi è un ottimo oratore, sa parlare alle corde profonde di operai e contadini che rivendicano finalmente un posto nello spazio pubblico, ha un discreto rapporto col mondo socialista (al punto da impegnarsi affinchè le organizzazioni sindacali repubblicane aderiscano alla Confederazione generale del lavoro e alla Federterra, nel 1908), e può intestarsi molto dei massicci interventi infrastrutturali e delle inedite forniture di servizi primari poste in campo dall’Amministrazione repubblicana, soprattutto tra il 1901 e il 1909. Tutto ciò gli dischiude la strada verso il Parlamento: nel 1904 diventa deputato, strappando ai liberali un loro storico seggio, riuscendo nella rielezione nella tornata 1909. Mantenendosi intransigente rispetto alla pregiudiziale anti-monarchica, giura “fedeltà alla Patria e al Popolo”, invece che alla Corona. Malgrado il suo fortissimo ascendente locale, si rivela impotente di fronte all’incrinarsi dei rapporti tra repubblicani e socialisti romagnoli (la Camera del Lavoro di Forlì, nel 1911, vede la scissione tra le due componenti), che si esemplifica a Forlì nella sfida che Benito Mussolini, in quel momento leader socialista, gli porta con acredine per la carica di deputato nelle elezioni politiche 1913. Gaudenzi riesce a spuntarla, ma il terreno sotto i suoi piedi inizia realmente a scottare: faticosamente da Roma riesce a contenere le derive insurrezionali dei suoi durante la “Settimana Rossa” del 1914, poi è costretto ad accettare suo malgrado – lui neutralista ed anticolonialista – la scelta interventista del PRI nella Prima Guerra mondiale. Alla fine del conflitto, la prospettiva nazionale è piuttosto cambiata, come gli testimonia l’inaspettata sconfitta alle elezioni politiche del 1919, che lo privano del seggio parlamentare. Riesce tuttavia a conservare la guida del Comune di Forlì: solo idealmente rivoluzionario, contrario alla violenza politica e rapidamente scivolato in minoranza nel movimento repubblicano per via del suo fiero antifascismo, si dimostra impotente nell’esplodere degli scontri in Romagna. S’illude vanamente di aver contribuito a porre termine ad una parte delle violenze, accettando (sempre tra mille dubbi) di sottoscrivere il patto di pacificazione con i fascisti (luglio 1922): il 30 ottobre dello stesso anno, è costretto alle dimissioni – assieme alla sua giunta – dalle camicie nere piombate in municipio sulla scia emotiva della Marcia su Roma. Nel 1924, dopo il delitto Matteotti, torna ad assumere “ad interim” la segreteria politica del PRI, che conserva per tutta l’esperienza dell’Aventino e fino all’ultimo congresso del partito, tenutosi nel maggio 1925. Dopo il consolidamento della dittatura fascista, con le leggi fascistissime, si ritira a vita privata nella Capitale, tenuto sempre sotto stretta sorveglianza. Ottenuto il permesso di rientrare nella sua Romagna, muore da esule in patria il 10 luglio 1936, nel suo podere di Pievequinta (frazione rurale di Forlì).


Macrelli Cino  

Sarsina, 21 gennaio 1887

Nasce a Sarsina il 21 gennaio 1887, da famiglia di tradizioni mazziniane e garibaldine. Laureatosi in Giurisprudenza a Bologna, oltre all’attività di avvocato penalista, si avvia alla politica tra le fila di Partito repubblicano italiano (PRI), arrivando a dirigere il giornale dei repubblicani di Cesena, Il Popolano, nel 1911. Sempre nel 1911, è attivamente impegnato nelle manifestazioni che repubblicani, socialisti e anarchici romagnoli organizzano contro la guerra di Libia, entrando poi a far parte del collegio di difesa di Pietro Nenni, arrestato e processato – assieme al giovane “capopiazza” socialista forlivese, Benito Mussolini – per i disordini scoppiati durante lo sciopero generale proclamato in opposizione al conflitto. Negli anni seguenti, Macrelli assume un ruolo sempre più rilevante nella vita politica cesenate, supportato anche dalla sua iniziazione massonica (Loggia Rubicone): assessore comunale, consigliere provinciale, membro della Congregazione di carità e della Commissione provinciale di assistenza e beneficenza pubblica. Fervente sostenitore dell’entrata nella Prima guerra mondiale, fonda e diventa Presidente dei Fasci interventisti di azione rivoluzionaria di Cesena (febbraio 1915), smarcandosi così dai due più illustri leader repubblicani romagnoli, U. Comandini e G. Gaudenzi, che hanno inizialmente delle perplessità circa il coinvolgimento delle fasce popolari italiane. Arruolatosi volontario, malgrado seri problemi alla vista, nel giugno 1915 parte con l’11° Reggimento fanteria insieme al fratello Edgardo (caduto poi l’8 agosto sul Podgora). Elevato ad aspirante ufficiale, viene ferito ad una gamba il 23 ottobre, catturato ed internato nel campo di concentramento per prigionieri di guerra di Mauthausen, rimanendovi fino al novembre 1918. A guerra conclusa, torna a Cesena dove riprende subito a far politica attiva, proponendosi quale referente del reducismo: nell’aprile 1919, è infatti uno dei fondatori della sezione locale dell’Associazione Nazionale Combattenti (ANC). Quando nel 1921 l’uomo forte del repubblicanesimo cesenate, Ubaldo Comandini, decide di non ricandidarsi per lo scranno parlamentare, è a Macrelli – ormai dotato di discreta notorietà – che viene chiesto di subentrare. Vincitore nel collegio di Ravenna (elezioni politiche del 15 maggio 1921), in qualità di deputato viene nominato u membro della Commissione permanente Affari di giustizia e culto. Pur trasferitosi a Roma, Macrelli continua a mantenere un forte controllo sulle vicende cesenati, grazie anche all’intesa con Comandini: dentro alle tormentate vicende del repubblicanesimo post-bellico – lacerato tra nuove pulsioni ultranazionalistiche tese a difendere ad ogni costo il sacrificio della “Vittoria” e vecchie pulsioni collettiviste, rinverdite dalla fresca epopea della Rivoluzione Sovietica – Macrelli si schiera con Comandini nel filone del repubblicanesimo non ostile al nascente fascismo, tanto da risultare tra i più convinti firmatari del Patto di Pacificazione con le camicie nere romagnole (28 luglio 1922). Quando tuttavia il crescere delle violenze fasciste e, soprattutto, la salita al governo di Mussolini dopo la Marcia su Roma, fa toccare il punto di rottura all’interno del PRI – si veda la scissionista Federazione autonoma delle Marche e della Romagna, guidata da Comandini – Macrelli non esita a smarcarsi dal suo mentore. Nel 1923, insieme con Pacciardi e Rossetti, fonda Italia libera, un’organizzazione antifascista di ex combattenti, collaterale al PRI. Rieletto alla Camera nel 1924 (Circoscrizione dell’Emilia), al momento del rapimento di Giacomo Matteotti è Commissario della Giunta per le elezioni: da questa posizione, partecipa da dirigente alla secessione dell’Aventino, come rappresentante del PRI. Dichiarato decaduto dalla carica di deputato (9 novembre 1926), Macrelli si rende latitante: condannato in contumacia a quattro anni di confino dalla commissione provinciale di Forlì, si costituisce a Roma l’11 febbraio 1927, dopo essere riuscito a negoziare di trascorrere il confino nella Capitale, così da poter in qualche modo riprendere una qualche attività lavorativa. Il 9 aprile 1927 il confino è commutato in ammonizione, con obbligo di dimora. Un anno dopo, decade anche l’ammonizione, in virtù di un allontanamento totale dalla militanza politica, che negli anni Trenta gli consente di passare gradatamente dalla categoria dei sovversivi schedati passò a quella dei sovversivi comuni. In realtà, Macrelli riesce a mantenere qualche sotterraneo contatto con l’antifascismo clandestino, tanto che nel febbraio 1943 entra nella rete dell’Unione lavoratori italiani, che apre collegamenti e vie di salvataggio con i generali inglesi, soprattutto in Romagna. Già dal 26 luglio 1943 riprende una piena attività politica, tenendo discorsi durante le manifestazioni popolari e ristabilendo i canali con la dirigenza romana del PRI, di cui torna a comporre la direzione nazionale del partito: svolge soprattutto azione di coordinamento tra le formazioni repubblicane, il Comitato di liberazione nazionale (CLN) e il comando militare. A guerra finita, nel 1946 viene eletto all’Assemblea costituente, nel collegio di Bologna. Impegnato principalmente sui problemi della giustizia e delle autonomie locali – secondo i principi federalistici alla Cattaneo – è ministro senza portafoglio nel Governo De Gasperi II (13 luglio 1946 – 18 gennaio 1947), poi senatore di diritto nella I legislatura repubblicana, ottenendo la presidenza della commissione Lavoro, emigrazione e previdenza sociale. Nel 1948 è eletto sindaco di Cesena, ma dimissiona un anno dopo, a causa dei suoi impegni parlamentari. Nella II legislatura torna alla Camera, eletto nel collegio unico nazionale e, dal marzo 1954 fino alla fine della legislatura, è vicepresidente dell’assemblea. Eletto nella direzione nazionale del PRI sin dal XIX congresso nazionale (febbraio 1947), vi rimane fino alla morte. Dal 1951 al 1959 è direttore de La Voce repubblicana.
Nel 1958 è rieletto alla Camera (Circoscrizione di Bologna) ed entra anche come rappresentante all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa. Nel conflitto che si apre nel PRI circa l’apertura a sinistra, Macrelli aderisce all’opzione innovativa, legittimandola quale coerenza con l’insegnamento mazziniano. A testimonianza del peso della sua posizione nel partito, entra con Ugo La Malfa, nel Governo Fanfani IV – alba del centro-sinistra – nel quale, dal 1962, è ministro della Marina mercantile. Nel 1963, grazie a un accordo tra Democrazia cristiana e PRI, è eletto al Senato nel collegio di Ravenna, ma muore poco dopo (25 agosto 1963) nella sua Cesena.


Nanni Torquato  

Santa Sofia, 4 febbraio 1888

Nasce a Santa Sofia il 4 febbraio 1888, da buona estrazione familiare. Avvocato e giornalista, si iscrive giovanissimo nel Partito socialista, che ai primi del Novecento sta diventando egemonico nell’Appennino della Romagna Toscana. Nel 1906 rappresenta la sezione di Santa Sofia – da lui presieduta – al congresso nazionale socialista di Roma, e dallo stesso anno risulta schedato al Casellario politico centrale. Comincia a farsi un nome dal 1909, con particolare riferimento alla battaglia anticlericale, quale corrispondente de L’idea socialista, organo della federazione socialista forlivese, e direttore de La scopa, la cui testata viene modificata dal 1911 in La fonte, quindicinale di cultura politica ed educativa. Intimo amico di Benito Mussolini (come testimoniato dal fitto epistolario che i due si scambiano tra il 1909 e il 1915), ne ripercorre, in qualche modo, tardivamente i passi, dandosi alla propaganda socialista all’estero, soprattutto in Svizzera, dove durante un giro di conferenze fra gli emigranti italiani (maggio 1910), ha modo di conoscere e di stringere sodalizio con con quel Giacinto Menotti Serrati che era stato mentore di Mussolini, esule dieci anni prima. Nel 1911 entra nel Consiglio comunale di Santa Sofia, conquistato l’anno prima dai socialisti, divenendone quindi sindaco nel marzo 1912. Da questo momento, e fino all’entrata in guerra dell’Italia, Nanni si spende in uno sfiancante attivismo che unisce alle cariche amministrative (viene rieletto sindaco nel 1914), l’impegno giornalistico (nel novembre 1912, in occasione del conflitto greco-turco, parte al seguito della spedizione organizzata da Ricciotti Garibaldi, come corrispondente di guerra del Giornale del Mattino di Bologna), e la propaganda politica (già direttore del quindicinale socialista La Fiaccola, segue Mussolini che lascia la mansione di direttore del forlivese La lotta di classe per assumere la guida del nazionale L’Avanti!, con sede a Milano). Dal 1913 risulta iscritto alla massoneria. Lo scoppio del Primo conflitto mondiale lo trova su canoniche posizioni anti-militariste (ribadite dalla partecipazione alle agitazioni romagnole della “settimana rossa”), ma col progredire dei mesi si sposta sempre più decisamente su di un sentire interventista, ricalcando anche qui il percorso aperto da Mussolini: nel 1915 diventa condirettore (assieme a Guido Bergamo e Maria Rygier) de La riscossa, giornale di battaglia interventista, radicato a Bologna – dove conosce Leandro Arpinati, anch’egli romagnolo di Civitella, passato dall’anarchismo all’interventismo – ed inizia a collaborare con Il Popolo d’Italia di Mussolini. E’ proprio nel 1915, che Nanni pubblica, per i tipi de La Voce, l’opuscolo ”Benito Mussolini”, prima biografia in assoluto mai realizzata sul futuro duce dittatore. Riformato, trascorre gli anni bellici fra impegni amministrativi e attività pubblicistica (particolarmente come corrispondente di guerra del Giornale del Mattino). Isolato dal partito per la scelta interventista – vi rientra ufficialmente solo nel 1922 – Nanni tuttavia non si allontana mai ideologicamente dal socialismo, cui rimane fedele nonostante l’eterodossia della sua posizione e la manifesta amicizia con Mussolini e Arpinati. In tale curiosa posizione, riesce comunque a farsi eleggere, nel dopoguerra, nel Consiglio provinciale di Firenze come indipendente nella lista socialista che rappresentava la Romagna toscana, e a farsi confermare ancora una volta quale sindaco di Santa Sofia (1920), nella cui veste si trova a dover far fronte a pesanti attacchi contro la sua persona e il suo operato amministrativo, da parte della stampa fascista fiorentina. Durante la marcia su Roma viene sequestrato da una banda di squadristi fiorentini (capeggiati da quell’Amerigo Dumini poi rimasto alle cronache quale autore del delitto Matteotti) che – probabilmente all’insaputa di Mussolini – lo conducono prigioniero a Rocca San Casciano: prima che la situazione degeneri in esiti mortali, viene liberato in maniera rocambolesca dal gruppo armato guidato da Arpinati (divenuto nel frattempo Ras di Bologna), dopo un accesso scontro fisico con le camicie nere toscane. Nanni rimane così tanto impressionato dall’accadimento, da legarsi visceralmente ad Arpinati, rimanendogli fedele per tutta la vita e condividendone, pur nella diversa scelta di campo, i destini politici ed esistenziali, sino alla morte. Con lo stringersi della morsa del potere fascista, Nanni si dedica soprattutto all’elaborazione di opere di esposizione del suo pensiero, che mira (utopisticamente) a cercare spazi di residua agibilità per gli ideali socialisti: nel 1924 pubblica Bolscevismo e fascismo al lume della critica marxista, in cui individua possibili linee di incontro fra le due ideologie su un comune terreno anti-borghese; nel 1927 fa uscire Leandro Arpinati e il fascismo bolognese, biografia laudativa dell’amico gerarca, di cui appoggia incondizionatamente l’azione e le realizzazioni fasciste, che finisce per essere tolta dalla circolazione per volere dello stesso Mussolini. Protetto per quanto possibile da Arpinati (che gli farà avere alcuni incarichi dirigenziali nel parastato, per aiutarlo economicamente) finché questi fu in auge, nel 1933 è tuttavia trascinato nella sua caduta. Mandato al confino a Lanusei e poi al domicilio coatto a Partina (Arezzo), riesce a rientrare a Santa Sofia solo a fine 1934 tornò a Santa Sofia, dove è costretto a ritirarsi a completa vita privata. Con la caduta del fascismo, vede riconosciuto il suo antico prestigio politico – tiene il comizio in piazza a Santa Sofia il 25 luglio 1943 – e assume un ruolo attivo nella Resistenza in Appennino forlivese. Fino a tutta la primavera 1944, si prodiga nelle reti di salvataggio a favore di alti ufficiali inglesi prigionieri di guerra (fra cui i generali Philip Neame, Denis O’Connor e il maresciallo dell’aria Owen Tudor Boyd), liberati dopo l’8 settembre da un campo di prigionia vicino a Firenze, riparati a Camaldoli e quindi nascosti in località montane dell’alta valle del Bidente, sopra Santa Sofia, sotto la sua tutela. I prigionieri, oltre una trentina, vengono messi in salvo con un avventuroso piano di fuga via mare, cui prendono parte tutte le forze della Resistenza della zona. Instauratasi pienamente la Repubblica Sociale, Nanni diventa inevitabilmente oggetto di persecuzioni: dopo essere sfuggito a svariati tentativi di assassinio (tramite irruzioni armate nella sua casa), decide nel marzo 1944 di riparare a Malacappa (Bologna), ospite della grande tenuta Arpinati che qui si è ritirato a vita privata dopo l’epurazione dalle gerarchi fasciste. Proprio qui, Nanni trova la morte il 22 aprile 1945, mentre tenta di fare scudo con il proprio corpo all’attacco di un gruppo di partigiani della 7a GAP, che memore del violento passato squadrista di Arpinati (nonché di Podestà di Bologna), sono giunti a regolare brutalmente i conti.


Santarelli Mario  

Forlì, 3 aprile 1894

Nasce a Forlì il 3 aprile 1894 e già nel settembre 1911 è in prima linea per i moti cittadini contro la guerra di Libia. Arruolatosi volontario per la Grande Guerra, parte per il fronte col primo scaglione di romagnoli, il 18 luglio 1915: si congeda con il grado di capitano di complemento e una medaglia di bronzo. Nel tormento del dopoguerra, Santarelli si distingue quale deciso simpatizzante della rude politica di Mussolini: come altri repubblicani romagnoli, Santarelli è attratto non tanto e non solo dall’invettiva “veterana” e “reducista” contro il neutralismo socialista, ma soprattutto dalla prospettiva economicamente radicale ed ideologicamente anti-monarchica del primo fascismo sansepolcrino. Quando Benito Mussolini deve tenere il suo primo discorso pubblico elettoraledi fronte ad una piazza milanese in schiacciante preponderanza socialista, è un gruppo di giovani repubblicani forlivesi, guidati proprio da Santarelli, che si mobilita per fungere da guardia del corpo del futuro Duce (discorso di Piazza Belgioioso, 10 novembre 1919). Organizzatore dei reduci di guerra, Santarelli viene eletto consigliere comunale di Forlì nelle amministrative del 10 ottobre 1920. Ricopre tale carica quando la lotta fra socialisti e repubblicani tocca il suo punto di rottura, con i fatti di Arpineto di Civitella di Romagna (aprile 1921). E’ sulla scorta emotiva di tale tragedia, che Santarelli si pone alla testa di una sequenza di rappresaglie vandaliche e di assalti armati che i repubblicani forlivesi vanno ad operare – trovando spesso il supporto di camicie nere emiliane che sfruttando il contenzioso per aprirsi una strada anche in una Romagna fin lì poco sensibile all’insediamento fascista – dall’Appenino alla pianura (Civitella, Pievequinta, Vecchiazzano) tra il 22 aprile e l’8 maggio 1921 (in quest’ultima data, a Vecchiazzano, una sparatoria tra un camion di fascisti accompagnati da qualche repubblicano e militanti “rossi”, ci rimetterà la vita il comunista Domenico Gatta). E’ l’esordio delle «Avanguardie repubblicane» sorta di formazione paramilitare avente il compito della difesa dei circoli, delle organizzazioni, degli uomini del partito e infine della propaganda repubblicana: questi gruppi, distinguibili dalla camicia rossa, dimostrano la loro capacità di reazione violenta (dentro all’avvitarsi della pseudo guerra civile post-bellica) soprattutto negli scontri di Forlimpopoli nell’agosto 1921: una sparatoria avviata da socialisti e i comunisti che si conclude con 2 morti (il comunista Pietro Calboli e il repubblicano Luigi Ranieri), un ferito grave (il carabinieri Francesco Remigi) e 16 feriti di medio-grave entità. Concentrate allo spasimo nella lotta senza quartiere contro i social-comunisti, le Avanguardie repubblicane mantengono fin oltre la Marcia su Roma, posizioni di netta vicinanza al fascismo, manifestando con ciò una profonda divergenza autonomista rispetto alle direzioni generali del PRI. Malgrado all’indomani della Marcia su Roma, le camicie nere impongano con la forza del dimissioni della Giunta repubblicana alla guida del Comune, il grosso degli ex-combattenti forlivesi (in massima parte di sentire mazziniano), e di conseguenza le Avanguardie, restano partecipi di una mobilitazione filo-mussoliniana, nell’aberrata illusione che il duce possa in quale modo rappresentare un eterodosso strumento di abbattimento dell’istituzione sabauda in Italia. Quando l’equivoco si smonta e la speranza si dissolve definitivamente (l’ultimo atto di questa innaturale intesa può essere ravvisato nelle festose accoglienze riservate a Mussolini, durante la sua prima visita ufficiale a Forlì da Capo del Governo, il 15 aprile 1923), l’ala dura del repubblicanesimo romagnolo (la frangia di Santarelli, ma anche il microcosmo gravitante attorno ad Aldo Spallicci) si trasforma subito nell’ultima trincea resistenziale alla “fascistizzazione” della Romagna, trovando proprio nella Sezione combattenti una residua roccaforte operativa. I repubblicani forlivesi (ancora dominanti in tutte le articolazioni cittadine e addirittura prevalenti, su scala urbana, nelle elezioni a listone, fin tanto che esisteranno) passano allora dallo status di compagni di ventura (in nome del reducismo bellico e della crociata anti-bolscevica) al rango di nemici cui spezzare le reni. L’irreversibile punto di rottura giunge il 3 dicembre 1923, quando – a Forlimpopoli – uno scontro armato provoca tre morti: i repubblicani Giovanni Artusi e Carlo Roncucci, colpiti dal pugnale dello squadrista Anselmo Melandri, il quale, a sua volta, viene freddato dalle revolverate di un altro repubblicano, Vincenzo Monti. I fascisti reagiscono devastando i circoli e delle organizzazioni economiche repubblicane (al grido di: «Olio, petrolio, benzina, manganelli per dare alla Repubblica di Mario Santarelli»). Il culmine viene raggiunto occupando il fondamentale Circolo Mazzini, trasformato in camera ardente delle spoglie del caduto, la camicia nera Anselmo Melandri. Il Comune, nelle mani fasciste dal novembre 1922, si costituisce moralmente al solo fianco del morto fascista. Al contrario, le esequie di Artusi e Roncucci dovranno essere tenute, praticamente, in forma clandestina. Malgrado la sua persistente predominanza cittadina è l’inizio della fine per il PRI a Forlì: il successivo 9 dicembre 1923, viene assassinato in pieno centro il diciottenne repubblicano Giovanni Arfelli, i cui funerali vengono improvvisamente sospesi per ordinanza del Prefetto. A reazione di profondo sdegno, una spontanea ed imponente colonna di donne d’area mazziniana si ammassa in Piazza Saffi, all’epoca sede della Prefettura, finendo duramente manganellata da un insieme di Carabinieri e milizia fascista. Sarà l’ultimo atto di insubordinazione popolare contro la fascistizzazione violenta della società: per assistere ad una nuova manifestazione di donne forlivesi occorrerà aspettare addirittura il 27 marzo del 1944, quando le operaie delle fabbriche forlivesi scesero in piazza per salvare la vita a 10 giovani renitenti alla leva, che si erano sottratti all’obbligo di presentarsi per combattere dalla parte della Repubblica Sociale Italiana, e che rischiavano di seguire la sorta di cinque ventenni fucilati, per le stesse ragioni, il 24 marzo precedente. Con l’aperta svolta apertamente dittatoriale, i piccoli spazi di dissidenza che il repubblicanesimo forlivese aveva saputo difendere, vengono infine soppressi: nel 1926, Santarelli è costretto ad abbandonare ogni carica pubblica, mentre Spallici viene defenestrato dalla Sezione Combattenti e costretto al domicilio coatto in Milano. All’isolamento politico si somma la costrizione in casa per malattia. Alla fine degli anni ‘20, Santarelli è ridotto ad un mero, benchè attento, osservatore delle vicende cittadine. Muore il 27 aprile 1930, ad appena 36 anni, nel silenzio generale, appena rotto dalle parole commosse apparse sulla rivista folcloristico-regionalista La Piè, ancora tenacemente diretta da Spallicci (sarà soppressa d’autorità due anni dopo).


Sozzi Gastone  

Cesena, 8 marzo 1903

Nasce a Cesena l’8 marzo 1903 da una famiglia di umile estrazione (padre operaio fornaio e madre bracciante agricola), particolarmente attiva nelle file massimaliste del Partito Socialista Italiano: Seguendo le orme dei genitori, si iscrive appena quindicenne alla Federazione giovanile socialista, iniziando a concretizzare la militanza nelle redazioni degli organi giornalistici di partito: la Lotta di Classe di Forlì e Spartaco di Cesena. Impostosi per “pedigree” e per solerzia tra i leaders emergenti, è tra i fautori di quella transizione in blocco della sezione giovanile socialista romagnola nel nascente Partito Comunista d’Italia (1921). Nella nuova formazione si mette sin da subito in mostra per la sua intensa attività di propaganda, ma soprattutto come organizzatore di gruppi di difesa proletaria contro lo squadrismo fascista, nel più vasto quadro della particolare confluenza delle Guardie Rosse nate durante il Biennio Rosso dentro alla struttura paramilitare degli Arditi del Popolo. Il 27 luglio 1922, nelle concitatissime ore che preparano l’offensiva squadrista lanciata (a prefigurazione della futura Marcia su Roma) dal ferrarese Italo Balbo in direzione di Ravenna e della riviera forlivese, un gruppo misto di comunisti e anarchici tende un agguato al gruppo delle camicie nere bolognesi, che si erano ammassate a Cesenatico in attesa del segnale di attacco: il segretario bolognese del Partito Nazionale Fascista, Clearco Montanari, viene ucciso, mentre il Ras di Bologna, il romagnolo Leandro Arpinati, resta ferito. Il giorno appresso, “scortata” dalla firma di un Patto di Pacificazione tra fascisti e repubblicani, si avvia la realizzazione dell’occupazione di Ravenna e della striscia di comuni andanti da Cesenatico a Savignano sul Rubicone. Tra gli accusati dell’omicidio c’è anche Gastone Sozzi, che fugge a Torino, dove trova protezione presso l’Ordine Nuovo di Gramsci e dove ha modo di prestare i suoi servigi di esperto combattente armato anti-fascista. Anche per tutelarne la sicurezza, viene poi spedito – assieme ad altri militanti – dal Partito Comunista d’Italia (PCd’I) in Unione Sovietica: qui, a Mosca e Leningrado, segue corsi di preparazione politico-militare (in particolar modo all’Istituto “Tolmaciov”, da cui esce come capo del gruppo degli studenti italiani). Durante la permanenza in Unione Sovietica, Sozzi scrisse alcune lettere al fratello Sigfrido, nelle quali trovano riflesso le lotte all’interno della dirigenza del PCUS contro i trotzkisti, il contenuto teorico-politico dei corsi da lui frequentati, i giudizi critici della propaganda sovietica e internazionalista contro i bordighiani italiani. Nel 1925, il mandato di cattura contro di lui viene revocato, e Sozzi decide di rientrare in Italia: compie il servizio militare – anche per cercare di togliersi di dosso i sospetti del Regime – e sposa l’amica d’infanzia Norma Balelli (1926): in realtà continua ad essere un militante più che attivo, tanto da divenire membro nello stesso anno dell’Ufficio Militare del PCd’I e da attivare una collaborazione con due giornali (La caserma e La recluta) di propaganda clandestina comunista, diffusi tra le Forze Armate. Peculiare, innovativo e coraggioso un altro impegno di Sozzi: la fondazione (nel 1927) e la cura del Fanciullo proletario, l’unico esempio di stampa clandestina per bambini, di cui si ha notizia in Europa tra le due guerre, volta a contrastare frontalmente la pedagogia propagandistica dell’Opera Nazionale Balilla. Riaccesi su di lui, i fari del Regime, inizia nella primavera 1927 il calvario: in aprile è arrestato in via cautelativa a Basilea assieme a Togliatti, e appena dopo la scarcerazione, è arrestato a Milano il 4 novembre 1927 (assieme all’intero Comitato Centrale del PCd’I) con l’accusa di Cospirazione contro lo Stato, a seguito di una delazione dall’interno stesso del Partito. I 32 dirigenti comunisti vengono trasferiti nel carcere di Perugia per l’istruttoria del processo: inizialmente interrogato dal generale Giuseppe Ciardi, avvocato generale del Tribunale Speciale Fascista, il suo dossier viene presto passato a due emissari della polizia politica, che lo torturano a più riprese e per settimane, nella speranza di estorcergli i nomi degli altri componenti dell’ufficio propaganda comunista in seno alle Forze Armate (Ufficio V). Il 6 febbraio 1928, per le sevizie subite e non senza aver rivelato nulla (l’azione clandestina comunista potrà latamente sopravvivere in Italia, anche grazie all’estremo suo sacrificio), Gastone Sozzi muore nel carcere di Perugia: non avrà modo di conoscere il figlio Sergio, appena nato. L’autopsia sul corpo viene si da subito fermamente negata e la versione ufficiale recita: «suicidio mediante impiccagione». A Gastone Sozzi furono intitolate durante la guerra di Spagna una Brigata aggregata al famoso Quinto Regimiento (noto anche come “Reggimento di ferro”) organizzato da Vittorio Vidali, e durante la Resistenza, uno dei GAP centrali operanti a Roma (inserito insieme al GAP “Garibaldi” nella rete di Franco Calamandrei “Cola”) e la 29ª Brigata GAP, attiva nel territorio della ex provincia di Forlì, comprendete anche Rimini.


Spallicci Aldo  

Santa Croce, 22 novembre 1886

Nasce a Santa Croce di Bertinoro il 22 novembre 1886 in una famiglia di antica nobiltà. Alla morte improvvisa del padre (1904), la madre decide il trasloco a Forlì, dove già Aldo sta frequentando il Liceo Classico Morgagni. Laureatosi in Medicina e Chirurgia all’Università di Bologna ed avviata la professione clinica, si dedica parallelamente ad un peculiare percorso personale che prova a tenere assieme la coltivazione dell’etnografia folcloristica e l’esplicitazione di una militanza politica vicina all’idealismo mazziniano: aderisce quindi al Partito repubblicano italiano (PRI), nel 1912, e subito si arruola volontario nella Legione Garibaldina di Ricciotti, con la quale lotta al fianco della Grecia contro la Turchia, durante la prima fase delle guerre balcaniche. Sempre con la Legione, si sposta in Francia, dove Ricciotti porta i suoi uomini contro gli Imperi centrali. All’entrata in guerra dell’Italia, malgrado la nascita della secondogenita Anna, Spallicci lascia la Legione e parte volontario (come ufficiale medico) per il Regio esercito, naturalmente con l’11º Reggimento fanteria “Casale” (che riuniva il grosso dei soldati romagnoli). Insignito di tre croci di guerra, si congeda col grado di Capitano. Rientrato a Forlì, vi apre uno studio medico – con specializzazione pediatrica – e nel 1920 fonda la rivista La Piê, che assurge rapidamente ad epicentro del recupero e della valorizzazione del vernacolo e del folclore romagnolo, intesi come pilastri di una autonoma sub-regione, stretta tra Emilia e Marche, tra appennino, pianura e riviera. Nel 1921, con altri, organizza a Forlì le Esposizioni romagnole riunite, che poi costituiranno la base del permanente Museo etnografico. E’ soprattutto grazie a questo ruolo di alfiere e di costruttore dell’identità romagnola, che Spallicci salda rapporti straordinariamente variegati, travalicanti le appartenenze ideologiche, come può vedersi negli intensi rapporti che riesce a mantenere nel primissimo dopoguerra con Benito Mussolini e Antonio Beltramelli. Proprio nelle strette relazioni con Mussolini – basate sulla comune origine forlivese e anti-clericale, poi irrobustite dall’interventismo bellico, dall’esperienza della trincea e dal desiderio di tenere viva l’eredità della Vittoria – viene fuori tutto il grande peso politico che Spallicci matura nella Romagna del dopoguerra, malgrado il suo restar fuori da corse elettorali. Di fatto alla testa della Sezione Combattenti (ANC) di Forlì dal 1920, Spallicci ha gioco facile nell’assecondarne la rapida “repubblicanizzazione”, malgrado la sua formale apoliticità: nell’organizzazione, il vecchio antisocialismo, radicalizzato nella lotta interventista e poi per l’egemonia sulle masse popolari nel primo dopoguerra, determina de facto una sorta di cedimento, d’inclinazione simpatetica verso il nascente fascismo mussoliniano. Spallicci, forte di quella che sente essere una vera amicizia tra reduci e convinto che il futuro duce sia un autentico anti-monarchico che una volta salito al potere abbatterà la corona per istituire la Repubblica, partecipa alla mobilitazione, tanto da prendere la parola a nome dei combattenti, nella manifestazione fascista organizzata a Forlì all’indomani della Marcia su Roma. Spallicci non condivide la violenza politica, auspica una trasformazione in senso repubblicano ed anti-bolscevico del Paese dentro ad una dinamica sociale normalizzata, ma lascia che l’ANC forlivese resti quanto meno non ostile alle offensive squadriste (quasi a considerarle un temporaneo male minore, utile alla causa maggiore). Questo rapporto di “apertura” è ancora evidente nell’aprile del 1923, in occasione della visita a Forlì di Mussolini, fresco nuovo Presidente del Consiglio, quando la locale Sezione combattenti esprime appoggio unanime all’elezione dello stesso Mussolini a Presidente onorario, definito come «artefice di una Italia che guarda senza rosso e senza vergogna a Vittorio veneto e che vede nei mutilati e nei combattenti la vera aristocrazia nazionale». D’altronde, l’ANC forlivese riesce ancora a conservare una più che discreta autonomia, grazie anche al radicamento con un PRI che – malgrado l’ascesa fascista – resta predominante in città: prova lampante ne è il fallito tentativo di “occupazione” della sede dell’Associazione (24 maggio 1924), operato da soci di fede fascista, poi immediatamente espulsi. In effetti, passata l’illusione di un Mussolini anti-monarchico e avviatosi il processo di fascistizzazione dell’intera nazione, le relazioni tra camicie nere e una Sezione combattenti imbevuta di indipendenza mazziniana non potevano che virare al peggio: già dalla metà del 1923, Mussolini ha trasformato in ente morale l’ANC, l’Anmig e l’Associazione fra le Famiglie dei Caduti, affidandone il controllo all’esclusiva competenza della Presidenza del Consiglio (R. D., 24 giugno 1923, n. 1371). Il clima inizia a farsi concretamente rovente attorno a Spallicci ed alla locale Sezione combattenti dal dicembre 1923, quando repubblicani e fascisti iniziano ad uccidersi a vicenda in scontri di strada, la situazione precipita nel settembre 1924, quando l’ANC forlivese respinge a larga maggioranza la proposta avanzata dai soci combattenti fascisti di inviare al Re e a Mussolini un telegramma di omaggio. Costoro allora, su invito del fascio provinciale, si dimettono dall’associazione e costituiscono il Gruppo autonomo combattenti, composto da una cinquantina di aderenti. Depurata dagli elementi fascisti, la Sezione forlivese diventa maggiormente esposta alla rappresaglia squadrista. Infatti, già pochi giorni dopo, le camicie nere devastano la sede, arrivando a farvi esplodere dentro una bomba: per tutta risposta, alle celebrazioni ufficiali del 4 novembre 1924, l’ANC forlivese partecipa con il suo vessillo listato con una lunga e provocatoria sciarpa rossa, al posto del tradizionale azzurro. Nel marzo 1925, ormai a dittatura aperta, grazie ai poteri di controllo sull’ANC attribuiti dal decreto del 24 giugno 1923, Mussolini sostituisce gli organi centrali con un triumvirato di nomina governativa, affidando le federazioni e le sezioni a commissari fascisti. Circa un anno dopo, l’Associazione dei combattenti forlivese è l’ultima in tutta Italia a cadere. Consci ormai di essere perduti, il 28 marzo 1926 i dirigenti forlivesi, prima di rassegnare le dimissioni, disobbediscono all’ordine di presenziare con le proprie bandiere al 7° anniversario della Fon- dazione dei Fasci di combattimento. Il 31 marzo 1926 il Consiglio provinciale e la Giunta esecutiva della Federazione provinciale combattenti di Forlì vengono sciolte d’autorità, e sostituiti da un Commissario straordinario, nominato dal Direttorio nazionale. Defenestrato dalla Federazione romagnola combattenti, nel 1926, Spallicci è costretto dal regime a trasferirsi in “domicilio coatto” a Milano, dove vive costantemente sorvegliato. Ha tuttavia modo di mantenere per alcuni anni i i contatti con il mondo d’origine repubblicano, grazie al sopravvivere della sua rivista, La Piè, che virando su temi più squisitamente culturali – in qualche modo d’interesse per Arnaldo Mussolini, che farà da garante verso il fratello duce – resiste quale presidio agnostico al Littorio. Nel 1933, tuttavia, anche la rivista è soppressa d’autorità e fino allo scoppio della guerra, Spallicci può solo dedicarsi alla sua attività medica. A riprova dell’attenzione che il Regime continua a riservargli, soprattutto quando le dinamiche del fronte interno lasciano temere riorganizzazioni dissidenti, si deve citare il confino impostogli nel comune avellinese di Mercogliano (aprile-agosto 1941) e poi l’incarcerazione a San Vittore nel 1943. Liberato col 25 luglio, recupera rapidamente un ruolo politico tra le fila resistenziali, operando nelle orbite dell’VIII Armata Britannica, con particolare efficacia quale voce radiofonica. A guerra finita, riprende anche il lavoro culturale, fondando La voce di Romagna, un settimanale d’informazione e resuscitando La Piè nel 1946. Eletto alla Costituente nelle fila del PRI, si batte con successo perché nella carta fondamentale sia riconosciuto un vero ruolo amministrativo alle autonomie locali, senza tuttavia addivenire ad ottenere “l’indipendenza” della Romagna. Rieletto come senatore nella prime due legislature (1948 e 1953), entra anche a far parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. A livello governativo, ricopre gli incarichi di Alto Commissario aggiunto per l’Igiene e la Sanità pubblica e Sottosegretario di Stato al Turismo. Legato ai vecchi ideali del mazzinianesimo romagnolo, che guardavano ad una società imperniata soprattutto sulla mezzadria e sull’artigianato, Spallicci vede il suo astro eclissare rapidamente in concomitanza al sorgere della modernizzazione del “boom economico”: dalla seconda metà degli anni ‘50, alla guida nazionale del PRI emerge la strategia tecnocratica di Ugo La Malfa, che guarda alla grande industria, alla metropoli e all’intesa collaborativa con le sinistre. Tutto elementi invisi a Spallicci, che dapprima – non più ottenuto un seggio parlamentare – avversa ferocemente il centrosinistra (ritenuto risultato di un connubio trasformistico con il Partito socialista italiano) e poi decide di uscire dal PRI nel 1964 per confluire nel movimento Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi, a favore del quale fonda un «bimestrale dei repubblicani mazziniani», Avvenire e Fede, ispirato naturalmente all’anticomunismo in stile guerra fredda, ma anche al più antico anti-collettivismo socialista tardo-ottocentesco (materialisticamente opposto alla matrice spiritualista degli eredi di Mazzini e di Aurelio Saffi). Il rapido fallimento di Nuova Repubblica, spinge Spallicci al ritiro dalla politica attiva. Muore il 14 marzo 1973.


Comprensorio Imolese

BIOGRAFIE

Alvisi Silvio

Imola, 12 maggio 1882

Professore di lettere, iscritto al Psi dal 1900, all’università fu discepolo di Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli. Considerato l’erede politico di Andrea Costa, resse la segreteria della Camera del Lavoro di Imola nel 1903. Nel 1908 fu eletto consigliere comunale, conservando tale carica fino a quando, nel 1921, l’amministrazione socialista fu costretta a dimettersi, ricoprendo anche la carica di assessore alla pubblica istruzione e persino quella di vicesindaco tra il luglio 1914 e il 1915. Nel 1908 fu eletto per la prima volta in consiglio provinciale, del quale divenne segretario, ma nel 1920 la sua rielezione fu vana, dato che non poté insediarsi, visto lo scioglimento dello stesso consiglio dopo i fatti di Palazzo d’Accursio. Nel settembre 1920 fu nominato segretario della Federazione bolognese del PSI e direttore de «La Squilla». Appartenente all’ala massimalista del partito, guidò con moderazione la federazione durante il travagliato periodo delle elezioni amministrative del 1920. Aggredito nella propria abitazione, in via San Vitale, e bandito dai fascisti, dovette lasciare Bologna e tornare a Imola. Durante il ventennio fascista subì persecuzioni e arresti. Il 26 luglio 1943, alla caduta del regime, guidò per le strade di Imola una manifestazione popolare di giubilo e con Romeo Galli tenne il primo libero comizio. Alla fine del 1943 il suo nome fu incluso nella lista di proscrizione preparata dal PFR di Imola. Durante la Resistenza, nonostante la tarda età, fece parte del gruppo dirigente del PSI e fu membro della redazione clandestina de «La Lotta». Fu arrestato nel novembre 1944 dai fascisti e poi rilasciato.


Bacchilega Adelmo

Castel San Pietro, 18 settembre 1899

Iscrittosi giovanissimo al Partito Socialista, nel 1921 passò al Partito Comnista. Nel 1923, dopo aver scontato tre mesi di carcere, emigrò in Francia dove si unì al Pcf, tanto da diventare segretario dei “Malmaison”. Sempre attenzionato dall’Ovra, passl dalla Francia alla Spagna, dove combatté a difesa della Repubblica. Rientrato in Francia, morì nel 1938.


Bassi Primo

Castel Bolognese, 27 novembre 1892

Fu uno dei massimi dirigenti del movimento anarchico imolese nel primo dopoguerra tanto da venire più volte bastonato dai fascisti. Nel 1920 e 1921 ricoprì la carica di segretario amministrativo dell’Unione sindacale anarchica di Imola e di corrispondente de «L’Umanità nova» e «Sorgiamo!». Il 10 luglio 1921 prese parte a una sparatoria con alcuni fascisti, a Imola, dove ferì uno squadrista. In quell’occasione fu accusato della morte di un passante, tale Edgardo Gardi, poi fatto passare nella retorica dello squadrismo per fascista. Arrestato, il 23 ottobre 1922 fu condannato – anche se la perizia balistica dimostrò che il colpo mortale per il Gardi non era partito dalla sua rivoltella – a 20 anni, 6 mesi e 28 giorni di reclusione. Scarcerato il 12 novembre 1929, fu assegnato al confino per 3 anni, venendo liberato il 7 ottobre 1933. Tornato a Imola, nel 1935 venne diffidato a lasciare il comune. Nel 1936 si trasferì a Castel Bolognese e solo nel febbraio 1943 potè tornare a Imola dove, durante la Resistenza fu il rappresentante del movimento anarchico nel Cln.


Beltrandi Ciro

Imola, 7 aprile 1900

Maestro elementare. Sin da giovanissimo si iscrive alla Federazione Giovanile Socialista, nell’immediato dopoguerra si unisce ai gruppi anarchici imolesi; è tra i primi imolesi a essere bastonato dai fascisti. L’11 luglio 1921 i fascisti, guidato dal segretario del fascio cittadino Mansueto Cantoni, gli tendono l’ennesimo agguato, che però si trasforma in tragedia quando Beltrandi, nel rispondere al fuoco, ferisce un passante. In quell’occasione sarà catturato dai carabinieri e pesantemente percosso in caserma, cosa che con il tempo lo porterà a riscontrare alcune complicanze polmonari. Le persecuzioni lo costringono a emigrare prima in Francia poi in Unione Sovietica e Belgio. Muore a Bruxelles, a causa dell’aggravarsi della sua situazione polmonare, il 9 maggio 1941.


Cantoni Mansueto

Imola, 27 aprile 1891

Segretario del fascio imolese.


Ferri Severino

Fontanelice, 28 dicembre 1876.

Operaio, sin da ragazzo si iscrive al Partito Socialista, ricoprendo ruoli importanti anche dal punto di vista sindacale. Nell’ottobre 1920 viene eletto sindaco di Fontanelice, ma il 20 aprile dell’anno seguente viene arrestato con l’accusa di estorsione, avendo egli partecipato alle lotte agrarie conclusesi con l’accordo “Paglia-Calda”. Scarcerato dopo 3 mesi, il 9 novembre 1921 viene aggredito da una squadra di fascisti armati di pugnale e pistole. In quell’occasione muore il suo caro amico Domenico Bubani, contingenza che, unità alle numerose minacce subite in seguito, induce Ferri a dimettersi da sindaco. Muore il 27 febbraio 1923.


Galli Romeo

Imola, 10 dicembre 1872

Bibliotecario e cooperatore. Iscritto al PSI dal 1892, è considerato uno dei pionieri del movimento operaio e socialista nell’Imolese. Autodidatta, pubblicò numerose e importanti opere storiche; giovanissimo fu poi assunto alla biblioteca comunale di Imola, di cui divenne poi direttore. Discepolo e amico di Andrea Costa, nel 1898 fu tra i fondatori della Società di mutuo soccorso di Imola e nel 1900 partecipò alla costituzione della locale Camera del Lavoro. Nel 1904 fu tra i promotori e poi dirigente del Magazzino di consumo di Imola. Nel 1908 entrò nel consiglio provinciale e nel 1911 fu tra i dirigenti delle lotte agrarie che si svolsero in quel periodo in Romagna. Negli anni della prima guerra mondiale, si trasferì a Bologna dove assunse la direzione dell’Ente autonomo dei consumi. Dopo una bastonatura subita il 1 dicembre 1921, tornò a Imola e riprese il suo posto di direttore della biblioteca dove restò sino al 1938, quando fu cacciato dall’amministrazione fascista. Nel 1923 fu arrestato perché accusato di avere favorito l’espatrio di Vittorio Martelli. Dopo una breve detenzione, il 21 febbraio 1924 fu prosciolto in istruttoria. Nel 1937, per avere preso parte, con altri compagni, al funerale di Paolo Nonni, un vecchio militante socialista, fu bastonato dai fascisti. Oramai vecchio e quasi cieco, il 27 luglio 1943 insieme a Silvio Alvisi guidò un corteo di cittadini imolesi festanti per la caduta del fascismo, entrando ben presto a far parte del Cln imolese. Muore a Imola il 27 maggio 1945. Sulla sua lapide si legge “bibliotecario comunale e cooperatore”.


Gardelli Attilio

Imola, 9 giugno 1890

Colono, iscritto al Psi, con la scissione del 1921 si unisce al Partito Comunista. Durante i primi anni ’20 è animatore delle sacche di resistenza al fascismo nella zona di Osteriola di Imola, tanto da venire arrestato nella primavera del 1922 insieme ai suoi quattro fratelli per detenzione illegittima di armi. Condotti nella Rocca Sforzesca furono interrogati e malmenati per giorni, prima di essere rilasciati per insufficienza di prove. Una volta fuori continuò con ardimento a lottare per contrastare l’insorgere del fascismo, specie conducendo la lotta dei braccianti della Bassa Imolese e della Lega Coloni della CdL di Imola.


Guadagnini Domenico Diego

Imola, 26 marzo 1890

Anarchico, durante il primo conflitto mondiale si distingue per la sua attività propagandistica antimilitarista, in particolare in quanto estensore del settimanale antimilitarista “Coerenza”. Quando gli viene ritirato l’esonero di chiamate alle armi, il 2 agosto 1916, diserta, rifugiandosi a Imola. Qui partecipa al secondo congresso dell’Unione anarchica emiliano romagnola ma viene arrstato il 18 novembre 1917. Rilasciato al termine del conflitto, intraprende una intesna attività di ricostituzione del movimento anarchico imolese ed emiliano-romagnolo, distinguendosi per le attività di organizzazione dei moti contro il carovita del luglio 1919 e per la direzione del periodico anarchico “Sorgiamo!”. Attivo anche sul fronte sindacale, ricopre la carica di segretario dell’Usi di Imola impegnandosi a fondo nelle lotte agrarie e nelle attività clandestine di autodifesa dai fascisti dell’Alleanza del Lavoro, tanto da venire denunciato e arrestato per incitamento all’odio di classe. Nel 1923, dopo un trasferimento a Milano, viene sorpreso dalla polizia in compagnia di Malatesta e rispedito a Imola. Ritornato a Milano, nel 1926 viene arrestato perché organizzatore di un gruppo anarchico e mandato al confino a Ustica fino al 1929, quando viene liberato. Muore in un incidente tranviario a Milano il 20 luglio 1932.


Masrati Ugo

Imola, 15 aprile 1900

Bracciante anarchico, muore il 13 luglio 1921, quando alcuni colpi di rivoltella esplosi da un gruppo di squadristi lo colpiscono mentre partecipa ai lavori di trebbiatura organizzati dalla cooperativa rossa di San Prospero.


Miceti Giulio

Lugo, 14 maggio 1893

Socialista, alle elezioni del 26 settembre 1920 viene eletto sia come consigliere comunale di Imola sia come consigliere dell’amministrazione provinciale di Bologna, senza mai di fatto riuscire a partecipare alle sedute del consiglio provinciale a causa dello scatenarsi dello squadrismo e decadendo dal mandato dopo lo scioglimento del consiglio stesso, decretato il 21 aprile 1921. Il 1 ottobre 1920, giovanissimo, viene designato come sindaco di Imola. Fu direttore del periodico socialista “La Lotta”, organo circondariale socialista imolese, dalla fine del 1919 all’8 ottobre 1922. Fin dal suo insediamento come sindaco, fu bersaglio della violenza: i fascisti lo aggredirono più volte nel corso del 1921, tanto da indurlo a riparare nella Repubblica di San Marino, rifugio di molti altri antifascisti.

Con la promulgazione delle leggi eccezionali, nel novembre 1926, dopo aver subito diverse altre bastonature, venne assegnato al confino per 3 anni e inviato nell’isola di Ustica. Qui nel 1927, venne arrestato e deferito al Tribunale speciale, assieme ad una quarantina di altri confinati, tutti accusati di un inesistente complotto, da cui fu prosciolto nel 1928. Rientrato a Imola, dove divenne direttore della Società anonima cooperativa meccanica imolese, l’11 marzo 1930, in occasione dei funerali dell’antifascista Paolo Nonni, fu nuovamente assegnato al confino per 3 anni, ma ebbe la pena commutata in ammonizione il 29 luglio 1938 e, quindi, fu liberato. Dopo la caduta del fascismo, fece parte del Comitato cittadino antifascista (poi Cln imolese), arruolandosi poi nella brigata Matteotti Città, dove assunse il grado di comandante di formazione. Alla fine del 1943 il suo nome venne incluso nella lista di proscrizione, con altri 72 antifascisti, preparata dal PFR di Imola. Arrestato il 14 marzo 1945 dai tedeschi, viene carcerato nella Rocca Sforzesca, dove viene brutalmente seviziato, prima di essere portato al carcere di San Giovanni in Monte, dal quale viene però lasciato libero. All’atto della liberazione della città, viene nominato sindaco, in omaggio alla continuità della tradizione socialista dell’amministrazione delle città, troncata oltre un ventennio prima dalla violenza fascista.


Trombetti Luigi

Imola, 20 giugno 1893

Bracciante ed ex combattente decorato, iscritto al Pci. L’1 maggio 1922, mentre partecipava alla festa del lavoro in località Rigolino a Linaro, Imola, viene colpito da alcuni colpi esplosi alla cieca da alcuni fascisti, nascostisi dietro l’argine di un canale. Rimane ucciso sul colpo.


Reggio Emilia

BIOGRAFIE

Corgini Ottavio

Fabbrico, 23 marzo 1889

Nato a Fabbrico il 23 marzo 1889, si diploma in ragioneria e consegue poi la laurea in scienze economiche e commerciali. Partecipa alla Prima Guerra Mondiale dove rimane mutilato. Funzionario di banca, emerge politicamente come esponente di primo piano del fascismo reggiano dopo la fondazione del fascio locale nel novembre 1920. Intellettuale brillante e oratore molto dotato, rappresenta gli interessi dei proprietari agrari reggiani riuniti nella Camera d’Agricoltura da lui presieduta. Nel 1921 viene eletto nelle liste del Blocco Nazionale e sostanzialmente guida il fascismo reggiano. Prende posizione contro il patto di pacificazione ma difende, contro lo stesso Mussolini, il fascismo locale dall’accusa di doppiezza. Si pronuncia a favore della trasformazione del movimento in partito e porta avanti l’idea di uno Stato forte, rispettato all’estero, che tuteli gli interessi dei proprietari. Nominato Sottosegretario all’Agricoltura del primo governo Mussolini, si dimette nel giugno del 1923, dopo essere stato radiato dal partito per aver manifestato la sua solidarietà a Misuri che alla Camera aveva tenuto un intervento criticando la politica del fascismo. Alla fine del 1923 prende pubblicamente posizione contro la fascistizzazione della stampa ed è sottoposto a sorveglianza da parte della pubblica sicurezza. Nel gennaio 1924 fonda l’associazione Patria e Libertà, di tendenza monarchica e nazionalista, ma non partecipa alle elezioni perché sottoposto a minacce. È anche condirettore del giornale “Campane a stormo”, legato allo stesso movimento, ma è costretto a riparare in Francia nel 1925. Il 26 novembre 1926 viene condannato per cinque anni al confino in contumacia. Rimpatria soltanto nel 1935 ma risulta sotto sorveglianza ancora nel 1942. Muore nel 1968.


Dall’Orto Giovanni

Reggio Emilia, 1900

Nasce da una famiglia della piccola borghesia di idee patriottiche. Nel 1917 riesce ad arruolarsi come volontario e combatte tra gli Arditi. Dopo la guerra si iscrive al Partito Repubblicano insieme ad Amos Maramotti ma segue da vicino la fondazione dei Fasci di Combattimento di Mussolini. Espulso dal partito repubblicano per la sua vicinanza al fascismo, è uno dei fondatori del fascio reggiano nel novembre 1920. Squadrista violento, ritenuto vicino a Balbo, partecipa prima allo scontro dell’Oltretorrente a Parma (agosto 1922) poi alla Marcia su Roma. Dopo la presa del potere di Mussolini fa carriera all’interno della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale poi nel Consiglio Nazionale delle Corporazioni. Durante la Guerra Civile Spagnola si occupa della logistica delle truppe italiane. Partecipa brevemente alla Seconda Guerra Mondiale e aderisce alla Repubblica Sociale mantenendo però compiti prevalentemente amministrativi. Muore nel 1989.


Lari Milton Luigi

Modena, 1900

Fglio di un docente universitario reggiano, frequenta il Liceo Classico. Diviene in seguito istruttore del Corpo dei Giovani Esploratori reggiani. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, a soli 17 anni, presta servizio come volontario lungo le coste meridionali dell’Adriatico e poi, diventato maggiorenne, frequenta la Scuola Militare di Modena e diventa ufficiale di Cavalleria. Distintosi dopo la rotta di Caporetto comincia a mostrare problemi di salute che lo costringono a frequenti degenze negli ospedali militari. Dopo la guerra è uno dei primi a tentare la fondazione di un Fascio a Reggio Emilia. Definito “vedetta estrema del Fascismo reggiano” dallo stesso Mussolini, partecipa attivamente allo squadrismo del 1920-21 e diventa poi segretario politico provinciale, carica che detiene fino al novembre 1921. Ormai minato dalla tubercolosi si ritira progressivamente dalla vita pubblica e muore il 1° febbraio 1924.


Maramotti Amos

Reggio Emilia, 12 giugno 1902

Si segnala già giovanissimo per l’attivismo politico. Di idee nazionaliste, tenta di arruolarsi a soli sedici anni come volontario durante la Prima Guerra Mondiale ma viene respinto. Dopo la guerra è presidente della sezione di Reggio dell’Associazione studentesca italiana e iscritto al Partito Repubblicano. Nell’inverno 1919-1920 prende contatti con la direzione milanese dei Fasci di Combattimento per la creazione di un fascio reggiano ma è convinto a desistere dagli stessi responsabili del movimento che temono la forza del Partito Socialista in città. Espulso nel corso del 1920 dal Partito Repubblicano a causa della sua vicinanza con il fascismo si trasferisce a Torino per studiare al Politecnico. Nel capoluogo piemontese rimane ucciso il 26 aprile 1921 durante uno scontro presso la Camera del Lavoro locale. Celebrato in seguito come un martire fascista, durante il regime gli viene dedicato un gruppo rionale (oggi Rione Santorre di Santarosa) a Torino e numerose associazioni di regime in tutta Italia.


Prampolini Camillo

Reggio Emilia, 27 aprile 1857

Figlio del ragioniere capo del Comune di Reggio. Dopo gli studi nel liceo di Reggio si iscrive all’Università di Giurisprudenza prima a Roma poi a Bologna dove si avvicina al socialismo. Si laurea con una tesi sul diritto del lavoro nel 1881 ed entra in corrispondenza con Andrea Costa. Comincia a pubblicare articoli sotto pseudonimo nel settimanale reggiano “Lo Scamiciato. Voce del popolo”. Nel corso degli stessi anni si accredita come uno dei dirigenti socialisti emergenti, ha corrispondenze con Colajanni e Turati e scrive su vari giornali mentre esercita la professione legale. Nel 1886 esce il primo numero de “La Giustizia. Difesa degli sfruttati” di cui è sia direttore che proprietario. Comincia un’intensa attività di propagandista che cesserà soltanto con l’avvento del fascismo. Nel 1890 viene eletto per la prima volta alla Camera nel Fascio Democratico Elettorale. Nel 1892 a Genova è tra i protagonisti del congresso e propugna la definitiva separazione tra socialisti ed anarchici. Viene rieletto alla Camera nel novembre dello stesso anno. Negli anni successivi si oppone con vigore alla politica di Crispi, il suo giornale subisce numerosi sequestri ma nel 1895 riesce comunque ad essere eletto in Parlamento dove rimane quasi senza interruzioni fino al 1921. Contrario all’uso della violenza, critica aspramente l’omicidio di Umberto I da parte dell’anarchico Gaetano Bresci. All’interno del Partito Socialista rappresenta uno degli esponenti più autorevoli dei riformisti, scettici nei confronti della linea rivoluzionaria del giovane Mussolini. Nel 1914 lancia una campagna molto intensa contro l’entrata in guerra dell’Italia e durante il conflitto interviene più volte alla Camera sul tema della pace. Nel 1919 difende con forza le ragioni del riformismo sia contro la linea massimalista del partito sia contro il leninismo. Nel 1920 il Partito Socialista conquista quasi tutti i comuni della provincia durante la tornata elettorale amministrativa ma a partire della fine dell’anno si scatena la violenza fascista. Il 14 marzo viene aggredito insieme all’amico Giovanni Zibordi.  L’8 aprile i fascisti devastano la sede de “La Giustizia” mentre continuano gli atti di violenza contro le sedi socialiste e le cooperative. Alle elezioni del maggio 1921 i socialisti reggiani si astengono, contro le indicazioni della direzione nazionale. Nel 1922 rivolge diversi appelli per la collaborazione dei partiti contro il montare del fascismo e il 1° ottobre dello stesso anno fonda con Treves, Turati e Matteotti il Partito Socialista Unitario di cui “La Giustizia” è l’organo nazionale. Nel 1924 è eletto per l’ultima volta alla Camera. Dopo il delitto Matteotti cerca di organizzare un coordinamento delle forze di opposizione ma, a seguito delle violenze, è costretto a chiudere “La Giustizia” il 30 ottobre del 1925. L’anno successivo si trasferisce a Milano dove trova lavoro come contabile e commesso in un negozio di antiquariato. Malato gravemente, viene aiutato dai numerosi amici. Muore il 30 luglio 1930 a Milano.


Sichel Adelmo

Guastalla, 1857

Si laurea in Giurisprudenza a Bologna e inizia ad esercitare la libera professione. Tra il 1880 e il 1890 presta un’intensa attività politica nella Bassa reggiana, adoperandosi per lo sviluppo delle società di mutuo soccorso in alcuni casi diventate poi leghe di resistenza. Dopo la fondazione del PSI crea un Centro Elettorale per la Democrazia Sociale a Guastalla. Viene in seguito eletto al consiglio comunale nella stessa cittadina e comincia l’attività di propagandista nel Partito Socialista di Prampolini. Nel 1894 è il primo sindaco socialista di Guastalla. Viene eletto alla Camera per la prima volta nel 1897 e confermato per le seguenti sei legislature. Nel 1919, penalizzato dalla ridefinizione delle circoscrizioni elettorali dopo la riforma proporzionale, non viene rieletto ma continua l’attività politica. Nel 1921 è preso di mira dalla violenza fascista e il 6 aprile viene bastonato dagli squadristi. Si presenta alle elezioni del maggio dello stesso anno nonostante l’astensione proclamata dai socialisti reggiani e risulta eletto. Muore il 16 ottobre 1922.


Zibordi Giovanni

Padova,  19 settembre 1870

Si trasferisce nel 1886 a Poggio Rusco dove conosce Prampolini. Si laurea in Storia a Bologna, dove segue le lezioni di Carducci, e comincia a insegnare in vari istituti del modenese. Ha intanto intrapreso la carriera politica e nel 1901 diviene direttore del giornale mantovano “La Nuova Terra”. Nel 1904 è chiamato da Prampolini a dirigere “La Giustizia” e diviene, insieme a lui, il politico socialista più importante della provincia. Esponente del riformismo di sinistra all’interno del PSI si scontra nel 1912 con il giovane massimalista Mussolini di cui coglie i molti elementi di personalismo e arroganza. Eletto alla Camera nelle elezioni suppletive del 1915, viene confermato nelle elezioni del 1919. Nel 1920 prende più volte la parola in Parlamento per denunciare le violenze fasciste. Il 14 marzo lo stesso Zibordi viene minacciato dai fascisti che si spingono fin sotto l’abitazione di Prampolini sparando alcuni colpi di pistola. Dopo questo episodio si allontana da Reggio e vive prima a Roma poi a Milano dove dirige alcune pubblicazioni del Partito Socialista. A partire dagli stessi anni contribuisce con molti articoli a “Critica Sociale” denunciando il carattere autoritario del governo. Nel 1926 viene brevemente arrestato ma non sconta la successiva condanna a due anni di confino che viene commutata in un’ammonizione. Negli ultimi anni, ormai molto ammalato, si ritira a Bergamo dove muore il 30 luglio 1943.


Rimini

BIOGRAFIE

Amati Guerrino

Rimini, 1904

Nato nel 1904. Anarchico fin dalla giovinezza nel 1920 fugge a S. Marino perché accusato di aver sparato sul Commissario di Polizia Pio Maldura durante la rivolta per i fatti di Ancona. Fu arrestato il 17 giugno 1921 e condotto nelle carceri di Forlì. Viene ulteriormente accusato dell’uccisione di Luigi Platania il 19 maggio dello stesso anno. Dopo più di tre anni di carcere preventivo, il 24 novembre 1924 lo si riconosce non colpevole dell’omicidio di Platania ma colpevole dell’aggressione a Maldura. Scarcerato nel 1926 si trasferisce a Sesto S. Giovanni per sfuggire alle ritorsioni fasciste. Nel 1927 si trova in un caffè di Rimini ed entra in colluttazione con Giuffrida Platania, fratello del defunto Luigi. Per questo Amati viene arrestato, ed il 5 aprile del 1927 assegnato al confino di Polizia nell’isola di Lipari per la durata di 5 anni. Costretto a rientrare in Romagna si trasferisce a Verucchio, dove muore nel 1979.


Ciavatti Carlo

Rimini, 1893

Subisce un’amputazione in seguito a un incidente sul lavoro: secondo la polizia l’infortunio lo convince a guadagnarsi da vivere per mezzo di azioni delittuose, dalla ricettazione alla rapina. dal 1907 al 1921 subì 4 processi. Nell’agosto del 1921, in seguito a uno scontro tra gli Arditi del popolo di Rimini e due fascisti bolognesi, il suo prestigio di anarchico d’azione cresce. Si vanterà di aver partecipato in tutto a 18 imboscate e scontri a danno dei fascisti. Nell’autunno del 1923, già in carcere per altri reati politici, si auto-accusa del delitto Platania. Per buona condotta ottiene una riduzione della pena e la data del rilascio è fissata per il 10 maggio 1936. Il 20 febbraio 1938 viene assegnato al confino all’Asinara, poi a Ventotene Nella primavera del 1943 viene trasferito alla colonia per confinati politici alle Tremiti. Per circostanze ignote viene condotto nel carcere di Foggia dove muore suicida nel gennaio del 1947.

Oviglio Aldo

Rimini, 7 dicembre 1873

Nato a Rimini il 7 dicembre 1873. Laureatosi in Giurisprudenza si traferì a Bologna dove intraprese una brillante carriera di avvocato penalista. Candidato ed eletto Consigliere comunale di minoranza nelle lezioni comunali del 1920 nella lista “Pace, lavoro, libertà” in quota nazionalista, diventa poi consigliere e successivamente presidente del consiglio provinciale bolognese. Il 21 novembre 1920 fu presente all’assalto di palazzo D’Accursio ad opera dei fascisti. Iscrittosi al fascio di Bologna, si presentò alle elezioni politiche del 1921 nella lista del Blocco nazionale venendo eletto deputato. All’indomani della Marcia su Roma Mussolini gli affidò il dicastero della Giustizia che resse fino al 1925. Nel dicembre 1922 promosse l’amnistia per i reati commessi nell’interesse del fascismo, in virtù della quale furono rimessi in libertà gli squadristi condannati per le violenze e i fatti delittuosi degli anni precedenti. Membro del Gran consiglio del fascismo dall’aprile 1923 al dicembre 1924, Oviglio fu riconfermato deputato nelle elezioni del 1924. Durante la crisi seguita all’assassinio di Giacomo Matteotti assunse un atteggiamento sempre più critico verso Mussolini, fino a rassegnare le dimissioni da ministro. Espulso dal PNF fu riammesso nel 1928 e nominato senatore nel 1929, carica che mantenne fino alla morte nel 1942.


Palloni Pietro

1876

Facoltoso proprietario terriero, albergatore e avvocato, è uno dei principali investitori nelle infrastrutture cittadine. Azionista fin dal 1906 della Cassa di Risparmio di Rimini, la presiede nei primi anni Venti, quando rifiuta di concedere credito alle amministrazioni socialiste. Palloni sarà podestà di Rimini dal 1929 al 1933.


Platania Luigi

Rimini, 1890

Ferroviere e anarchico nell’anteguerra è interventista e si arruola volontario negli arditi. Consegue tre medaglie d’argento dopo essere stato ferito, altrettante volte in pericolose azioni di guerra. Partecipa alla fondazione del fascio riminese nel 1919 e alla sua rifondazione nel 1921. Il suo omicidio, avvenuto in circostanze non chiare, fornisce il pretesto per la prima incursione di squadristi nel riminese.


Enzo Ponzi, tra i fondatori del fascio nel 1920, qui ritratto come capitano degli arditi nel marzo 1918. Istituto Storico Modena

Modena

BIOGRAFIE

Agnini Gregorio

Finale Emilia, 27 settembre 1856

Considerato il più celebre apostolo del socialismo modenese, è uno dei pionieri del movimento cooperativo. Primo deputato socialista modenese, venne eletto dal 1891 e riconfermato sino alle elezioni del 1924. Eletto numerose volte nelle assemblee elettive locali, nel 1920 divenne consigliere comunale a Modena e presidente del Consiglio provinciale. Fu uno dei bersagli polemici e fisici preferiti dagli squadristi, che lo aggredirono a più riprese e gli devastarono anche lo studio. Nell’ottobre 1922 aderì al Partito socialista unitario e, per sfuggire a possibili altre violenze, trasferì il proprio domicilio a Roma. Dopo le Leggi eccezionali e la sua estromissione dal Parlamento nel 1926, in seguito alla scelta di aderire all’Aventino con gli altri deputati antifascisti, abbandonò l’attività politica. Dopo la Liberazione è chiamato nell’aprile 1945 a guidare l’Amministrazione provinciale e viene nominato nella Consulta. In quanto decano, presiede la prima seduta del 24 settembre 1945. Pochi giorni dopo, il 5 ottobre, si spegne a Roma.


Carpigiani Umberto

Mirandola, 12 giugno 1904

Studente di musica a Modena, si avvicinò alla politica giovanissimo. Nel 1919 tentò di unirsi ai legionari fiumani ma venne fermato dalle truppe regolari e rispedito a casa. Successivamente, promosse la fondazione del fascio di Perugia e di altri dell’Abruzzo. Fu tra i più violenti squadristi di Modena. Venne ucciso il 26 settembre 1921 dalle guardie regie insieme ai fascisti Duilio Sinigaglia, Gioacchino Gallini, Ezio Bosi, Aurelio Sanlej, Alfredo Zulato e Giovanni Micheli e Tullio Garuti. Carpigiani fu l’autore della bastonata alla testa a un agente di pubblica sicurezza che scatenò la reazione della forza pubblica, sotto i cui colpi il mirandolese fu il primo a cadere.


Chiossi Oreste

Sozzigalli di Soliera, 26 febbraio 1887

Iscritto al Psi dal 1909, nel 1919 divenne gerente responsabile del settimanale socialista “Il Domani” e alle elezioni politiche fu eletto deputato. Alle successive elezioni del 15 maggio 1921 risultò il primo dei non eletti. Per il ruolo ricoperto nel movimento contadino e nelle amministrazioni “rosse” Chiossi fu oggetto di spedizioni squadriste. Ottenuto regolare passaporto, nel luglio 1921 sbarcò in Argentina, dove lo raggiunse anche la famiglia. Dalla metà degli anni Trenta a Buenos Aires cooperò a tutte le iniziative del locale Comitato italiano contro la guerra in Abissinia, del comitato per la costituzione di un Fronte unico proletario contro il fascismo e dei Patronati Italiani di aiuto alle vittime antifasciste. Dopo l’inizio della seconda guerra mondiale si fece promotore di un Comitato italiano pro Sovieti e si impegnò in una raccolta di fondi per aiutare la Croce Rossa dell’Unione Sovietica. Morì a Buenos Aires nella notte fra il 9 e il 10 maggio 1943.


Donati Pio

Modena, 18 aprile 1881

Secondo di nove figli di una delle famiglie più importanti della comunità ebraica di Modena, si laurea in giurisprudenza ed esercita con successo la professione di avvocato. Dopo un’iniziale adesione a partiti moderati, dal 1911 assunse numerose cariche nel Partito Socialista, nel movimento sindacale, in istituzioni che si occupano di istruzione ed educazione e nel mondo cooperativo. Nelle elezioni politiche del novembre 1919 venne eletto deputato e l’anno seguente entrò a far parte della prima giunta comunale socialista di Modena, come assessore. Nelle elezioni politiche del maggio 1921, nonostante il crollo dei consensi al Psi, venne rieletto deputato. Con l’avvento del fascismo divenne l’obiettivo principale degli squadristi modenesi. Grazie anche alla protezione costante della forza pubblica riuscì a sfuggire quasi sempre alle aggressioni fisiche. Nel 1922 aderì al Partito socialista unitario e nel 1926, dopo la devastazione del suo studio, decise di lasciare Modena. Il 19 maggio 1927 morì di leucemia fulminante.


Ferrari Enrico

Modena, 27 maggio 1887

Tipografo a Reggio Emilia, inizialmente su posizioni sindacaliste rivoluzionarie, si spostò successivamente su posizioni socialiste. Nel febbraio 1919 si trasferì a Modena dove, assieme a Paolo Bentivoglio, assunse la segreteria della Camera del lavoro unitaria. Alle elezioni politiche del novembre 1919 venne eletto deputato. Partecipò al congresso di Livorno, aderendo al Partito comunista. Il 3 marzo 1921 si trasferì con la famiglia a Roma, dove venne nominato vice segretario della Camera del lavoro confederale, carica che lasciò in ottobre per trasferirsi prima a Modena e poi a Forlì, dove ricoprì il ruolo di segretario della vecchia Camera del lavoro. Dichiarato decaduto dalla carica di deputato dopo l’introduzione delle Leggi eccezionali, venne assegnato al confino di polizia per cinque anni alle isole Tremiti (Foggia). Il 4 giugno 1928 il Tribunale speciale lo condannò a quindici anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione, per «cospirazione contro i poteri dello Stato». Morì a Roma il 12 gennaio 1969.


Enzo Ponzi, tra i fondatori del fascio nel 1920, qui ritratto come capitano degli arditi nel marzo 1918. Istituto Storico Modena

Ponzi Vincenzo (Enzo)

Torino, 1894

Figlio di un generale, addetto per molti anni alla Scuola Militare di Modena e combattente pluridecorato della Grande Guerra, anche Enzo Ponzi prese parte al conflitto (nel XIV reparto d’assalto Fiamme Nere), ottenendo una medaglia d’argento, una di bronzo e diversi altri riconoscimenti. Dopo la guerra venne destinato a comandare il presidio militare di Minervino Murge, dove si distinse, tra l’altro, nella repressione di moti popolari. Nel febbraio del 1920 venne tuttavia degradato, passando da capitano a soldato semplice, per alcune «indelicatezze nel giuoco». Studente in Giurisprudenza e socio del circolo impiegati di Modena, Ponzi si mise in luce come giornalista della Gazzetta dell’Emilia e presidente dell’Associazione Studenti Universitari. Fu proprio con un appello fatto circolare all’interno di quest’ultimo sodalizio, alla fine di aprile del 1920, che Ponzi lanciò la proposta di costituire una sezione del fascio a Modena, dopo la breve e fallimentare esperienza diciannovista. Mussoliniano, entrò in contrasto con la maggioranza del fascio di Modena a proposito del patto di “pacificazione”, osteggiato dagli intransigenti. Dimessosi da segretario politico, la sua carriera politica proseguì, da quel momento, lontano da Modena.


Ruini Mario

Modena, 2 settembre 1902

Studente di belle arti, aveva partecipato molto giovane all’impresa fiumana. Tornato a Modena, era diventato un acceso squadrista come il fratello Arrigo (anch’egli ex legionario con D’Annunzio). Mario Ruini venne ucciso da un gruppo di anarchici a Modena, sulla via Giardini, nei pressi dell’antica osteria del Gallo, il 21 gennaio 1921. Ai suoi funerali venne fatto fuoco sul corteo, uccidendo Orlando Antonini e Augusto Baccolini.


Sinigaglia Duilio

Modena, 14 ottobre 1898

Di famiglia ebraica, diplomato in ragioneria all’Istituto tecnico commerciale “Barozzi” di Modena, Sinigaglia aveva partecipato alla prima guerra mondiale col grado di sottotenente di Fanteria. Ferito e catturato dagli austriaci durante la ritirata di Caporetto, rimase fino al 15 maggio 1918 nel campo di concentramento di Wegscheid bei Linz, in Alta Austria, poi in quello di Braunau, in Boemia, fino al 2 novembre 1918, quando insieme ad altri abbatté i reticolati e tornò a casa. Dopo aver partecipato alla fondazione del primo fascio di Modena, nel 1919, si unì ai legionari di D’Annunzio a Fiume, dove rimase fino al 4 gennaio 1921. Rientrato a Modena divenne capo della squadra d’azione La Disperata, segretario amministrativo del fascio e anche comandante delle squadre d’azione della federazione provinciale. Come tale, prese parte e condusse molti assalti ai sovversivi e alle loro sedi. Un particolare accanimento lo riservò al deputato socialista e suo correligionario Pio Donati. Il 26 settembre 1921 venne ucciso a fucilate dalla guardia regia, nel corso di una manifestazione non autorizzata della quale era stato tra i principali promotori. Venne celebrato a lungo come il principale “martire” fascista di Modena, fino a quando, l’introduzione delle leggi razziali creò una sorta di cortocircuito memoriale. I suoi famigliari vennero “discriminati”, appunto perché parenti del “martire”. Solo il fratello Angelo (a sua volta squadrista), che si era trasferito a Firenze, è arrestato e deportato nell’aprile 1944 assieme alla moglie e alla figlia ad Auschwitz, da dove non faranno più ritorno.


Tabaroni Gino

Bastiglia (MO), 1 novembre 1905

Orfano di padre, iscritto all’Avanguardia fascista, era impiegato in un laboratorio di falegnameria, quando venne ucciso da due anarchici in via Selmi (oggi viale Buon Pastore), l’11 novembre 1921.


Il primo sindaco socialista di Modena Ferruccio Teglio. Istituto Storico Modena

Teglio Ferruccio

Modena, l8 marzo 1883

Proveniente da un’importante famiglia ebraica modenese, diplomato ragioniere, lavorava alla Banca popolare di Modena. Alle elezioni amministrative del 1920 fu eletto in Consiglio comunale a Modena e fu nominato primo sindaco socialista della città. La sua gestione si scontrò tuttavia presto con il boicottaggio delle forze moderate, l’ostracismo delle banche e la violenza dei fascisti. Teglio in questo periodo fu anche licenziato dalla Banca popolare. In aprile si dimise da sindaco, ma continuò l’attività politica in forma riservata, rappresentando la componente massimalista all’interno del Psi modenese. Dopo l’introduzione delle leggi razziali si trovò privo di qualsiasi possibilità di trarre dal lavoro le risorse economiche e chiese il passaporto per emigrare. Nel 1939 riuscì a partire per l’Inghilterra, dove rimase qualche mese per poi trasferirsi a Parigi. Nel 1941 tornò a Modena, prendendo residenza presso la sorella Lidia. Dopo l’8 settembre 1943 riuscì a riparare in Svizzera grazie all’organizzazione di salvataggio degli ebrei di don Elio Monari. Rientrato a Modena subito dopo la Liberazione, riprese il suo posto nel socialismo modenese, militando nel Psiup e diventando direttore responsabile del settimanale “Il Domani”. Morì a Modena il 19 luglio 1956.


Vicini Marco Arturo

Pievepelago, 25 aprile 1874

Arrivato a Modena per svolgere la professione di giornalista e avvocato, Vicini fu un acceso nazionalista, un acceso fautore della guerra di Libia, un interventista e un combattente (sebbene in posizione defilata) nella Grande Guerra. Dopo essere stato tra i fondatori della locale sezione nazionalista e del giornale La Provincia di Modena, nel 1920 prese la tessera del fascio e alle elezioni politiche del 1921 fu eletto deputato. Alternò sempre l’attività legale (aveva uno studio a Modena e uno a Pavullo) con quella politica e amministrativa. In tribunale difese un gran numero di squadristi. Venne ferito nel corso della sparatoria che costò la vita a otto fascisti, il 26 settembre 1921 in via Emilia. Vicini era tra i promotori della manifestazione non autorizzata che degenerò, provocando la reazione delle guardie regie. In quell’occasione Vicini ottenne una medaglia d’argento al valore civile con la motivazione che aveva tentato di fermare i suoi compagni di fede, subito dopo l’eccidio, mentre aggredivano la forza pubblica coi bastoni. Fu confermato deputato nel 1924 e nel 1929 venne nominato senatore a vita. Dopo l’8 settembre rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale. Fu dichiarato decaduto dalla carica di senatore con sentenza dell’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo del 29 settembre 1945. Morì a Modena il 10 gennaio 1956.


Parma

BIOGRAFIE

Aimi Alcide

(1896-1960)

Studia in seminario, per partecipare poi alla Grande Guerra come ufficiale (con il grado di tenente). Combatte al fronte, sul Carso, ricevendo diverse decorazioni, tra cui la Croce di guerra al valor militare. Dopo il conflitto diventa figura di spicco del fascismo parmense, in particolare è il punto di riferimento dei fascisti di Busseto, guida le squadre d’azione in provincia ed è una figura preminente per il sindacalismo fascista. Partecipa alla fondazione del Fascio di Busseto e ne diventa segretario nel gennaio 1921 (in seguito all’uccisione del precedente segretario, Vittorio Bergamaschi). La sua carriera nel fascismo parmense vede anche un breve periodo in prigione per oltraggio contro le forze dell’ordine. Nell’agosto 1922, quando nei quartieri popolari di Parma si ergono barricate contro i fascisti, Aimi prende parte alle azioni per occupare Sissa e distrugge, con i suoi squadristi, la Cooperativa di Fontanelle. Per quest’ultimo fatto viene ricercato dalla polizia, il che spinge Aimi ad un periodo di latitanza. Dopo la presa del potere da parte del fascismo a livello nazionale, Aimi torna alla guida del sindacalismo parmense e procede alla definitiva distruzione dei sindacati nemici in provincia. Negli anni successivi, in seguito alle lotte intestine del Fascio di Parma, Aimi viene trasferito a Mantova (1927) e prosegue la sua carriera di sindacalista guidando, tra gli altri, i sindacati fascisti di Firenze.Nel 1939 diventa consigliere nazionale (nella Corporazione dei cereali). Muore a Como, nel 1960.


Fossa Davide

(1902-1976)

È uno dei fascisti più conosciuti di Parma, almeno nel periodo 1919-1921, anche se spesso opera lontano dal territorio natale. Iscritto ai fasci nel 1921, è tra i fondatori del Fascio di San Pancrazio Parmense e guida i sindacati fascisti di Parma. Partecipa alla marcia su Roma. Nel 1929 viene eletto alla Camera e in seguito partecipa alla guerra d’Etiopia. Aderisce alla RSI, guidando le province di Piacenza (1943-1944) e Modena (1944). Dopo la guerra emigra in Sud America, per poi tornare in Italia, dove muore nel 1976.


Ranieri Remo

(1894-1967)

Remo Ranieri, nato a Fontanellato, durante la nascita del fascismo riesce a ritagliarsi una piccola fetta di autonomia nella provincia, grazie al suo prestigio personale conquistato nel Fascio di Borgo San Donnino (cittadina che dalla fine degli anni Venti si sarebbe chiamata “Fidenza”). Nel 1922, quando già è uno dei punti di riferimento del fascismo locale, diventa assessore a Borgo San Donnino e, lo stesso anno, ad agosto, partecipa agli scontri di Parma. Negli anni successivi al 1922 rimane uno dei protagonisti del fascismo parmense, nonostante le numerose guerre intestine che caratterizzano il Fascio di Parma. Nel 1925, però, deve fare i conti con l’ostilità di Farinacci, che lo espelle dal partito. Farinacci non gradisce la sacca di autonomia che Ranieri è riuscito a costruirsi in quel territorio (il parmense) su cui il ras cremonese ambisce mettere le mani; inoltre è necessario allontanare uno dei capi dei fascisti dissidenti del parmense. A seguito di altre lotte intestine, che coinvolgono anche l’allora segretario del PNF (Augusto Turati). Ranieri viene riammesso al Partito. Continua la sua carriera nelle legioni della MVSN. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta diventa segretario federale del parmense e poi membro della direzione nazionale del PNF, nonché deputato. Nel 1934 lascia la politica e si dedica al ramo industriale alimentare. Muore a Fidenza nel 1967, dopo aver subito un processo per il suo passato fascista.


Picelli Guido

(1889-1937)

Antifascista, deputato, capo degli Arditi del popolo di Parma, combattente in Spagna durante la guerra civile. Guido Picelli mentre è uno dei punti di riferimento dell’antifascismo italiano, dopo la sua morte (avvenuta in Spagna, nel 1937) diventa un vero e proprio mito nella memoria degli antifascisti (non solo parmigiani), tanto che il suo ricordo sarebbe stato una colonna portante per la Resistenza parmense e per la politica di Parma nel dopoguerra. Nato a Parma nel 1889 lavora come orologiaio anche se la sua ambizione è di diventare attore. Aderisce al PSI e partecipa alla Grande Guerra come volontario nella Croce Rossa (sottotenente in un reggimento di fanteria). Nel 1919 diventa segretario del PSI di Parma e nel 1920 segretario delle Guardie Rosse. Partecipa a diverse azioni antimilitariste dell’immediato dopoguerra che gli guadagnano una certa fama tra le masse popolari di Parma. Viene eletto alle elezioni del 1921 con il PSI. Il suo apporto all’antifascismo locale è fondamentale: è convinto che lo squadrismo fascista non possa essere affrontato solamente con la propaganda politica o con le sfide elettorali. Lo scontro va portato sullo stesso piano dove gli squadristi fascisti lo avevano portato, cioè quello militare. È così che nell’estate del 1921 fonda gli Arditi del popolo di Parma, nonostante non siano pochi i socialisti e i comunisti di Parma ad essere contrari alla sua linea politica. Arrestato diverse volte per detenzione di armi, viene scarcerato perché deputato. Durante lo sciopero dell’Alleanza del Lavoro e durante le celebri giornate dell’agosto 1922, Picelli diventa il capo indiscusso della vittoriosa azione militare dei quartieri popolari contro il tentativo di aggressione da parte delle squadre fasciste, guidate da Italo Balbo. Dopo la marcia su Roma Picelli scioglie gli Arditi di Parma, creando i Gruppi segreti di azione (operano fino al 1923). Con l’inizio del regime la vita di Picelli diventa durissima, come quella di molti altri antifascisti italiani. Nonostante sia diventato ancora una volta deputato nel 1924 (per il Partito Comunista) viene arrestato (era la quinta volta) per aver esposto una bandiera rossa alla Camera. Inoltre, subisce molte aggressioni dopo il delitto Matteotti, da parte dei fascisti. Nel novembre 1926 viene condannato al confino, dopo che il suo mandato parlamentare viene dichiarato decaduto in seguito alle Leggi fascistissime. Passa diversi mesi in diverse carceri in Sicilia, per poi finire al confino, sulle isole di Lampedusa e Lipari. Nel 1931, liberato dal confino, muove verso Milano, per poi espatriare prima in Francia e poi in Unione Sovietica. Il suo impegno antifascista non viene mai meno, fino a portarlo a combattere la guerra civile in Spagna, dove cade sul fronte di Guadalajara. Il governo repubblicano di Spagna gli conferisce funerali di Stato, che vengono celebrati in diverse città. È il primo atto di una memoria antifascista che si sarebbe costruita attorno a Guido Picelli.


De Ambris Alceste

(1874-1934)

De Ambris aderisce al PSI a fine Ottocento e diventa uno dei principali protagonisti del socialismo della sua provincia natale (Massa Carrara). Nel 1898 piuttosto che entrare a far parte delle forze armate per servizio di ordine pubblico, preferisce disertare ed emigrare in Francia (il che gli costa una condanna ad un anno di carcere). Si trasferisce quindi in Brasile, dove matura un’esperienza notevole nella difesa dei diritti dei lavoratori agricoli italiani. Tornato in Italia, diventa segretario della Camera del Lavoro di Savona (1903), poi si trasferisce a Livorno, a Roma (dove guida La Gioventù Socialista) e poi ancora a Milano (è tra i dirigenti del sindacalismo socialista). Nel 1907 diventa direttore della Camera del Lavoro di Parma e guida anche L’Internazionale, l’organo di stampa dei sindacalisti locali. A seguito dello sciopero del 1908 deve nuovamente abbandonare l’Italia. Tornato in Italia dopo la sua elezione a deputato per il PSI (1913) torna a dirigere i sindacati e diversi organi di stampa socialisti. Con lo scoppio della Grande Guerra, insieme a Filippo Corridoni sostiene l’idea interventista e partecipa alla guerra come volontario. Nel 1919 condivide le idee del primo fascismo, tanto da collaborare al Manifesto dei Fasci (pubblicato nel giugno 1919). Nel 1920 raggiunge D’Annunzio a Fiume, diventa capo di gabinetto del poeta e redige la Carta del Carnaro. Nel Natale 1920 De Ambris torna a Parma, approdando definitivamente all’antifascismo. Con l’avvento al potere del fascismo De Ambris muove volontariamente verso l’esilio in Francia dove muore nel 1934.


Lusignani Luigi

(1877-1927)

Lusignani, liberale, è una delle figure più controverse di Parma, nel periodo 1919-1922. È sindaco della città (1906-1909), professore all’Università di Parma, fondatore dell’Associazione Agraria Parmense e presidente della Cassa di Risparmio di Parma e, sembra, coinvolto in diverse logge massoniche della città. Nel 1909 viene sconfitto da Berenini alle elezioni politiche e nello stesso anno un’inchiesta fa luce sulla gestione finanziaria del Comune poco trasparente durante la sua amministrazione. Dopo la Grande Guerra fonda la Banca Popolare Agricola e nel 1920 viene eletto presso il consiglio provinciale (per i liberali), pur essendo già allora molto vicino al fascismo (è tra i finanziatori del quotidiano La Patria). Gli anni del dopoguerra sono molto complessi per Lusignani: viene coinvolto in polemiche contro l’avvocato Aurelio Candian, vicenda che attira molto l’attenzione dei riflettori e che porta ad un processo, terminato solamente nel 1924. Aderisce al PNF nel 1922 e non mancano episodi in cui si serve degli squadristi per compiere violenze contro esponenti politici che si sono posti contro di lui. Ufficialmente, per questo motivo viene espulso dal Partito. Dopo la marcia su Roma stringe contatti con Farinacci e altri estremisti fascisti. Grazie al ras cremonese (che ha ricevuto sostanziosi finanziamenti da Lusignani), l’ex-sindaco di Parma riottiene la tessera del PNF nel 1924. Ma ciò non pone fine alle ostilità nei suoi confronti da parte dei fascisti moderati e da parte di quelli che, come Aimi, lo vedono come un esponente di una classe dirigente ormai decaduta. Divenuto Farinacci segretario del partito, Lusignani diventa presidente della Cassa di Risparmio di Parma, all’inizio del 1925. In seguito a scontri intestini al Fascio di Parma, al suo seguente commissariamento e al fallimento della Cassa di Risparmio, Lusignani viene esonerato dai suoi incarichi e arrestato. Muore suicida, nel carcere di Reggio Emilia, nel 1927.


Ferrara

BIOGRAFIE

Balbo Italo

Quartesana, 6 giugno 1896

Nasce in una famiglia piccolo-borghese. Gli studi ginnasiali sono per Balbo incostanti, iniziando ben presto a frequentare gli ambienti rivoluzionari e repubblicani della città: è attratto dalle idee mazziniane e si iscrive così al Partito repubblicano, per poi entrare nella massoneria (fino al 1923). Di animo sicuramente acceso, nel 1910 Balbo si arruola volontario per la spedizione a favore degli albanesi contro gli ottomani, che però è abortita. Seppure ancora molto giovane, egli collabora già con la ravennate Voce Mazziniana, con il democratico radicale La Provincia di Ferrara, e con il sindacalista La raffica, mentre nel 1913 fonda insieme a Giuseppe Ravegnani la rivista letteraria intitolata Vere Novo. Al contempo Balbo capeggia praticamente ogni manifestazione studentesca e tiene spesso discorsi durante le manifestazioni irredentistiche: per questo il padre lo invia a San Marino per completare gli studi, dopo i quali continua a prendere parte a manifestazioni, anche a Milano, dove conobbe Mussolini e inizia a collaborare con il Popolo d’Italia. Nel capoluogo lombardo Balbo soggiorna presso il fratello più grande Edmondo. Ex sindacalista rivoluzionario ferrarese e interventista convinto, Edmondo aderisce al Fascio d’avanguardia milanese e collabora con il giornale La Giovane Italia, frequentandone con il fratello più piccolo la redazione. Con la guerra, Balbo poteva seguire le proprie idee interventiste, arruolandosi così volontariamente per il fronte: diventa sottotenente degli Alpini, e comanda nel 1918 il reparto arditi del battaglione Pieve di Cadore sul Monte Grappa, guadagnando due medaglie d’argento e una di bronzo. Nel frattempo, segue un corso da pilota a Torino, prima di Caporetto. Prima della smobilitazione, Balbo assume a Udine la direzione del settimanale L’Alpino, sul quale inizia una violenta battaglia contro i socialisti e a favore dell’impresa di Fiume. Smobilitato, Balbo porta a termine il ciclo dei suoi studi, laureandosi a Firenze nel 1920 con la tesi Il pensiero economico e sociale di Mazzini. È questo il momento in cui torna a Ferrara, alla ricerca di lotta politica e di una rivoluzione: dopo i fatti del 20 dicembre del 1920, Balbo viene chiamato a dirigere il Fascio ferrarese, queste sue spinte rivoluzionarie si traducono ben presto nella lotta cruenta ai socialisti, caldeggiando le prime spedizioni punitive. Gli ideali mazziniani e repubblicani di Balbo si mescolano a un senso romantico di rischio e avventura, nonché di un virulento antisocialismo: a ciò si aggiungano il fervore giovanile, la recente esperienza in guerra e la volontà di ribaltare a ogni costo la realtà, condita dall’odio verso i politicanti e accesa dalla volontà di successo personale. Balbo sostiene l’utilità della violenza, ed è privo di quell’idealismo dei Gaggioli e dei Montanari che non vogliono mettere il fascismo ferrarese al servizio dell’Agraria, nonostante le formali smentite: accetta di prendere parte al fascismo a patto di determinate condizioni economiche e personali. A Ferrara Balbo è tra i fondatori del settimanale del Fascio ferrarese Balilla, un utile strumento di propaganda, sul quale scrive, sotto lo pseudonimo di Fantasio, di voler far piazza pulita di tutti, socialisti e borghesi; ma come segretario politico del Fascio prima, e segretario provinciale poi, pianifica le spedizioni in tutta la provincia ma non solo, estendendo l’azione delle sue squadre nei territori limitrofi a Ferrara e spingendosi fino a Venezia, in decisa funzione antisocialista: anzi, non condivide in alcun modo il patto di pacificazione con i socialisti voluto da Mussolini, non ritenendo, come sostenevano anche altri fascisti locali, che a Ferrara non ci sono le condizioni per attuarlo. Così Balbo continua a dirigere le spedizioni per andare a colpire il socialismo emiliano, assecondando i desideri degli agrari; d’altro canto, egli è ben conscio della necessità di avere una solida base d’appoggio: incanala così il proletariato ferrarese nei sindacati autonomi fascisti, incaricandone la direzione a Edmondo Rossoni, anche se il programma agrario fascista di concedere la terra a ogni operaio non sembra prendere piede in modo effettivo. Non solo: l’occupazione di Ferrara da lui stesso ideata per ottenere lavori pubblici contro la disoccupazione viene interpretata dagli avversari politici come una mossa unicamente politica. E, dopo le leghe socialiste, è il momento delle leghe bianche, nonostante i cattolici ferraresi si siano schierati a fianco del fascismo sul fronte antisocialista. Per avere la garanzia dell’efficacia dell’azione delle sue squadre, Balbo esige la massima disciplina. All’inizio del 1922, infatti, ha già pensato a organizzare in senso militare le sue squadre, per trasformare gli uomini a servizio del fascismo in una vera e propria milizia divisa in zone di comando: balbo ottiene la zona più importante, quella formata da Emilia-Romagna, mantovano, Marche, Veneto, Trentino e Zara. Dopo che non ha luogo la spedizione a Fiume, Balbo rientra a Ferrara, persistendo nell’opera di organizzazione di quello che ormai sta divenendo un esercito fascista, chiedendo un ordinamento delle forze armate e una maggiore disciplina: viene accolta così la sua richiesta di istituire un Comando supremo della milizia fascista, con l’annesso regolamento di norme di disciplina e di impiego delle squadre. Nonostante questo, l’azione militare intrapresa a Parma a inizio dell’agosto del 1922 fallisce, non riuscendo a vincere le resistenze antifasciste nella città emiliana. Balbo, tuttavia, è convinto che le squadre fossero ormai pronte a un’azione più grande, che va svolta immediatamente: la conquista della capitale Roma, che avviene alla fine di ottobre dello stesso anno, permettg ai fascisti di insediarsi al Governo. Balbo, che in questo frangente gioca un ruolo di primo piano, rientra in seguito a Ferrara, dove nel 1923 fonda e dirige il quotidiano Il Corriere Padano, affidandone poi la direzione a Nello Quilici. Nella provincia, poi, Balbo continua a perseguire la lotta spietata contro gli avversari politici: viene ritenuto il responsabile della morte di Don Minzoni, avvenuta per mano fascista il 23 agosto del 1923 ad Argenta; chiede ai suoi uomini di bastonare “con stile”, come scrive in una lettera a Tommaso Beltrani. È così costretto a ritirarsi dal comando generale della Milizia fascista. A Ferrara è acclamato e Mussolini lo stima, tanto da nominarlo sottosegretario di Stato all’Economia Nazionale nel 1926, ruolo che mantiene fino al 1929, per poi essere nominato Ministro dell’Aeronautica. È questo il periodo dello studio civile e militare dell’aviazione, conducendo personalmente le trasvolate nel Mediterraneo, nell’Europa settentrionale e quelle oceaniche, a Rio de Janeiro e a Chicago, che hanno anche un marcato aspetto propagandistico per il fascismo: Balbo è nominato Maresciallo dell’aria, ma quando i finanziamenti al Ministero dell’Aeronautica vengono ridotti, è dimesso dal ruolo di Ministro e, nel 1934, diventa governatore della Libia, andando a sostituire Badoglio. Nella colonia Balbo intraprende un’opera di sviluppo civile, sociale, militare ed economico, al fine di renderla parte integrante del territorio italiano: moltissime famiglie salpano dall’Italia per la Libia, e nel 1939 egli concede la cittadinanza speciale italiana a tutti i musulmani. Sul piano internazionale, Balbo inizia a nutrire dissensi con la politica perseguita da Mussolini. Non condivide la scelta di schierarsi come alleati al fianco della Germania nazista, né è convinto della stipulazione delle leggi razziali antisemite; tuttavia, porta avanti le scelte governative e allo scoppio della guerra assume il comando delle forze militari libiche, che, però, hanno mezzi poco adeguati a portare avanti il conflitto: e proprio per un errore dell’antiaerea italiana, Balbo, in volo nei cieli di Tobruk, viene abbattuto il 28 giugno del 1940.

Fonti: Berselli Aldo, Balbo, Italo, s.v., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. V, 1963.
Andrea Baravelli (a cura di),Il fascismo in persona. Italo Balbo, la storia e il mito, Sesto San Giovanni (Milano), Mimesis, 2021.


Bardellini Giuseppe

Borgo San Luca, 25 maggio 1892

Abbandona gli studi per aiutare il padre nella sua officina, e le lotte bracciantili di inizio secolo hanno una grande influenza sul giovane Bardellini, che inizia a orientarsi verso il socialismo. Inizia a frequentare il circolo socialista di Borgo San Luca, impartendo lezioni agli analfabeti iscritti. Decide poi di aderire al sindacalismo rivoluzionario nel 1908, che ha stabilito, l’anno precedente, di abbandonare il Partito socialista ufficiale nel congresso tenutosi a Ferrara. Bardellini conosce nel 1910, divenendone amico e collaboratore, Michele Bianchi, in quel tempo segretario della Camera del Lavoro di Ferrara e direttore della Scintilla. Frattanto Bardellini diventa segretario dei sindacalisti del borgo natio, e nel settembre del 1911 è tra i massimi esponenti dello sciopero contro l’impresa libica: anzi, per le elezioni del 1913, fonda il settimanale La Battaglia, a sostegno della candidatura di Bianchi, contro quella del socialista Mazzanti che caldeggia l’intervento in Libia. Ma Bianchi fa confluire i voti, ottenuti dai sindacalisti rivoluzionari, a favore del radicale Mosti, deciso interventista nella questione libica, e così Bardellini rientra nelle fila del PSI, e come riformista viene eletto a consigliere comunale e provinciale a Ferrara. Contrario all’intervento dell’Italia in guerra, dopo il conflitto, nel 1919, Bardellini anima lo sciopero del luglio del 1919, rimediando l’arresto, per poi essere rilasciato quasi immediatamente. Nel 1920 egli è nuovamente eletto al Consiglio comunale, dove diventa assessore dell’annona, e al Consiglio provinciale di Ferrara, formando e presiedendo la Lega provinciale dei metallurgici. Bardellini deve dimettersi dall’esecutivo della Federazione socialista ferrarese, perché contrario alla politicizzazione delle agitazioni delle fabbriche del 1920, e, nell’anno seguente, viene licenziato dal Consorzio delle Cooperative, dove svolgeva l’attività di ispettore amministrativo, a causa delle pressioni del Fascio. Egli decide allora di aprire un ufficio di assistenza per le cooperative presso la Camera del Lavoro di Ferrara, ma le reiterate aggressioni fasciste lo costringono a rifugiarsi a Milano. Torna a Ferrara dopo la morte del padre, ma viene ancora aggredito dai fascisti: Bardellini si dedica, allora, all’officina paterna, dal 1925 fino al 1945 quando, con la Liberazione, viene nominato assessore del Comune di Ferrara. L’anno seguente viene eletto, ancora una volta, nei consigli comunale e provinciale, ricoprendo in entrambe le amministrazioni il ruolo di assessore; nel 1951-1952 è anche pro-sindaco di Ferrara, fino a essere eletto, nel 1953 e nel 1958, Senatore nel collegio di Comacchio-Copparo. Dopo il mandato, torna nella sua bottega artigiana fino al 1968. Bardellini muore a Ferrara il 24 gennaio del 1981.

Fonti: Stefano Caretti, Bardellini Giuseppe, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. I, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1975.


Brombin Francesco

Professore presso l’Istituto tecnico Monti di Ferrara, è un nazionalista. Brombin fonda nel gennaio 1919 l’Associazione pro mutilati, ed è uno dei principali portavoce dei combattenti. Nel febbraio 1920 organizza gli studenti in modo da spezzare lo sciopero delle poste. Egli ha in precedenza fatto parte del Gruppo nazionalista di Ferrara, uscendone nel 1914 probabilmente per l’egemonia dei clericali sul nazionalismo ferrarese. A metà settembre 1920 in casa sua si svolge una riunione con nove partecipanti: si vuole ricostituire il Fascio di combattimento ferrarese, e dopo un mese di confusione a metà ottobre si richiede al Comitato Centrale milanese le tessere di iscrizione. Nel gennaio del 1921 Brombin tenta di istituire un sindacato autonomo di produzione, di lavoro e di consumo di Ferrara tra i commercianti cittadini (sotto la bandiera dell’Associazione nazionale Combattenti e non del Fascio), affidandolo all’ex sindacalista Pilo Ruggeri e, per la parte amministrativa, a Raul Forti: non ottiene però i risultati desiderati. È promotore della Cooperativa di costruzione integrale edile. Con le amministrative del 1922 Brombin diventa presidente del Consiglio provinciale, con vicepresidente Alberto Verdi e segretario Giulio Righini (entrambi fascisti legati ad ambienti nazionalisti). Si dimette però da questa carica e dal ruolo di segretario del Fascio cittadino di Ferrara, consegnando la tessera fascista alla fine di marzo 1923: non vuole «essere schiavo della cricca fascista-massonica» (Corner, p. 267 che rimanda a Balilla, 1 aprile 1923). È anche presidente del Fascio dei Sindacati Autonomi.


Calzolari Armando

Baura, 23 marzo 1881

Avvocato, si candida con il partito cattolico nelle elezioni del 1919. È consigliere comunale e provinciale a Ferrara prima delle elezioni del 1920. Nel 1919 diventa segretario della sezione cittadina di Ferrara del PPI (e di nuovo della sezione comunale a metà 1920) e segretario del Comitato Provinciale per l’opera di assistenza civile e religiosa dei figli dei morti in guerra; negli anni Dieci ricopre anche le cariche di vice presidente del fiorentino Circolo Popolare Cattolico, di segretario della Giunta Diocesana, di membro della Direzione Comunale di Ferrara e del Comitato provinciale del PPI; è anche membro della Deputazione della Congregazione di Carità. Domenica 18 aprile 1920 La Domenica dell’operaio da la notizia che al congresso nazionale del PPI Calzolari viene eletto nel nuovo Consiglio Nazionale del PPI con 119.629 voti, secondo solo a Luigi Sturzo. Dopo la guerra, Calzolari viene nominato Presidente del primo Comitato provinciale della Democrazia Cristiana ferrarese, eletto il 28 settembre del 1946, e ricopre il ruolo di consigliere comunale dal 1946 al 1952. Muore a Ferrara il 24 settembre del 1955.

Fonti: Dario Franceschini, Il Partito Popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e don Minzoni, Bologna, CLUEB, [1985].


Cavallari Mario

Portomaggiore, 9 dicembre, 1878

Viene mandato nel collegio di San Carlo di Modena fino al conseguimento della licenza ginnasiale nel 1893, per poi proseguire gli studi a Fano. Cavallari inizia a frequentare la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna proprio a fine secolo, quando le lotte politiche e sociali lo avvicinano al socialismo. Si laurea quindi nel 1901 in Diritto penale, e viene immediatamente eletto nel Consiglio comunale del paese natale, così come nelle due elezioni successive. Cavallari collabora già con la Scintilla, che però abbandona nel 1905 per fondare il Pensiero Socialista e dare voce alla corrente moderata e riformista del socialismo. Non è impegnato solamente nella politica: Cavallari difese, in questi anni, un gran numero di braccianti contro la borghesia, portando avanti i suoi ideali di difesa dei diritti dei lavoratori. Nel 1913 Cavallari viene eletto deputato nel collegio di Portomaggiore. Rimane nelle fila del PSI anche quando si esprime a favore dell’intervento italiano sia in Libia, sia nel conflitto mondiale: anzi, parte come volontario, ottenendo una promozione e una decorazione per meriti di guerra, congedandosi con il grado di capitano. Nonostante l’impegno profuso all’interno del PSI, nell’agosto del 1919 viene espulso dal partito, a causa del suo interventismo e la sua partenza volontaria per il fronte: il segretario del Partito Costantino Lazzari presenta, in una riunione nella sezione di Portomaggiore, l’ordine del giorno che prevede l’espulsione di Cavallari dal Partito. Alda Costa e Gaetano Zirardini, invece, sono favorevoli alla sola decadenza dell’on. Cavallari dalla carica di deputato; l’espulsione è votata con 11 voti contro 10, mentre 6 si astengono. Lazzari riceve, in seguito, una lettera di Filippo Turati (6 agosto 1919) in difesa di Cavallari: il 20 settembre la Scintilla da notizia del reinserimento di Cavallari tra i ranghi socialisti nella sezione di Portomaggiore. Cavallari riprende le sue attività, e difende gli imputati ferraresi del 20 dicembre 1920 nel processo di Mantova, attirandosi così le antipatie dei fascisti, che lo minacciano e devastano il suo studio. Durante il periodo fascista, Cavallari si dedica esclusivamente alla propria professione, distaccandosi dalla vita pubblica ma mantenendo contatti con gli ambienti antifascisti. Dopo l’8 settembre del 1943 egli viene arrestato e tradotto nelle carceri di via Piangipane, e poi a Verona. Rientra a Ferrara al termine della guerra, e viene nominato presidente del CLN cittadino, riprendendo l’attività nelle fila socialiste. È presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara e del Consorzio generale di bonifica, e rifiuta una candidatura al Senato e una alla Camera. Muore in una clinica bolognese nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 1960.

Fonti: Stefano Caretti, Cavallari Mario, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. I, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1975.


Costa Alda

Ferrara, 26 gennaio 1876

Ottenuto il ruolo di insegnante elementare nel 1899, inizia in questo periodo anche il suo interesse alla politica, divenendo, in seguito, una delle personalità socialiste più influenti della provincia ferrarese. Avversa all’anarco-sindacalismo, nel 1905 si schiera con la scissionista Federazione provinciale riformista dei circoli socialisti, collaborando poi con l’organo ufficiale, il Pensiero socialista, finché la scissione non viene risolta nel novembre del 1906. Nel 1913 Alda Costa è tra i fondatori dell’organo del socialismo ferrarese, la Bandiera socialista; non solo, perché rimane, per tutta la durata della guerra, negli esecutivi della Camera del Lavoro di Ferrara e della federazione socialista ferrarese, ed è anche responsabile, dalla fine del 1916, della propaganda per la pace e dell’organizzazione femminile del PSI. Con la sua opera e quella di Zirardini, il movimento socialista ferrarese rimane in piedi per tutta la durata del conflitto; né indietreggia quando imperversa a Ferrara lo squadrismo fascista, nonostante aggressioni e umiliazioni da parte degli uomini di Balbo, continuando la sua attività anche dopo l’ottobre del 1922, mantenendo carteggi e operando clandestinamente. Alla cerimonia del giuramento, però, nel 1926, il suo atteggiamento insofferente le costa la perquisizione domiciliare: vengono portati alla luce i legami che intratteneva ancora con il Partito socialista, quindi viene sospesa dall’insegnamento, licenziata e inviata al confino per cinque anni, ridotti a due, che trascorse tra le Tremiti e la Basilicata. Rientrata a Ferrara, è costretta a richiedere il pensionamento anticipato e a ritirarsi nel 1932. Durante il secondo conflitto mondiale, Alda Costa riprende i contatti con i vecchi compagni di partito, partecipando poi a una serie di incontri interpartitici: dopo l’uccisione del federale Ghisellini viene arrestata il 15 novembre del 1943 e trasferita nel carcere di Copparo (in provincia di Ferrara). Malata di leucemia, Alda Costa muore nell’ospedale di Copparo il 28 aprile 1944.

Fonti: Alessandro Roveri, Costa, Alda, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXX, 1984.
Giuseppe Bardellini, Note su Alda Costa, 1963.
Autunno Ravà, Alda Costa educatrice – combattente – martire: trent’anni di stolta persecuzione poliziesca, Ferrara, Partito Socialista Italiano, 1952.
Marco Cazzola, Alda Costa. Scritti e discorsi (1905-1921), a cura della Segreteria di Presidenza dell’Amministrazione Provinciale di Ferrara, Ferrara, Spazio Libri, 1992.


Gaggioli Olao

Ferrara, 1897

Dopo aver conseguito il diploma in ragioneria, Gaggioli si adopera per formare il circolo socialista autonomo interventista di Ferrara. Parte poi volontario in guerra, prima nei bersaglieri e poi negli Arditi come tenente: viene insignito di quattro medaglie d’argento e una di bronzo al Valor Militare, e, nel 1922, della Croce di Cavaliere della Corona d’Italia per meriti di guerra, ottenendo anche il plauso di Mussolini. Nel 1918 Gaggioli si lega ai Fasci futuristi di Marinetti, per poi mettersi a capo, nel febbraio dell’anno successivo, del gruppo futurista ferrarese, di stampo nazionalista e anticlericale e con un programma «contro la disoccupazione e le mosse bolsceviche» (Gazzetta ferrarese, 14 aprile 1919). Appoggia così il movimento mussoliniano, aderendo all’assemblea milanese di piazza San Sepolcro. Membro dell’Associazione Nazionale Combattenti, Gaggioli è massone e legionario fiumano, tanto da dimettersi dal PRI per il mancato sostegno a favore di Gabriele D’Annunzio negli eventi di Fiume. Dopo un primo tentativo di formazione del Fascio ferrarese nell’estate del 1919, Gaggioli è tra i promotori della sua ricostituzione nell’ottobre 1920, ottenendo un immediato successo: organizza squadre di vigilanza per le elezioni, e guida i suoi uomini a Bologna negli eventi tragici di Palazzo d’Accursio. Gaggioli, tuttavia, si dimette da segretario del Fascio il 17 dicembre del 1920, in particolar modo per l’eccessiva influenza dell’Agraria ferrarese all’interno del movimento, come testimonia la lettera del fratello Luigi a Morisi, datata 29 dicembre 1920 (ACS, MRF, b. 28 Ferrara); il suo ritiro lascia così spazio all’arrivo di Balbo a Ferrara. Gaggioli è tra i protagonisti dell’affermazione del fascismo ferrarese: forma la squadra Celibano, conduce una spietata lotta ai socialisti e un’assidua propaganda in tutta la provincia a sostegno, in seguito, dei sindacati nazionali autonomi (tra il 1921 e il 1922 egli diventa vicesegretario provinciale dei sindacati fascisti, e presidente del Consorzio fra le Cooperative di produzione e lavoro della provincia). Gaggioli, però, come dimostravano le sue dimissioni nel dicembre 1920, mal sopporta le ingerenze agrarie all’interno dell’azione e del programma fascista, tanto che nell’autunno del 1921 entra, insieme a Barbato Gattelli, in contrasto con Balbo, che si serve delle squadre fasciste per fare gli interessi degli agrari. Ancora con Gattelli, quindi, Gaggioli costituisce il Fascio autonomo ferrarese nel novembre del 1921, che poi avrebbe rilanciato nel settembre del 1923, il che scatena la repressione ordinata da Balbo, che alla fine convince Gaggioli a desistere; questi viene dunque riaccolto all’interno del PNF, dove gli sono affidati ruoli nella Milizia: è comandante della legione di Ancona alla fine del 1923, e poi di quella ferrarese tra il 1923 e il 1940. Gaggioli compare tra i deputati della XXX Legislatura del Regno del 1939 e, in seguito, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana.

Fonti: Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922, s.v., Milano, Mondadori, 2003.


Gattelli Barbato

Argenta, 8 marzo 1896

Abbandona gli studi nel 1915 per arruolarsi nel Reggimento Artiglieria come Tenente e combattere al fronte e, una volta rientrato dalla guerra (durante la quale conobbe Mussolini), diventa un giovane industriale, proprietario di una piccola industria metallurgica di motori per automobile, di nome SFIM, da lui fondata e gestita a Chiesuol del Fosso. Di stampo garibaldino e in seguito fascista convinto e attivo promotore della propaganda fascista in provincia, il giovane Gattelli subentra come deputato ferrarese al posto di Mussolini, eletto anche nella circoscrizione di Milano-Pavia. All’interno delle dinamiche del fascismo ferrarese, Gattelli cerca di osteggiare la conduzione che al Fascio stava dando Italo Balbo: Gattelli si trova su posizioni verso l’ala sinistra del movimento, ed è più un fascista anticapitalista; come i fratelli Gaggioli, Gattelli è un esponente del ceto medio urbano e, inoltre, in quanto rappresentante dell’Associazione Combattenti egli ha tra questi largo seguito. Il suo pensiero è quello di riportare il fascismo a quello che era prima della coalizione con l’agraria ferrarese: si schiera dunque con Mussolini sulla pacificazione, strada che il futuro Duce non ha assolutamente intenzione di percorrere; Gattelli da così battaglia a Balbo schierandosi con Mussolini, che in realtà si riconcilia con Balbo grazie proprio alle sue squadre. Così, il Fascio autonomo ferrarese acquista il giornale repubblicano «Provincia di Ferrara», che, dal 14 settembre 1921, esce con il sottotitolo “Quotidiano fascista”: si richiede agli agrari di attenersi ai programmi concordati per la ripartizione delle terre. Nell’estate del 1922 Gattelli riprende la sua battaglia contro gli agrari e la borghesia, nonché contro Balbo, finanziando personalmente un nuovo giornale, «L’idea fascista», e capeggiando ancora una volta quel gruppo di fascisti urbani delle origini, chiedendo che i fascisti andassero incontro agli interessi dei lavoratori. Nonostante durante la marcia su Roma i fascisti dissidenti operano attivamente per la riuscita dell’azione, il dissidio non si spegne e Gattelli viene arrestato nel giugno del 1923.

Fonti: Luigi Davide Mantovani, Italo Balbo e la dissidenza fascista a Ferrara, in Il fascismo in persona. Italo Balbo, la storia e il mito, a cura di Andrea Baravelli, Sesto San Giovanni (Mi), Mimesis, 2021.


Grosoli Pironi Giovanni

Carpi, 31 agosto 1859

È figlio di un avvocato di origine ebraica che aveva abbracciato con entusiasmo la religione cristiana e da madre appartenente a una famiglia nobile. Dopo essersi trasferito con la famiglia a Ferrara, Grosoli riceve un’educazione e un’istruzione fortemente improntate al sentimento religioso e cattolico, nonché una formazione di stampo umanistico. Proprio per questi motivi Grosoli ha forti spinte caritatevoli e cristiane, portando avanti a Ferrara numerose e importanti iniziative sociali, tanto che nel corso degli anni la Santa Sede lo ricompensa con la nomina a Cameriere di cappa e spada nel 1886, a Commendatore di San Gregorio Magno nel 1888, con la Croce pro Ecclesia et pontifice nel 1888 e il titolo a Conte romano nel 1896. Nel 1906 il conte Grosoli, servendosi del palazzo di famiglia a Ferrara, vi istituisce una vera e propria Casa del popolo, come centro di attività ricreative sociali e cattoliche. L’attività caritatevole di Grosoli va di pari passo con il suo impegno politico nelle fila del movimento cattolico: è per ben due volte, a cavallo dei due secoli, presidente del Comitato romagnolo dell’Opera dei congressi e dei comitati cattolici, mettendosi in luce anche in altri due settori in cui avrebbe operato di lì a poco: quello giornalistico e quello creditizio. All’inizio del 1895 promuove a Ferrara la creazione del periodico cattolico La Domenica dell’Operaio, e partecipa alla creazione de L’Avvenire a Bologna, in seguito noto come L’Avvenire d’Italia. Sostiene poi la creazione della Società Editrice Romana Civile per Azioni, un vero e proprio trust per coordinare dal punto di vista amministrativo i giornali cattolici a esso aderenti. Ancora a Ferrara, Grosoli si impegna per la costituzione di casse rurali e opere di assistenza rivolte a contadini e piccoli proprietari, sostenendo il Piccolo Credito Romagnolo (di cui era presidente dal 1916) per le iniziative creditizie nel mondo rurale; è inoltre presidente del Piccolo Credito di Ferrara fino al 1928, controllava con Giuseppe Vicentini il Credito nazionale, ed era consigliere del Banco di Roma (1919-1921). Grosoli va ricordato per essere stato, nel suo periodo di attività, il punto di riferimento per i cattolici ferraresi: viene eletto più volte al Consiglio comunale cittadino a partire dal 1899, e il suo operato è fondamentale per portare i cattolici nella coalizione alla guida del Comune nel 1922; ma Grosoli è importante anche a livello nazionale: egli, infatti, è nel 1919 tra i membri fondatori del Partito Popolare Italiano, anche se non è sempre concorde con la linea portata avanti dal partito. Anzi, Grosoli diventa un aperto sostenitore del movimento fascista, che arriva a definire come una vera e propria «crociata per la libertà»: non solo per motivi antisocialisti, ma anche per proteggere quegli investimenti che molti cattolici ferraresi avevano fatto, tra banche (per quei piccoli proprietari che appoggiavano il fascismo contro le leghe socialiste) e industria saccarifera, che rappresentano una fitta ed estesa rete di interessi economici. Nonostante la carica di Senatore a partire dal 1920, questo suo pensiero filofascista e il suo sostegno al Governo Mussolini lo allontanano progressivamente dal Partito, fino a dimettersi da esso. Grosoli ha però delusioni anche dal punto di vista finanziario: dopo aver già dovuto attingere al patrimonio personale dopo la liquidazione della Società Editrice Romana e il fallimento dell’Unione Editoriale Italiana che la sostituisce, la crisi di fine anni Venti colpisce anche le banche cattoliche e Grosoli deve così cedere tutti i suoi averi, morendo in povertà ad Assisi, in Provincia di Perugia, il 21 febbraio del 1937.

Fonti: Francesco Malgeri, Grosoli Pironi, Giovanni, s.v., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LIX, 2002.
Confindustria Ferrara. Gli uomini, la storia, il palazzo, a cura di Leopoldo Santini, Ferrara, Edisai, [2007], pp. 158-161.
Romeo Sgarbanti, Ritratto politico di Giovanni Grosoli, Roma, 5 lune, 1959.
Dario Franceschini, Il Partito Popolare a Ferrara. Cattolici, socialisti e fascisti nella terra di Grosoli e don Minzoni, Bologna, CLUEB, [1985].


Mantovani Vico

Ferrara, 13 febbraio 1869

Laureato in ingegneria, Mantovani diventa il leader degli agrari ferraresi, accettando il programma agrario fascista ferrarese che a inizio 1921 prevede la creazione di tantissimi piccoli proprietari terrieri con contratti di enfiteusi, onde allontanare la minaccia socialista. Mantovani diventa così uno dei primi promotori del fascismo ferrarese. A partire dagli anni del primo dopoguerra, Mantovani, oltre alla presidenza dell’Agraria ferrarese, ricopre numerose cariche amministrative: è Consigliere comunale e Consultore municipale di Ferrara dal 1922, nonché Consigliere provinciale e Assessore supplementare della Giunta comunale Caretti sempre con le elezioni del 1922; Mantovani ricopre anche altre cariche all’interno delle istituzioni ferraresi: nel 1919 egli è presidente del Comitato Pro Mutilati di Copparo, e da agosto dello stesso anno Consigliere della Società Anonima Auto Agricola; poi Presidente della Banca Mutua, Presidente della Scuola Industriale di Ferrara, Commissario straordinario e in seguito Vice presidente della Camera di Commercio di Ferrara (1927-1932) e Presidente del Consorzio generale di bonifica per la Provincia di Ferrara, nonché fondatore e presidente dell’Istituto federale di Credito Agrario. Membro del Consiglio direttivo dell’Associazione liberale, a livello nazionale Mantovani viene eletto alla Camera dei Deputati nelle elezioni del 1921, 1924 e 1929 per le Legislature XXVI, XXVII e XXVIII del Regno d’Italia, e nominato Senatore l’1 marzo del 1934. Tra le onorificenze, viene insignito nel 1915 del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, nel 1919 divenne Ufficiale dell’Ordine e della Corona d’Italia e nel 1921 Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia. Vico Mantovani si spegne a Ferrara il 22 ottobre del 1938.

Fonti: sito del Senato della Repubblica 


Marangoni Guido

Casanova Elvo (Vercelli), 16 maggio 1872

Ragioniere e appassionato di arte (è direttore dei Civici Musei di Milano e socio onorario delle Accademie di Brera e di Venezia), collabora fin da giovane con il periodico democratico torinese La Squilla, che poi si orienta verso il socialismo. Marangoni si trasferisce a Milano, militando nel Partito socialista e mostrando uno spiccato anticlericalismo. Con l’inizio del XX secolo Marangoni inizia a collaborare con i sindacalisti rivoluzionari ferraresi, che nel 1905 gli affidarono la direzione della Scintilla. Nel 1907 Marangoni viene anche arrestato in quanto dirigente dello sciopero di Copparo contro la compartecipazione; poi, nel 1909, è l’artefice della riunificazione sindacale in seguito alla scissione tra riformisti e anarco-sindacalisti ferraresi. Forse per questo viene eletto alla Camera nel collegio Copparo-Comacchio nelle elezioni dello stesso anno, per poi essere rieletto nuovamente nel 1913 e nel 1919. Durante i suoi mandati da vigore al movimento cooperativo ferrarese, e mantiene, nei confronti della guerra, un atteggiamento decisamente neutralista, allontanandosi dal sindacalismo interventista. Nel 1916 promuove la formazione della Federazione giovanile socialista di Ferrara, operando poi, attivamente, alla ricostituzione del socialismo nel Ferrarese nel periodo postbellico e schierandosi contro la scissione comunista; ricopre il ruolo di presidente del Consiglio provinciale di Ferrara dal 1914 al 1920. Con il fascismo, però, Marangoni abbandona la vita politica, e muore il 16 gennaio del 1941 a Bordighera, in Provincia di Imperia.

Fonti: Alessandro Roveri,  Marangoni Guido, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. III, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1977.
https://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/3n040-00050/


Mazzanti Raffaele

Argenta, 28 aprile 1877

Dopo aver conseguito il diploma di maestro elementare, Mazzanti si iscrive giovanissimo al Partito socialista, e in poco tempo viene nominato segretario della sezione socialista di Codifiume, frazione del Comune di Argenta, e si attiva come propagandista negli scioperi di fine secolo a Molinella, collaborando con la testata Scintilla; accusato di estorsione, deve emigrare, sembra, in America per sfuggire a una condanna di oltre undici mesi, che tuttavia sconta al suo rientro. Dopo la detenzione Mazzanti si rimette subito all’opera, specialmente nel campo della cooperazione, vitale nelle zone di bonifica in cui si trova: viene nominato segretario della Federazione delle cooperative di consumo e di lavoro alla fine del 1903. Mazzanti approda poi, da socialista riformista, nel capoluogo, pur continuando a mantenere la carica di segretario di Codifiume. Nel 1910 viene eletto al Consiglio comunale di Ferrara e continua la propaganda socialista in tutta la Provincia. Mazzanti, però, ha dei contrasti con il PSI, dimettendosi per poi rientrarvi in seguito, quando pubblicamente approva l’impresa libica. Mazzanti rimane schierato su una concezione “ministerialista” del socialismo, attribuendo alla classe lavoratrice funzioni prettamente economiche e sindacali, e non politiche: è così che, negli scioperi del 1912, Mazzanti mette in atto questo pensiero, e, al controllo del neoformato Consorzio provinciale delle Cooperative di lavoro, ottiene a Roma dei supplementi ai lavori pubblici, fondamentali per combattere la sempre maggiore disoccupazione nel Ferrarese. Dopo la mancata elezione alle politiche del 1913, non finiscono gli attriti con il Partito, tanto che Mazzanti è costretto a dimettersi dal PSI e dal ruolo di consigliere provinciale per aver apertamente appoggiato l’entrata dell’Italia in guerra nel maggio del 1915, pur mantenendo il controllo del movimento cooperativo provinciale. Dopo la guerra, però, Mazzanti deve abbandonare anche la presidenza del Consorzio delle Cooperative: ufficialmente si accettano le dimissioni di Mazzanti, ma le accuse sono quelle di essersi arricchito durante la guerra, di non aver mai corrisposto alla Camera del lavoro il debito contributo, di essere stato un interventista, di non aver cercato di contribuire allo sviluppo della cooperazione di classe (Scintilla, 18 ottobre 1919); durante la sua gestione, tuttavia, vengono create 36 cooperative in tutta la provincia di Ferrara. Mazzanti, per reazione, si schiera con il Blocco conservatore nelle successive elezioni del 1919, appoggiato dagli agrari ferraresi e da un movimento fascista che muove i suoi primissimi passi. Mazzanti non si iscrive al Fascio, ma lo fiancheggia, così come intrattiene stretti legami con i banchieri cattolici ferraresi. Dopo essersi recato a Bari e poi a Napoli, egli ritorna a Ferrara, ed è proprio il Fascio a consegnargli il controllo del Consorzio delle cooperative, strappato ai socialisti. Arrivano, tuttavia, nuovamente le sue dimissioni, per diretto intervento del Ministro del Lavoro Labriola. Nel 1922 Mazzanti viene eletto al Consiglio provinciale, nelle fila, ancora una volta, del Blocco Nazionale capeggiato ormai da elementi fascisti.

Fonti: Gianni Isola, Mazzanti Raffaele, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. III, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1977.


Montanari Alberto

Geometra ed ex ufficiale dei Bersaglieri, partecipò alla riunione a casa Brombin ed è tra i primi fascisti di Ferrara, tanto che prende il posto come segretario del Fascio ferrarese del dimissionario Olao Gaggioli appena prima dei fatti del 20 dicembre 1920. Nel 1921, quando Balbo diventa segretario della Federazione fascista, Montanari è nominato nuovamente ma provvisoriamente segretario del Fascio di Ferrara. Il 24 marzo 1921 la Gazzetta ferrarese ne annuncia la partenza da Ferrara per recarsi a Treviso, dopo aver gettato «anima e corpo nella battaglia civile dei Fasci». Viene allontanato con le elezioni del 1921 perché sospettato di essere portavoce degli agrari.


Niccolai Adelmo

Sambuca Pistoiese (Pistoia), 4 settembre 1885

Di professione avvocato, ma anche giornalista e pubblicista, durante gli studi si lega all’unione socialista bolognese, avvicinandosi però, soprattutto, al sindacalismo rivoluzionario ferrarese, che guida fino al 1906. Si adopera attivamente, al fianco di Marangoni, per la riunificazione del socialismo ferrarese, e diventa poi presidente dell’Amministrazione provinciale di Ferrara durante il primo conflitto mondiale, verso il quale mantiene sempre un atteggiamento di ostilità. La sua opera continua anche dopo la guerra, al fine di ricostituire nuovamente una compatta organizzazione socialista a Ferrara, e viene così eletto nel 1919 come deputato nel collegio Ferrara-Rovigo. Difende in tribunale molti lavoratori socialisti, e per questo motivo si attira l’odio dei fascisti, che lo malmenano a sangue il 19 dicembre del 1920 a Bologna (dov’è stato aletto a Consigliere comunale), sconsigliando così la manifestazione di protesta per il giorno successivo a Ferrara, quando poi si arriva allo scontro tra fascisti e socialisti. In protesta alle violenze fasciste, così, Niccolai promuove l’astensione del socialismo ferrarese dalle elezioni del 1921, rifiutando la propria candidatura; viene tuttavia minacciato dai fascisti e, costretto a lasciare l’Emilia, si trasferisce a Roma, dove professa il suo lavoro di avvocato, difendendo in tribunale vari antifascisti, tra cui Gramsci. In seguito alla Liberazione, Niccolai torna a Ferrara, accolto trionfalmente dalle masse di lavoratori, riprende attivamente la sua politica nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, accettando poi la candidatura nel Fronte democratico popolare a Roma e a Ferrara nel 1948. Però, durante un comizio, viene colto da una crisi cardiaca e muore il 19 marzo dello stesso anno a Velletri (Roma).

Fonti: Alessandro Roveri, Niccolai Adelmo, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. III, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1977.


Rossi Romualdo

Goro, 21 luglio 1877

Nasce da una famiglia di braccianti e, dopo gli studi elementari, Rossi si reca come manovale in Francia, in Svizzera e infine in Belgio, un periodo nel quale si forma dal punto di vista politico alla fine del XIX secolo: tornato nella natale Goro, si iscrive al PSI, emergendo, in breve tempo, grazie alla sua attività di propagandista e di distribuzione della stampa “sovversiva”. Viene eletto così consigliere comunale di Mesola, in provincia di Ferrara, nel 1910, e, pochi giorni dopo, nel vicino comune di Codigoro, mentre si sta orientando su posizioni sindacaliste rivoluzionarie e collaborando anche con il giornale la Scintilla, di cui diventa direttore nell’agosto del 1912, anno in cui viene chiamato anche a dirigere la Camera del Lavoro di Ferrara. Sempre nel 1912 Rossi è eletto Sindaco di Mesola. La sua propaganda non si arresta, e a causa delle sue idee antitripoline viene condannato a 9 mesi: per sfuggirvi Rossi è costretto a riparare in Svizzera, in Francia e infine a San Marino, riuscendo a rientrare a Ferrara solamente in seguito all’amnistia concessa il 30 dicembre del 1914. Dopo aver capeggiato il gruppo aderente all’Unione Sindacale Italiana a causa di una scissione all’interno del sindacalismo ferrarese, nel 1915 Rossi riapre la Scintilla; le sue iniziali posizioni decisamente neutraliste nei confronti della guerra mutano profondamente, e Rossi diventa un fervido sostenitore della guerra, sottoscrivendo un manifesto di collaborazione con i nazionalisti, a nome del Fascio d’azione rivoluzionaria (fondato nel 1914 da repubblicani, anarchici e sindacalisti e aperto agli ex socialisti mussoliniani), nel maggio del 1915. Prima di essere chiamato in guerra come telegrafista, Rossi collabora con il foglio radical-socialista Il Fascio, diretto da Giuseppe Longhi mentre, durante il conflitto, giunge a posizioni decisamente antisocialiste, che egli propone come collante delle forze che componevano il blocco interventista. Rientrato dalla guerra, nel 1919 aderisce all’Unione Italiana del Lavoro: ne diventa il dirigente principale nel capoluogo e in tutta la Provincia di Ferrara, e aderisce, in seguito alla formazione del Fascio ferrarese, con tutte le sue organizzazioni ai sindacati autonomi fascisti. In una breve parentesi romana del 1920 Rossi è tra i fondatori del sindacato nazionale delle cooperative. Rossi, però, abbandona ben presto i sindacati fascisti, dal momento che viene danneggiato dalla nomina, come segretario della Camera Sindacale del Lavoro di Ferrara, del sindacalista fascista Edmondo Rossoni, tanto da arrivare a criticare l’azione fascista nella Valle Padane sul giornale Gioventù Sindacalista nel 1921. Rossi rientra ben presto nelle fila fasciste, ottenendo alla fine la carica di segretario della Camera del Lavoro ferrarese e, dopo la necessaria adesione al Partito Nazionale Fascista, viene designato come responsabile dell’organizzazione sindacale nella Provincia di Udine (1925), ma dopo soli cinque mesi è costretto ad abbandonare il posto per essersi schierato dalla parte degli operai che richiedevano un adeguamento salariale. Rossi rientra così a Roma, dove assume la direzione del periodico Patria, senza compiere azioni atte a ostacolare il regime fascista, anzi appoggiandolo e scrivendo anche saggi apologetici sulla grandezza fascista. Dopo la Liberazione, Rossi non è più attivo in politica, e muore a Roma il 10 agosto del 1968.

Fonti: Gianni Isola, Rossi Romualdo, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. IV, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.


Rossoni Edmondo

Tresigallo, 6 ottobre 1884

Dopo gli studi ginnasiali, si iscrive al PSI del paese natale, dopo le sue iniziali simpatie cattoliche, e partecipa agli scioperi di inizio secolo. Rossoni si trasferisce a Milano alla fine del 1904 per lavorare come impiegato di industria, e nel capoluogo lombardo si avvicina agli ambienti sindacalisti rivoluzionari, entrando a far parte del gruppo di propaganda sindacalista di Milano. Alla fine del 1907, rispettando le normative del sindacalismo rivoluzionario più intransigente, Rossoni esce dalla Federazione socialista, troppo moderata, e si dedica come rivoluzionario e antimilitarista alla Camera del Lavoro di Milano e al movimento giovanile socialista. L’anno successivo, nel giugno del 1908, dopo aver esercitato come propagandista del sindacalismo a Piacenza (dove si trovava alla guida amministrativa della Camera del Lavoro), Rossoni deve sfuggire alla condanna di quattro anni di reclusione per istigazione a delinquere e propaganda antimilitarista. Inizia così un periodo di fuga tra Europa e Americhe. Riparatosi a Nizza, viene minacciato di espulsione dal governo francese come agitatore, e così Rossoni decide di recarsi oltreoceano in Brasile; anche qui, a causa della sua attività sindacale, viene espulso dalle autorità, e dopo una breve parentesi a Parigi attraversa nuovamente l’Atlantico nel 1910 come corrispondente dagli Stati Uniti dell’organo sindacalista italiano L’Internazionale di Parma. Vive principalmente a New York, dove collabora con la testata Il Proletario, e continua a portare avanti le sue ferventi idee antimilitariste: qui Rossoni tocca con mano l’emigrazione italiana in America, compiendo conferenze negli Stati Uniti e in Canada, e l’11 giugno del 1911 pronuncia un violento discorso che si scaglia contro il patriottismo borghese, sputando, infine, sul tricolore italiano e su una corona deposta ai piedi di una statua di Garibaldi. Nel 1912 viene arrestato dopo lo sciopero degli operai tessili del New England e, in libertà provvisoria in attesa del processo, Rossoni rientra in Italia nel 1913 in seguito alla fondazione dell’Unione Sindacale Italiana, partecipando a scioperi come quello di Massafiscaglia e quello di Milano, dove viene arrestato per eccitamento all’odio tra le classi sociali. Rimesso in libertà provvisoria, Rossoni fa tappa a Londra per partecipare al Congresso Sindacalista Internazionale come rappresentante delle Camere del Lavoro di Parma e Bologna, poi ritorna negli Stati Uniti d’America. Qui viene a sapere della fondazione dell’interventista Unione Italiana del Lavoro: vi aderisce immediatamente, e abbandona Il Proletario, passando a dirigere il giornale interventista e nazionalista La Tribuna di Brooklyn (in seguito, nel 1918, fonderà l’interventista L’Italia nostra, a Milano). Nel 1916 Rossoni lascia New York per operare in favore dell’intervento in guerra italiano, dopo due brevi soste a Londra e a Parigi: una volta a Milano, egli aderisce a al Fascio d’azione interventista. Presta quindi servizio militare, ma poi viene incaricato di ricostituire la UIL, di cui diventa segretario nel 1918. Dopo la guerra, nel 1919 dirige la Camera del Lavoro di Roma, iniziando a simpatizzare per il movimento fascista; nel 1921 Italo Balbo lo chiama a Ferrara per dirigere l’organizzazione sindacale fascista nella zona. Rossoni viene nominato poi nel 1922 segretario della Confederazione dei sindacati fascisti; l’importanza della sua figura crebbe continuamente e diventa così uno degli uomini più importanti del fascismo. È eletto deputato nel 1924 per la XXVII Legislatura del Regno, continuando a operare all’interno del sindacalismo fascista; nonostante ciò, le alte sfere fasciste restano dubbiose nei confronti di Rossoni, a causa delle sue vecchie azioni di ribellismo classista. Escluso così nel 1928 dalla presidenza della Confederazione Nazionale dei Sindacati Fascisti, a Rossoni viene offerto, in cambio, il ruolo di Ministro. Egli è rieletto deputato nel 1929, ma durante l’estate si ritrova al centro di uno scandalo, tanto che solo nell’ottobre del 1930 viene riammesso nel Gran Consiglio fascista e, nel 1932, arriva alla carica di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. In questo periodo Rossoni è il promotore di una decisiva trasformazione del suo paese natio, Tresigallo, che tra il 1933 e 1939 muta radicalmente nella sua urbanistica, nel tentativo di divenire una città ideale, corporativa e fascista, com’era nei piani dello stesso Rossoni: trasformare, all’insegna della modernità, una terra densa di disoccupazione, operandovi, vale a dire, una vera e propria rivoluzione che coinvolgesse la società, l’economia e la cultura del luogo. Alcuni dissensi, in seguito, portano Mussolini a nominarlo, dal 1935 al 1939, quello di Ministro dell’Agricoltura e Foreste. Le sue posizioni si fanno sempre più reazionarie e filo-naziste, tanto che non si astiene dall’approvazione delle leggi razziali nel 1938. Il 25 luglio del 1943 vota, però, a favore dell’ordine del giorno Grandi, per poi rifugiarsi in Vaticano dopo l’8 settembre. Al processo di Verona, il tribunale speciale per la difesa dello Stato della Repubblica Sociale Italiana condanna a morte in contumacia Rossoni, e poi, per soppressione delle pubbliche libertà, dopo la Liberazione riceve la condanna all’ergastolo (28 maggio 1945). Rossoni ripara ancora oltreoceano, in Canada, passando per Dublino, e dopo che la Cassazione annulla la sentenza rientra in Italia: muore a Roma l’8 giugno del 1965.

Fonti: Alessandro Roveri, Rossoni Edmondo, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. IV, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.
Enzo Fimiani, Rossoni, Edmondo, s.v., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXXVIII, 2017.
Stefano Muroni, Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno, introduzione di Giuseppe Parlato, postfazione di Folco Quilici, con un saggio di Antonio Pennacchi, Bologna, Pendragon, 2015.


Trevisani Giuseppe

Massafiscaglia, 31 maggio 1880

Non ottiene titoli di studio perché lavora come bracciante nel paese natio dove, durante gli scioperi di inizio Novecento che vedono Massafiscaglia tra i centri più sensibili alla propaganda socialista, Trevisani ha maniera di mettersi in rilievo come organizzatore, tanto che nel 1907 viene eletto consigliere comunale di Massafiscaglia e nel 1909 entra nella commissione esecutiva della Camera del Lavoro di Ferrara. Elemento considerato pericoloso dalle autorità per la sua attività, nonostante questo nel 1912 Trevisani viene eletto sindaco di Massafiscaglia, dove, nel 1913, si svolge uno dei più grandi e lunghi scioperi di quel tempo: durante la protesta, che però è fallimentare, Trevisani, adoperatosi per la sua riuscita, viene accusato di sabotaggio a danno dei proprietari del luogo, e viene così condannato a cinque mesi e venti giorni di detenzione, oltre a 450 mila lire di multa. Nel novembre del 1915 Trevisani è guardiano provvisorio delle strade per l’amministrazione provinciale, per poi essere richiamato alle armi nel maggio del 1916. Dopo la guerra, egli viene eletto deputato al Parlamento nel collegio di Ferrara-Rovigo, e nel 1920, ancora nella natia Massafiscaglia, entra nel Consiglio comunale. Socialista riformista, collabora con gli altri organizzatori ferraresi come Zirardini, Marangoni e Niccolai, schierandosi al seguito di Serrati contro la scissione comunista prima del congresso di Livorno. In questo periodo, con gli arresti di Zirardini e del sindaco di Ferrara Bogianckino per i fatti del 20 dicembre 1920, Trevisani dirige per breve tempo la Camera del Lavoro ferrarese insieme a Matteotti. Il fascismo, però, sta prendendo piede, ed egli tornò così alla sua professione di assistente stradale, tanto da essere rimosso dalla lista dei sovversivi nel 1934. Muore a Massafiscaglia il 9 gennaio del 1960.

Fonti: Diego Cavallina, Trevisani Giuseppe, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. V, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.


Verdi Alberto

Cento, 17 giugno 1888

Nel 1919 è il capo di nazionalisti di Ferrara, e ottiene il controllo della Gazzetta ferrarese, già voce delle idee dell’alta borghesia ferrarese. Si candida con il Blocco nazionale nelle elezioni del 1919. Nazionalista dal 1914 ed ex combattente (corpo dei bombardieri), è anche membro dell’Associazione Nazionale Combattenti. Diventa consigliere provinciale nel 1920 e viene eletto al Consiglio comunale di Ferrara nel 1922 (in passato era stato consigliere anche a Cento). Tra la fine degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta è anche podestà di Ferrara.


Zirardini Gaetano

Ravenna, 19 febbraio 1857

Nato in una famiglia patrizia, Zirardini studia scultura prima nella natia Ravenna e poi a Firenze, ma la sua attività si concentra nelle fila del nascente movimento socialista italiano. Seguace e amico di Andrea Costa, egli ha infatti un ruolo di rilievo come organizzatore nel partito socialista rivoluzionario di Romagna, di cui è tra i fondatori. Promuove e dirige il giornale Il Sole dell’avvenire, è copresidente con Andrea Costa del II Congresso del Partito socialista rivoluzionario di Romagna nel 1883, conclusosi con l’intervento della polizia, con la quale ha incidenti anche in un comizio faentino poco tempo dopo. Trascorre così più di 3 anni in esilio a Parigi, a causa dei numerosi processi subiti per i suoi interventi di stampo socialista sui giornali (processi per reato di stampa e associazione internazionale). Qui lavora come scultore, decoratore e commesso di viaggi, collaborando anche con testate locali. Rientra in Italia con l’amnistia concessa nel 1888 e diventa assessore comunale e consigliere provinciale. Dopo i fatti della Lunigiana e della Sicilia, Zirardini intensifica la sua attività politica, manifestando solidarietà con le vittime della repressione e organizzando comizi: arrivano le condanne, e viene arrestato nel 1895. Uscito l’anno successivo, vive per qualche tempo a Bologna, dove collabora con il giornale Il Risveglio, viene arrestato e poi si arruola volontario per la Grecia nel 1897, ritornando con il grado di tenente garibaldino, dopo aver combattuto a Domockos e Panaghia. Siamo a fine secolo: Zirardini è costretto a operare in semiclandestinità, per evitare le repressioni della polizia; riesce tuttavia a incontrare altri dirigenti del partito, anche se persistono processi e condanne. Con l’inizio del Novecento, Zirardini può lavorare, invece, con maggior tranquillità: è tra i fondatori della Federterra nel 1901, intervenendo in moltissimi suoi congressi; ideatore e fondatore della Camera del Lavoro di Ravenna, mantiene il ruolo di segretario fino al 1914, quando viene chiamato a dirigere la Camera del Lavoro di Ferrara, a maggio, al tempo molto divisa al suo interno: la sua opera di socialista moderato riesce a far convivere i riformisti, gli intransigenti e i socialisti rivoluzionari, facendolo divenire il vero e proprio portavoce degli operai delle campagne. Mantiene il ruolo alla Camera del Lavoro anche durante la guerra, contro la quale si oppone non solo a parole, ma anche con i fatti, come con l’agitazione e l’occupazione del corpo d’armata a Bologna da lui organizzate. Durante la guerra la sua reputazione cresce ulteriormente, senza mai cessare l’intenso lavoro sindacale. Se l’organizzazione del proletariato viene mantenuta intatta nel Ferrarese, il merito va attribuito a Zirardini e alla sua opera, senza dimenticare il contributo di Alda Costa. Negli anni ferraresi, egli è tra i maggiori dirigenti socialisti a operare nel territorio. Per affrontare il problema del caroviveri, fonda un Ente comunale dei consumi, che si costituisce a fine 1916 come Associazione dei Consumatori; si impegna per istituire enti analoghi anche nella provincia. È l’animatore principale delle grandi vittorie elettorali dei socialisti ottenute a Ferrara tra il 1919 e il 1920, anno in cui, peraltro, il 6 marzo viene approvato il Concordato Unico Provinciale per i lavori della terra, denominato “Patto Zirardini”, che concede benefici ai lavoratori. Diventa segretario della Federazione ferrarese del PSI, e dirige l’organo di stampa del partito, La Bandiera Socialista, fino alla sua trasformazione in Scintilla, avvenuta il 19 luglio 1919, dal momento che è considerato troppo poco rivoluzionario (ne avrebbe ripreso la direzione il 3 gennaio del 1921). Anche se cerca, dopo la fine della guerra, di contenere le spinte più violente all’interno del movimento socialista, alla fine ne viene travolto tra 1919 e 1920. Il 20 dicembre del 1920, inoltre, è accusato di essere tra i responsabili della tragedia che si consuma presso il Castello Estense a Ferrara, e viene arrestato insieme al sindaco Bogianckino mentre si trova in stazione, per recarsi al Congresso di Livorno nel gennaio del 1921. Nonostante questo, alle elezioni generali del 15 maggio 1521 viene candidato a Novara e Ravenna, ed è eletto come deputato alla Camera, per poi essere anche scarcerato una decina di giorni dopo: le accuse per gli eventi del 20 dicembre cadono nel 1922. Protesta più e più volte con Bonomi perché intervenisse per riportare l’ordine nella provincia di Ferrara, ormai dilaniata dalle squadre fasciste, mentre la pubblica sicurezza resta inerte. Ma quando ormai il fascismo impedisce ogni tipo di azione politica, Zirardini si ritira a Milano a vivere dalla sorella, professando la sua attività di scultore; le minacce fasciste gli impediscono di tornare in Romagna. Continua tuttavia a professare e a divulgare l’antica fede socialista, fino alla morte, sopraggiunta a Milano il 19 maggio del 1931.

Fonti: Francesca Cardellini, Gaetano Zirardini una vita per il socialismo, Istituto di Storia Contemporanea del Movimento Operaio e Contadino Ferrara, n. 1, Ferrara, 1976.
Paolo Favilli, Zirardini Gaetano, in Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. V, s.v., Roma, Editori Riuniti, 1978.



Bologna

BIOGRAFIE

Agnoli Mario

Bologna, 22 settembre 1898

Dopo la Prima guerra mondiale, dalla quale torna invalido e decorato al valor militare, aderisce al Fascio nel 1920. Ricoprire ruoli dirigenziali all’interno del partito solamente dopo il 1935, fino a diventare commissario prefettizio dal settembre 1943 al febbraio 1944, quando viene nominato Podest  di Bologna fino alla Liberazione.


Alvisi Augusto

Castel San Pietro, 12 settembre 1893

Dopo l’esperienza della Prima guerra mondiale, dalla quale torna invalido e con il grado di capitano di complemento di artiglieria, si iscrive al Fascio nel 1920. Partecipa a numerose spedizioni squadriste, in particolare durante la dirigenza Baroncini, a Bologna e nei territori limitrofi in particolare a Modena e Rimini. Dopo il 1926 diventa seniore della milizia e partecipa alla guerra in Africa negli anni Trenta.


Arpinati Leandro

Civitella di Romagna, 29 febbraio 1892

Di professione ferroviere, aderisce all’anarchismo fin da giovanissimo. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale approda all’interventismo e si avvicina a Mussolini. Gi  nel 1919 aderisce ai Fasci di combattimento di Bologna e ne diviene segretario l’anno successivo, rinnovando completamente l’orientamento politico della sezione e la composizione degli aderenti.   tra i principali organizzatori delle spedizioni squadriste e protagonista dell’assalto a Palazzo d’Accursio. In breve tempo, nonostante lotte intestine all’interno del fascio bolognese – in particolare con Baroncini, Baccolini e Grandi – riesce ad emergere come uno dei massimi esponenti del fascismo a livello nazionale. Deputato in due legislature (XXVI e XXVIII legislatura), sottosegretario agli interni dal 1929 al 1933, podest  di Bologna dal 1926 al 1929, ricopre cariche di altissimo livello anche all’interno del Partito Nazionale Fascista. Membro del Gran Consiglio (quasi ininterrottamente dal 1924 al 1933) e vicesegretario generale del Pnf (1926-1929). Oltre a ruoli politico istituzionali ricopre anche la carica di presidente della FIGC dal 1926 al 1933, nel 1926 diventa vicepresidente della FISA – Federazione Italiana Sport Atletici, (poi FIDAL-Federazione Italia di Atletica Leggera) e dal 1927 al 1929 ne diventa presidente. L’anno successivo diventa presidente della Federazione Italiana Nuoto e dal 1931 al 1933 ricopre la carica di presidente del CONI. Cade politicamente dopo un duro scontro con Achille Starace; nel 1933 perde tutte le sue cariche e dal 1934 al 1940   rinchiuso al confino. Ritiratosi politicamente non aderir  alla Rsi e il 22 aprile 1945 viene prelevato e fucilato da un gruppo di partigiani a Malacappa, nei pressi di Bologna.


Baccolini Umberto

Tenente dei carabinieri, si iscrisse al Fascio bolognese a seguito della morte del fratello Augusto ucciso a Modena durante degli scontri al termine dei funerali di Mario Ruini. Fedelissimo di Baroncini e in aperto contrasto con Arpinati, diventa in breve tempo Segretario politico del Fascio e membro della Federazione Provinciale Fascista e di quella Sindacale. Poi viene nominato Console della Milizia.


Ballarini Carlo

Budrio, 1873

Membro dell’ala conservatrice del Partito Popolare, consigliere comunale a Castel d’Argile, assessore e Sindaco facente funzioni. Organizzatore di circoli cattolici e promotore della Societ  Ginnastica a Castel d’Argile. Diventa consigliere comunale a Bologna e assessore supplente con deleghe a edilizia e arte. Nel 1913 viene eletto consigliere provinciale nel mandamento di Loiano. Consigliere d’amministrazione della Cassa di Risparmio, del Credito Romagnolo, dell’Istituto Ciechi e dell’Istituto Buon Pastore. Eletto deputato della XXII legislatura nel collegio di Budrio. All’inizio degli anni Venti   editorialista per il giornale cattolico “l’Avvenire d’Italia”, nel quale si distingue per il violento antisocialismo.


Baroncini Gino

Imola, 29 febbraio 1893

Dipendente dell’Agraria bolognese, non partecipa alla Prima guerra mondiale per una deformazione alle gambe. Aderisce ai Fasci di Combattimento nel 1920 e diventa velocemente uno degli esponenti pi  importanti dello squadrismo agrario intransigente. Diventa segretario federale di Bolgon dal 1921 al 1923 e membro del Comitato centrale dei fasci e del Pnf dal 1921 al 1923. Tocca l’apice con la nomina ad alto commissario politico per l’Emilia-Romagna nel 1923 e l’assunzione della direzione de “L’Assalto” dal 1922 al 1924. Il duro scontro che lo vede opporsi ad Arpinati e Dino Grandi vede la sua estromissione da tutte le cariche nel partito. Solo tra il 1940 e il 1943 avrebbe ricoperto il ruolo di segretario del Sindacato nazionale fascisti assicurazioni.


Becocci Mario Carlo

Milano, 22 aprile 1895

Prende parte alla Prima guerra mondiale nel 35esimo Fanteria, riporta due ferite. Torna dopo la guerra e fa il ferroviere; squadrista, muore il 4 novembre 1922.


Bencivenni Teodoro

Anzola Emilia, 5 novembre 1897

Tra i primi iscritti al fascio di Anzola nell’Emilia, squadrista, muore dopo uno scontro a Lavino di Mezzo.


Bentini Genuzio

Forlì, 27 giugno 1874

In un primo momento vicino agli ambienti anarchici, a 19 anni collabora alla rivista imolese “La Propaganda”, di tendenza anarchica. Laureatosi in giurisprudenza a Bologna dopo aver scontato un periodo di reclusione per attività politica, diventa avvocato penalista. A Bologna si avvicina al socialismo e diventa in breve tempo collaborare del settimanale bolognese socialista “La Squilla”. Viene eletto deputato nel 1904 nel collegio di Castel Maggiore e poi nel 1914 è consigliere nella prima lista socialista di maggioranza del Comune di Bologna. Contrario alla guerra mondiale, difende, davanti alla corte d’appello di Roma, Costantino Lazzari e Nicola Bombacci anche loro contrari alla guerra. Nelle elezioni del 1919 ottiene numerosissime preferenze ed è tra i sette deputati eletti sugli otto del collegio bolognese. Con l’esplosione dello squadrismo fascista, viene percosso insieme al ferrarese Adelmo Niccolai fuori dal tribunale di Bologna. Nel 1921 viene nuovamente eletto deputato nelle liste del Psi. Con l’instaurazione del regime si ritira dalla vita politica e si dedica alla professione di avvocato penalista. Muore a Lodi nell’agosto 1943. Nonostante il clima complicato, il funerale ha una notevole imponenza di significato politico antifascista.


Berardi Giovanni Battista

Lugo, 17 aprile 1895

Aderisce al fascio già nel 1920; fedelissimo di Arpinati, partecipa alla Marcia su Roma e ricopre l’incarico di presidente del Consiglio di disciplina del Fascio di Bologna. Viene eletto consigliere comunale nella lista di Puppini nel 1923. Nominato a capo dell’ufficio personale – con il compito di epurare gli elementi non fascisti – nel momento in cui Arpinati diventa Podestà di Bologna. Diventa vice-Podestà quando Antonio Carranti sostituisce Arpinati e a seguito della morte del primo viene nominato Commissario Prefettizio e Podestà di Bologna dal 1930 al 1933.


Bergamo Guido

Montebelluna (Treviso), 26 dicembre 1893

Montebelluna (Treviso), 26 dicembre 1893. Raggiunto a Bologna il fratello Mario, studente di giurisprudenza, fa parte del gruppo degli interventisti democratici. Insieme al fratello e Dante Calabri, Ulisse Lucchesi, Pietro Martinelli, Gino Bondanini, Arconovaldo Bonacorsi e altri fonda il Fascio d’azione rivoluzionaria di Bologna e collabora nella redazione de “La Riscossa” con Maria Rygier, Ulisse Lucchesi e Torquato Nanni. Dopo la guerra, nella quale si arruola volontario negli alpini ottenendo cinque medaglie d’argento, croci al valore e una promozione a capitano per meriti di guerra, fonda il 9 aprile 1919 – insieme al fratello Mario a Pietro Nenni, Dino Zanetti, Adelmo Pedrini e altri – il Fascio di combattimento di Bologna. Eletto deputato nelle fila repubblicane dopo aver abbandonato il Fascio, in opposizione alla linea mussoliniana, e rieletto nel 1924, partecipò alla secessione dell’Aventino, divenendo un importante personalità dell’antifascismo italiano. Bastonato ripetutamente dai fascisti, che gli bruciarono la clinica, fu costretto all’esilio in Egitto dal quale tornò per intercessione di Balbo, suo compagno di trincea.


Bergamo Mario

Montebelluna (Treviso), 8 febbraio 1893

Avvocato di idee repubblicane come il fratello Guido. Segue le evoluzioni politiche del fratello ed è con lui fondatore del Fascio di Combattimento bolognese. Eletto nella commissione stampa ne diventa dirigente quando il fratello Guido lascia Bologna nell’autunno 1919 per trasferirsi a Treviso. Nonostante contrario all’apertura a destra, si allinea in un primo momento alla strategia di Mussolini, presentando poi le proprie dimissioni, insieme a tutto il gruppo repubblicano nel marzo 1920. Inizia ad impegnarsi nel campo antifascista, assumendo la difesa dei contadini che chiedevano l’applicazione del trattato Paglia-Calda. Viene bastonato nel 1922 da una squadra di fascisti guidata da Augusto Regazzi di Molinella. È tra gli ideatori di una sezione bolognese de l’Italia libera.


Biagi Bruno

Lizzano in Belvedere (Bologna), 27 ottobre 1889

Fondatore della sezione bolognese dei Combattenti di Bologna nel 1919. Prende parte alla marcia su Roma nel 1922. Viene eletto consigliere comunale nella lista combattenti nel 1920 a Bologna, come consigliere di minoranza ed è ferito in occasione della sparatoria nella sala di consiglio che portò alla morte di Giulio Giordani. Dal 1924 al 1943 è deputato e dal 1939 rappresenta la Camera dei Fasci e delle corporazioni. È poi sottosegretario al Ministero delle Corporazioni. Nel 1922 assume anche la guida dell’Ente autonomo dei consumi di Bologna e diventa presidente della Federazione Nazionale delle Cooperative di Consumo nel 1924.


Bonacorsi Arconovaldo

Bologna, 21 agosto 1898

Nel 1913 risulta iscritto al Circolo del Partito Repubblicano Italiano, mentre due anni dopo è tra i fondatori e primi membri del Fascio di Azione Rivoluzionaria di Bologna. Volontario nella Prima guerra mondiale si arruola nel 2 Reggimento Alpini nel 1917, nel Battaglione Valle Stura. Tornato dalla guerra aderisce subito ai Fasci di Combattimento nel 1919 ed è tra i membri del Direttivo del Fascio bolognese rifondato nel 1920 ad opera di Arpinati. Proprio con Arpinati uccide a Lodi un socialista nel 1919, mentre faceva da guardia del corpo a Mussolini e per questo sconta un periodo di carcerazione. In questo periodo si distingue per il numero e la violenza delle azioni squadriste nella Pianura Padana e in Romagna, diventando anche Capo Manipolo e Vessillifero della squadra d’azione “Me ne frego”. Per un breve periodo (1921) ricopre il ruolo di Segretario del Fascio bolognese di Combattimento. Nel 1922 partecipa all’occupazione di Ravenna e di Ancona e con le squadre di Balbo sarà a Parma. Prende parte alla Marcia su Roma lasciandosi andare a numerose violenze in particolare nei quartieri operai. Bonacorsi organizza poi una “seconda” Marcia su Roma, composta da un centinaio di squadristi bolognesi, a seguito del ritrovamento del cadavere di Matteotti. Violento anche nella vita privata, fa devastare gli studi di avvocati antifascisti e suoi concorrenti nella professione forense. Caduto in disgrazia politica per la sua vicinanza con Arpinati, viene imprigionato nel 1932 ed espulso dal Pnf. È poi riammesso accettando di lasciare Bologna e nel 1936 va volontario in Spagna sotto falso nome (Conte Rossi) prendendo il controllo delle Baleari e diventando l’anno successivo Ispettore Generale del Comando Truppe Volontarie in Andalusia. Nel 1938 diventa invece Console Generale della MVSN e vice comandante superiore della MVSN e con questi titoli viene mandato in Africa, ad Addis Abeba. Durante il secondo conflitto mondiale opera in Africa e viene fatto prigioniero dagli inglesi.


Bonetti Argentina, in Altobelli

Imola, 2 luglio 1886

Socialista dell’ala riformista, è segretaria nazionale della Federterra dal 1905 al 1926, quando il fascismo scioglie i sindacati. Dal 1922 al 1926 segue l’ala riformista nella creazione del PSUI.


Calabri Dante

Modigliana, 18 dicembre 1883

Repubblicano, tra i fondatori del Fascio d’azione rivoluzionario nel 1914. Volontario nella Prima guerra mondiale, nel dopoguerra diventa un dirigente del Partito Repubblicano. Il 9 aprile 1919 è tra i fondatori del Fascio di combattimento bolognese ma non ne assume nessun incarico e ne esce nel 1920 quando il gruppo repubblicano decide di opporsi alla linea arpinatiana.


Calda Alberto

Piacenza, 6 ottobre 1878

Avvocato e professore universitario abbraccia da giovane le idee socialiste e nel 1909 viene eletto nelle liste socialiste alle elezioni politiche nel collegio di Bologna II. Nel 1910 entra nel consiglio provinciale, nel 1913 è riconfermato deputato e nel 1914 viene eletto consigliere comunale di maggioranza e consigliere provinciale a Bologna. La carriera politica viene interrotta bruscamente per una diatriba legale con “Il Resto del Carlino” e nel luglio 1920 intraprende la vertenza con gli agrari come legale della Federterra. Da lui nasce il cosiddetto accordo “Paglia-Calda”. Inizia a difendere i contadini nei casi di rivendicazione di applicazione dell’accordo e per questa sua attività viene bastonato dai fascisti a Bazzano il 23 settembre 1921.


Caliceti Vittorio

San Giorgio di Piano, 10 luglio 1893

Capitano di fanteria nella Prima guerra mondiale, si arruola nei reparti degli Arditi. Finita la guerra segue D’Annunzio a Fiume e diventa membro della legione di Zara. Nel 1920 si iscrive al Fascio di Combattimento di Bologna e partecipa alla Marcia su Roma nel gruppo di Umberto Baccolini. Riemerge nella politica fascista cittadina solo con l’allontanamento di Arpinati e diventa segretario federale nel 1940.


Cavedoni Celestino

Mestre (Venezia), 1890

Capitano di marina, nella quale si era arruolato in giovane età prendendo parte ai soccorsi dei terremotati di Messina: Nel 1910 è spedito nel mar del Giappone durante i combattimenti nippo-cinesi e l’anno seguente viene mobilitato in occasione della guerra italo-turca. Volontario nella Prima guerra mondiale prende parte alle operazioni in Albania, mentre nel 1917 è coinvolto nella linea difensiva sul Piave. Aderisce poi ai Fasci di combattimento nel 1919 e fonda il fascio di Spilimbergo (Pordenone). Segretario del fascio di Santa Viola a Bologna, promuove anche la nascita del Fascio di Calderara di Reno e diventa uno dei capi delle squadre d’assalto bolognesi. Guida l’assedio a Calderara di Reno nel maggio del 1922 e muore per uno scoppio di una bomba a mano durante l’attacco alla Cooperativa di Malcantone, nel quartiere Barca, tra il 25 e il 26 maggio 1922. La sua morte sarà l’occasione per Arpinati e i fascisti di costituire un comitato segreto e scatenare la violenza politica. Il Prefetto Mori, che sostenne la tesi di un incidente e non l’uccisione per mano socialista come invece dichiarato dai fascisti, divenne da quel momento uno dei principali bersagli delle squadre di Arpinati.


Cesari Ernesto

Calderara di Reno, 24 dicembre 1894

Mitragliere, ferito sul Carso. Iscritto al Fascio di Combattimento di Trebbo, squadrista. Partecipa nel 1921 all’azione su Ravenna. Muore dopo uno scontro a fuoco con dei socialisti nel dicembre 1921.


Cocchi Armando

Budrio, 25 maggio 1890

Tornato ferito dalla Grande guerra diventa segretario della Lega proletaria fra mutilati ed invalidi di guerra e per un breve periodo anche segretario dell’Unione Socialista Bolognese. È uno dei massimi esponenti dell’ala massimalista del socialismo bolognese e nelle elezioni amministrative del 1919 viene eletto sia in consiglio comunale a Bologna che nel consiglio provinciale. A lui i socialisti affidano il compito di organizzare squadre di difesa armate contro i fascisti. Recatosi a Imola arruola 96 elementi che facevano parte della frazione comunista e chiama il gruppo “guardie rosse”. Presente sia in occasione dell’assalto alla Camera del Lavoro del novembre 1920 – a seguito del quale fu arrestato insieme alle guardie rosse – sia durante gli scontri di Palazzo d’Accursio – quando insieme a Vittorio Martelli e Corrado Pini coordina le guardie rosse asserragliate all’interno del cortile del palazzo – per i quali è condannato all’ergastolo in contumacia per la morte di Giulio Giordani nel 1923. Già espatriato nel 1921 non rientra più in Italia. Si reca infatti in Unione Sovietica diventando nel 1943 istruttore politico nei campi di prigionia dei militari italiani dell’ARMIR e dello CSIR e muore improvvisamente nel 1946 mentre sta per rientrare in Italia.


Colliva Cesare

Castel Bolognese (Ravenna), 11 aprile 1888

Dopo aver iniziato la carriera forense si arruola volontario per la Prima guerra mondiale, diventando capitano di fanteria e ottenendo la medaglia d’argento al valor militare. Candidato ed eletto alle elezioni comunali per la lista “Pace, libertà, lavoro” nel 1920. Ferito in occasione dell’uccisione di Giulio Giordani durante l’assalto a Palazzo d’Accursio, si iscrive al Fascio di combattimento di Bologna. Inizia quindi una carriera che lo vede membro del Consiglio amministrativo della Congregazione di Carità di Bologna nel 1923. Presidente del Monte di Pietà di Bologna nel 1933. Nel partito diventa segretario federale bolognese dal 1934 al 1936 e tra il 1935 e il 1936 dirige “L’Assalto”. Dal giugno 1936 al settembre 1939, invece è Podestà di Bologna.


Comastri Pietro

Marzabotto, 4 maggio 1890

Anarchico, segretario della Vecchia CdL nel marzo 1920 e dirigente regionale dell’USI. Nel 1920 fu eletto membro della commissione di corrispondenza dell’Unione Anarchica Italiana e l’anno seguente si rifugia nella Repubblica di San Marino temendo di essere arrestato a seguito dell’uccisione di una guardia regia. Una volta tornato a Bologna, subisce una bastonatura ad opera dei fascisti a Casalecchio di Reno il 15 giugno 1921 e un’altra l’8 settembre 1922 in via Indipendenza a Bologna. Sconta poi un periodo di reclusione al confino e con la Liberazione diventa sindaco di Nettuno, in quota comunista, su nomina di Cln e Amg.


Fabbri Luigi

Fabriano (Ancona), 23 dicembre 1877

Importantissimo dirigente del movimento anarchico, dopo aver scontato un periodo di espatrio per aver partecipato alla settimana rossa, si trasferisce a Corticella e insegna durante gli anni della Grande guerra. Scrisse numerosi articoli contro la guerra, venendo anche arrestato e proposto per l’internamento. Nel dopoguerra diventa uno dei principali collaboratori di “Umanità nova” e pubblica i due volumi Dittatura e rivoluzione, dove preconizza l’involuzione totalitaria della Rivoluzione russa, e La controrivoluzione preventiva, un saggio di condanna del fascismo. Per la sua attività anarchica è più volte aggredito dai fascisti che lo obbligano ad andarsene da Corticella. Nel 1926 viene licenziato essendosi rifiutato di giurare al regime fascista. Espatria clandestinamente in Svizzera da dove si reca prima in Francia, poi in Belgio, Argentina e Uruguay dove il fascismo riesce a farlo cacciare dalla Scuola italiana di Montevideo, città in cui muore nel 1935.


Federzoni Luigi

Bologna, 27 settembre 1878

Nazionalista, interventista nel 1914 parte volontario come tenente di artiglieria. Rieletto deputato nel 1919 in quota liberale  e nel 1921 nella lista nazionalista, è Vicepresidente della Camera dal marzo all’ottobre 1922. In occasione della Marcia su Roma fa da mediatore tra Mussolini e Vittorio Emanuele III. Nel 1923 entra poi nel gruppo fascista e assume vari incarichi istituzionali tra cui Ministro delle Colonie dal 1922 al 1924 e al 1926 al 1928, Ministro degli Interni dal 1924 al 1926, e Presidente del Senato dal 1929 al 1939. è poi tra i firmatari dell’Ordine del Giorno Grandi del 1943.


Fernè Enzo

Alfonsine (Ravenna), 18 dicembre 1890

Partecipa alla Prima guerra mondiale come maggiore dell’esercito nel Genio Militare ed è decorato con la croce di guerra. Industriale già prima dello scoppio del conflitto, aderisce subito al Fascio di Combattimento di Bologna come squadrista e poi membro del Direttorio, partecipando alla Marcia su Roma. Diventa in un secondo momento un dirigente importante del Sindacato fascista degli industriali meccanici e metallurgici, consigliere delegato e direttore tecnico della società Bonariva, amministratore unico della Società immobiliare e presidente dell’azienda comunale del gas e presidente della Società bolognese di scherma. Dal 1939 al 1943 ricopre il ruolo di Podestà di Bologna.


Ghinelli Mario

Rimini, 15 dicembre 1903

Cameriere al ristorante della stazione ferroviaria di Bologna. Si iscrive ai Fasci di Combattimento già nel 1919, di cui diventa tesoriere e responsabile dei gruppi rionali bolognesi come ispettore generale. Fedelissimo di Arpinati, diventa direttore del “Resto del Carlino” per un breve periodo tra il 1928 e il 1930. È segretario federale del fascio bolognese dal 1931 al 1933 quando, con la caduta di Arpinati, è costretto alle dimissioni da Starace. Assieme alla carica di segretario federale, si dimette da una serie di ruoli accumulati nel corso degli anni che sono: segretario del Fascio cittadini, presidente delegato della Casa del Fascio, vicepresidente di “Bologna Sportiva”, comandante provinciale dei Fasci giovanili di combattimento, consigliere di amministrazione dell’Istituto Autonomo Case Popolari, consigliere della mutualità scolastica provinciale, azionista di maggioranza della “Società per esposizioni e concorsi al Littoriale”, presidente del consiglio di amministrazione della Poligrafici Riuniti. Espulso dal Pnf nel 1934 si arruola volontario in Spagna con Francisco Franco e viene riammesso nel partito nel 1939. Non aderisce alla Rsi.


Giordani Giulio

Bologna, 31 marzo 1878

Aderente in un primo momento all’area democratico radicale, è favorevole all’intervento dell’Italia e assistette al comizio di Cesare Battisti a Bologna. Richiamato come Sottotenente del 6° reggimento bersaglieri e poi promosso tenente, viene ferito sul fronte isontino, durante un’azione per la quale riceve la medaglia d’argento ma perde una gamba. Tornato a Bologna è promotore del Comitato d’Azione dei Mutilati di guerra. Alle elezioni politiche del 1919 si candida nelle liste dei Combattenti non risultando eletto, mentre l’anno successivo fu eletto consigliere comunale di minoranza nella lista “Pace, libertà, lavoro”. Il giorno dell’insediamento, 21 novembre 1920, rimane ucciso in occasione della sparatoria che si scatena all’interno della sala del Consiglio comunale. I fascisti si appropriano velocemente della figura di Giordani, che assurge a primo martire fascista. I funerali sono imponenti, trasformandosi di fatto in una grande manifestazione antisocialista.


Gnudi Enio

San Giorgio di Piano, 18 gennaio 1893

Membro del comitato centrale del Sindacato Ferrovieri. Militante del Psi, nel 1920 aderisce alla frazione comunista. Candidato nello stesso anno nelle liste socialiste, viene nominato sindaco il 21 novembre 1920. A causa dell’assalto fascista a Palazzo d’Accursio e del conseguente eccidio che ne scaturisce, la sua elezione viene annullata. Nel 1921 prende parte al congresso costitutivo del Partito comunista a Livorno e poi è eletto deputato nelle fila comuniste nella circoscrizione di Novara. Inizia a svolgere attività clandestina tra Italia, Francia e Unione Sovietica e propagandistica anche in America. Nel novembre 1945 rientra a Bologna.


Grandi Dino

Mordano, 4 giugno 1895

In un primo momento vicino alla Lega Democratica Nazionale, si accosta progressivamente alla figura di Mussolini condividendone l’interventismo. Volontario nella Prima guerra mondiale, nel dopoguerra si iscrive al Fascio di combattimenti di Bologna dopo il 20 settembre 1920, assumendo velocemente ruoli di primo piano. Direttore de “L’Assalto” viene poi eletto nel direttorio cittadino. Viene eletto nel 1921 nelle liste dei Blocchi Nazionali ma l’elezione è annullata perché non aveva l’età legale. Intanto fa parte dal 1921 al 1923 della direzione nazionale del PNF. Vicino alle posizioni del sindacalismo, che lo portano ad opporsi prima al patto di pacificazione poi alla trasformazione del movimento in partito, alla vigilia della Marcia su Roma diventa un importante esponente dell’ala moderata e legalitaria. Viene rieletto deputato nel 1924 nella XXVII Legislatura nella Lista Nazionale, è vice presidente della Camera dal 25 maggio al 3 luglio 1924 e per un breve periodo anche reggente del Fascio di Ferrara. È poi deputato e consigliere nazionale fino al luglio 1943. è membro del Gran Consiglio del Fascismo dal gennaio 1923 al luglio 1943. Il 3 luglio 1924 viene nominato sottosegretario agli Interni, fino al 14 maggio 1925, quando passa agli Affari Esteri come sottosegretario fino al 1929, poi come ministro (fino al 1932) e poi come ambasciatore a Londra (fino al 1939). Viene nominato delegato italiano al Consiglio e all’Assemblea, della Società delle Nazioni. Finita l’esperienza inglese viene nominato ministro di Grazia e Giustizia e Presidente della Camera dei Fasci e delle corporazioni. È il principale organizzatore dell’Ordine del Giorno che il 25 luglio 1943 avrebbe messo in minoranza Mussolini nel Gran Consiglio.


Graziadei Antonio

Imola, 5 gennaio 1873

A fine secolo abbraccia il socialismo fondando con Anselmo Marabini un circolo socialista. Collabora al periodo “Critica Sociale” e ad alcuni giornali socialisti imolesi. Studia e insegna tra Torino, Milano, Cagliari e Parma e si accosta alla linea riformista del PSI. Subentra poi ad Andrea Costa nel collegio elettorale di Imola dopo la morte di quest’ultimo, risultando costantemente rieletto fino al 1924, quando si presenta nelle liste comuniste. Si schiera contro la guerra libica e la Grande guerra. Da qui inizia ad accostarsi all’ala sinistra del PSI e insieme a Marabini è il redattore della frazione Marabini-Graziadei che si propone il ruolo di pontiere tra la corrente di Giacinto Menotti Serrati e quella comunista alla quale aderisce con la scissione di Livorno.


Grossi Leonello

Finale Emilia (Modena), 4 gennaio 1880

Farmacista, importante dirigente socialista. Eletto nel consiglio provinciale di Bologna nel 1904 e nel consiglio comunale bolognese nel 1905. Fino al 1920 è consigliere provinciale a Bologna, dove dal 1914 al 1920 è vice presidente. Eletto nelle elezioni comunali del 1914 è nella giunta Zanardi entrando anche nella redazione de “La Squilla”. Richiamato durante la Prima guerra mondiale viene congedato col grado di tenente farmacista. È per qualche tempo presidente della Congregazione di carità. Nel 1919 viene eletto deputato nel Psi nel collegio di Bologna e nel 1920 in consiglio comunale. È presente all’assalto a Palazzo d’Accursio e alla sparatoria nella sala di consiglio. Insieme a Francesco Zanardi subisce una dura condanna da parte dell’Ordine dei farmacisti. Nel 1921 viene prelevato da alcuni fascisti che lo portano nella sede del Fascio. Qui viene bastonato da Arpinati. 20 giorni dopo, all’esterno della farmacia cooperativa di cui era direttore, viene aggredito da un gruppo di Sempre Pronti per la Patria e per il Re che gli ordinano di lasciare Bologna. Non riesce ad essere eletto nel 1921 mentre nel 1924 subentra come primo dei non eletti al posto di Arturo Piccinini di Reggio Emilia, ucciso dai fascisti. Decaduto nel 1926 sconta un anno di confino a Lipari e muore nel 1934.


Jacchia Mario

Bologna, 21 gennaio 1896

Interventista, è tra gli organizzatori del Comitato irredenti per assistere i profughi da Trento e Trieste. Con l’ingresso dell’Italia in guerra si unisce volontario al 6° Reggimento Alpini. Nel dopoguerra fa parte dei primi gruppi dei Sempre Pronti per la Patria e per il Re. Viene fermato dalla polizia il 15 giugno 1919 perché considerato tra i responsabili che sparano colpi di rivoltella contro la sede della Camera Confederale del Lavoro. Nel 1920 si iscrive al Fascio di combattimento di Arpinati ma da le dimissioni dopo l’ennesima bastonatura subita il 28 giugno 1924 dal fratello Luigi, da tempo antifascista. Dopo l’assalto alla sede della massoneria di Bologna e l’aggressione subita dal padre, passa all’antifascismo.


Lodini Angiolino

San Giovanni in Persiceto, 22 novembre 1897

Figlio del proprietario terriero Giovanni Lodini. Volontario della Prima guerra mondiale come ufficiale di fanteria, viene congedato col grado di tenente. Diventa il primo segretario del fascio di combattimento di San Giovanni in Persiceto nel 1921 e costituisce nello stesso anno il Sindacato fascista braccianti del proprio Comune. Nel gennaio 1923 è assessore a San Giovanni in Persiceto e la sorella, Lina Lodini, è tra le fondatrici del Fascio femminile di Persiceto di cui farà parte del Direttorio nel 1928. Oppositore dell’ala intransigente, diventa poi segretario del fascio di Castel Guelfo nel 1934-35, di Loiano nel 1935-36 e di Imola nel 194-42. È poi ispettore federale a Bologna fra il 1941 e il 1943, ricoprendo anche la carica di Segretario federale di Bologna dal giugno al luglio 1943 e di consigliere nazionale nel Pnf nello stesso periodo.


Lucchesi Ulisse

Firenze, 15 marzo 1886

Repubblicano, è tra i fondatori nel dicembre 1914 del Fascio democratico di resistenza ed entra nel “Giornale del Mattino”, quotidiano della massoneria. Nel 1915 parte volontario per il fronte e nel dopoguerra entra nella redazione de “Il Resto del Carlino”. Insieme al gruppo dell’interventismo democratico di Nenni, Bergamo e Pedrini è tra i fondatori del Fascio di Combattimento di Bologna, uscendone quando la linea di Arpinati risulta egemone. Da quel momento si impegna nel campo antifascista.


Manaresi Angelo

Bologna, 9 luglio 1890

Volontario nella Prima guerra mondiale tra gli alpini, decorato con due medaglie di bronzo al valor militare e una croce di guerra. Avvocato, si candida e viene eletto Consigliere comunale di minoranza nella lista “Pace, libertà, lavoro” nel 1920, poi eletto deputato nel 1922 nella lista degli ex-combattenti. Aderisce al PNF e nel 1926 è nominato presidente dell’Opera Nazionale combattenti, carica che detiene fino al 1929. Nel 1928 è nominato Commissario Straordinario dell’Associazione nazionale alpini, divenendone presidente l’anno successivo. Sempre nel 1929 ricopre la carica di sottosegretario alla guerra fino al 1933, quando viene nominato podestà di Bologna (1933-1935). Sempre nel 1933 diventa presidente del Club Alpino Italiano. Nel 1939 diventa consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni e dopo l’ingresso dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale si arruola come tenente colonnello nell’ufficio stampa dello Stato Maggiore dell’esercito. Dopo l’8 settembre appoggia Badoglio.


Marabini Andrea

Imola, 14 novembre 1882

Perito agrario, si iscrive a 16 anni al Movimento giovanile socialista. Dopo la guerra fa parte del Comitato “Risveglio cittadino”, e collabora ai periodici “La Scolta” e La Lotta”, e dirige nel 1920 lo spaccio cooperativo municipale di Imola. Nell’autunno 1920 aderisce poi alla frazione comunista del Psi partecipando all’organizzazione del Convegno nazionale in qualità di tesoriere. È poi fiduciario del PCdI per l’Emilia Romagna e segretario provvisorio della federazione di Bologna fino al 20 marzo 1921 quando si riunisce il primo Congresso provinciale dei comunisti. Dopo un periodo di rifugio nella Repubblica di San Marino lavora a Roma per circa tre mesi presso la missione commerciale russa dei Soviet. È per un anno segretario della federazione comunista di Ravenna; durante questo periodo si scontra ripetutamente coi fascisti che pongono una taglia sulla sua testa. Nel 1923 si rifugia a Genova a causa delle persecuzioni fasciste e dalla Liguria espatria poi in Francia, dalla quale organizza e dirige il gruppo antifascista imolese. Nel 1927 raggiunge il Belgio, essendo stato espulso dalla Francia, e a Bruxelles partecipa al Convegno dei delegati della Lega antifascista italiana. Espulso anche dal Belgio nel 1928 ripara in Unione Sovietica, dove già risiede il padre. Qui collabora a varie organizzazioni, interessandosi in particolare alla divulgazione delle condizioni dei contadini italiani nel regime fascista. L’impegno nella Seconda guerra mondiale gli vale il conferimento della “Stella rossa” da parte del governo sovietico. Rientra a Imola solamente nel novembre 1945, dopo 18 anni di esilio.


Marabini Anselmo

Imola, 16 ottobre 1865

Perito agrario, aderisce in un primo momento alle istanze repubblicane per poi prendere parte al circolo imolese “I figli del lavoro” di Andrea Costa nel 1887, circolo di cui diventa segretario. Diventa seguace di Andrea Costa, aderendo al socialismo e prendendo parte dall’organizzazione del III Congresso del Partito socialista rivoluzionario italiano. Nel 1900 è tra i fondatori della Camera del Lavoro di Imola e fino al 1915 ne è membro come componente della commissione esecutiva. Segretario della lega degli impiegati delle Opere Pie è anche presidente della commissione amministrativa del Ricovero di mendicità di Imola. È poi membro del direttivo della sezione socialista imolese e della federazione socialista collegiale. Dal 1905 al 1913 viene nominato membro del Comitato nazionale della Federazione dei lavoratori ceramisti e direttore del periodico “Il Ceramista”. Nel 1906 entra nella direzione nazionale del Psi, aderendo alla frazione rivoluzionaria del partito. Nel 1911 viene nominato segretario della sezione socialista di Imola e l’anno seguente entra nel Comitato esecutivo della federazione provinciale socialista di Bologna. In occasione della vittoria socialista a Castel San Pietro Terme, è eletto consigliere comunale nel 1915. Dopo la guerra viene eletto deputato nella provincia di Bologna e l’anno seguente consigliere provinciale di Bologna, anche se il consiglio viene poi sciolto nell’aprile 1921 a causa della violenza squadrista. Nel 1920 insieme ad Antonio Graziadei promuove la cosiddetta “Circolare Marabini-Graziadei” per portare la maggioranza dei socialisti alla tesi comunista. È poi tra i fondatori del PCdI, presiedendo il gruppo parlamentare comunista. Nel 1921 viene eletto deputato nelle file comuniste nel collegio dell’Emilia. Nel 1922 scampa a un tentato omicidio da parte dei fascisti. Nel 1923 partecipa alla costituzione della sezione italiana del Soccorso Rosso Internazionale, divenendone segretario. Dopo un periodo in Austria e in Francia raggiunge l’Unione Sovietica da dove conduce una lunga campagna internazionale contro il fascismo. Torna a Imola nel novembre 1945 e muore qualche anno dopo.


Martelli Vittorio

Castrocaro-Terra del Sole (Forlì), 6 aprile 1886

Maestro a Molinella, diventa uno dei più importanti dirigenti del socialismo molinellese e poi bolognese aderendo e organizzando la frazione comunista all’interno dell’ala massimalista. Insieme a Corrado Pini e Armando Cocchi è tra gli organizzatori delle Guardie Rosse che partecipano agli scontri di Palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920. Rifugiatosi a San Marino, aderisce poi al Partito Comunista ed espatria in una località sconosciuta. Condannato all’ergastolo per gli scontri di Palazzo d’Accursio, è ricercato fino al 1942 in tutta Europa, senza risultati. Nel 1954 il tribunale di Bologna emette una sentenza di presunta morte, che secondo alcune fonti sarebbe potuta avvenire già nell’agosto 1921 a seguito di un incidente ferroviario in Germania.


Massarenti Giuseppe

Molinella, 8 aprile 1867

Socialista, tra i massimi esponenti della linea riformista. Nel novembre 1906 diventa sindaco di Molinella e nel 1908 consigliere di minoranza dell’Amministrazione provinciale di Bologna. Nel 1910 diventa presidente della Cooperativa agricola di Molinella. Dopo l’eccidio di Guarda è costretto, insieme ai suoi consiglieri, a riparare a San Marino. Dopo la guerra si svolge nei suoi confronti un processo relativamente ai fatti di Guarda (un conflitto scoppiato tra contadini che scioperavano e un gruppo di crumiri presso la stazione di Guarda, che portò alla morta di cinque persone e sette feriti). Le accuse cadono e Massarenti può tornare a Molinella dove è nuovamente eletto sindaco nel 1920. Dopo essere sfuggito a un tentativo di omicidio da parte dei fascisti nel 1921, fino al 1926 vive rifugiandosi a Roma. Sconta circa 5 anni di confino. Rimane poi rinchiuso in un manicomio per circa sette anni, fino al 19 dicembre 1944, sei mesi dopo la liberazione di Roma.


Milani Fulvio

Modena, 23 novembre 1885

Vicino alle istanze del cattolicesimo democratico e sociale, organizza le Casse rurali ed artigiane e le Fratellanze coloniche. Nel 1914 fu eletto consigliere provinciale per la circoscrizione di Porretta. Nel 1919, a conclusione della guerra, è tra i fondatori del Partito Popolare a Bologna e viene eletto nel consiglio nazionale e nella direzione centrale del partito. Nello stesso anno viene eletto deputato nelle fila cattoliche, militando nell’ala dell’intransigenza programmatica del Partito. Rieletto deputato nel 1921 è favorevole prima al governo Giolitti e poi alla formazione del primo governo Mussolini, nel quale assume la carica di sottosegretario alla Giustizia fino al 1923. Credendo di poter normalizzare la violenza e salvaguardare gli istituti parlamentari non si oppone al fascismo fino al 1924, quando a seguito del delitto Matteotti è tra gli Aventiniani. Ritiratosi a vita privata è poi tra i promotori del Fronte per la pace e la libertà, comitato interpartitico per la lotta di liberazione in Italia nel giugno 1943. è uno dei massimi esponenti dell’antifascismo cattolico bolognese. Muore il 23 marzo 1945.


Missiroli Mario

Bologna, 1886

Dal 1918 al 1921 è direttore de “Il Resto del Carlino”. La sua direzione si distingue per un aperto antisocialismo ma anche una distanza nei confronti delle azioni fasciste. Questo atteggiamento gli vale l’ostilità degli squadristi bolognesi che lo definiscono “Ruffiano di Cagoia”, in riferimento alla definizione che prima i fiumani e poi i fascisti diedero di Nitti. Chiesto ed ottenuto il suo allontanamento a favore di Nello Quilici, già aderente al fascismo e fedelissimo di Italo Balbo a Ferrara, Missiroli passa poi al “Secolo” di Milano. Sostiene le posizioni degli Aventiniani dopo l’uccisione di Matteotti accusando Mussolini di correità.


Monzoni Piero

Zocca (Modena), 12 ottobre 1896

Tenente dei bersaglieri, ferito in azione durante la Prima guerra mondiale. Si iscrive al Fascio bolognese nel 1920 e ne diventa segretario tra il 1921 e il 1922, partecipando alla Marcia su Roma. Tra il 1923 e il 1925 è consigliere comunale a Modena e commissario dei Fasci di Medicina e Loiano. Nel giugno 1933 viene nominato segretario della commissione di disciplina nel Pnf bolognese, poi diventa vicesegretario del Partito nel 1940 quando, con la morte di Caliceti, è nominato segretario federale, carica che mantiene fino al giugno 1943. Da quella data fino all’ottobre 1943 è prefetto di Catanzaro.


Nannini Giancarlo

Finale Emilia, 3 dicembre 1899

Soldato di artiglieria nella Prima guerra mondiale e poi sottotenente. Ferito nell’agosto 1918, ottiene la medaglia di bronzo al valor militare. Iscritto il 6 ottobre 1920 al Fascio Bolognese come studente di Giurisprudenza. Membro del direttorio da giugno 1921 e volontario fiumano dove è vice-comandante del presidio di Porto Sauro. Vice segretario del Fascio bolognese e nominato da Arpinati Console della Coorte. Collaboratore di “Fiamma Nera” degli Arditi. Muore il 29 ottobre 1922 a San Ruffillo a Bologna durante uno scontro a fuoco con i carabinieri.


Nenni Pietro

Faenza, 9 febbraio 1891

Interventista democratico nel campo repubblicano, si arruola volontario il 27 maggio 1915 come soldato semplice e poi come caporale. Nella campagna interventista si avvicina a Mussolini. Nel 1917 assunse la direzione del “Giornale del Mattino” di Bologna fino alla chiusura del giornale nell’agosto 1919. Insieme al gruppo repubblicano diede vita al Fascio di Combattimento di Bologna nel 1919 dal quale esce definitivamente nel marzo 1920 in opposizione alla linea di destra assunta da Arpinati e Mussolini. Da quel momento si impegnerà nell’antifascismo fino all’adesione al Partito Socialista e alla direzione dell’Avanti!


Oviglio Aldo

Rimini, 7 dicembre 1873

Candidato ed eletto Consigliere comunale di minoranza nelle elezioni comunali del 1920 nella lista “Pace, lavoro, libertà” in quota nazionalista, diventa poi consigliere provinciale e presidente del consiglio provinciale bolognese. Viene eletto deputato nelle file del Pnf nella XXVI e XXVII legislatura e ministro della Giustizia dal 1922 al 1925. è poi senatore dal 1929 al 1942.


Pagliani Franz

5 settembre 1904, Concordia sulla Secchia (Modena)

Si iscrive al Fascio di Combattimento di Bologna il 1 marzo 1920 e partecipa alla Marcia su Roma. Mentre intraprende gli studi e la carriera universitaria a Medicina, nel 1929 viene nominato presidente del Comitato provinciale bolognese dell’Opera nazionale balilla, nel 1933 è a capo della segreteria federale amministrativa e dal 1926 al 1931 assume la guida della sezione del Guf “Giacomo Venezian”. Salvatosi dall’epurazione dei fedeli di Arpinati è nominato deputato per la XXIX legislatura e riconfermato per la XXX. Tenente medico di complemento durante la guerra di Etiopia, torna dall’Africa con il grado di capitano. Dal 1938 al 1943 è commissario straordinario dei sindacati fascisti a Modena, mentre nel 1939 è consigliere della Corporazione delle professioni e delle arti. Aderisce alla Rsi e diventa Delegato Regionale per l’Emilia del Pfr, membro del Direttorio nazionale e del Collegio giudicante del Tribunale speciale di Verona. È poi Ispettore regionale delle brigate nere e comandante della III brigata nera mobile “Attilio Pappalardo”.


Paoletti Oscar

Bologna, 22 gennaio 1895

Interventista, è soldato bombardiere poi accorpato all’8 battaglione Arditi, dove viene promosso sergente per merito di guerra. Segue D’Annunzio a Ronchi e partecipa al Natale di Sangue. Gli viene conferita la Stella di Fiume. Subito iscritto ai Fasci di Combattimento di Bologna muore insieme a Giancarlo Nannini a San Ruffillo il 29 ottobre 1922 durante uno scontro a fuoco con i carabinieri.


Pappalardo Attilio

1897

Tenente, nel gruppo dei Sempre Pronti per la Patria e per il Re fermato insieme al fratello Mario Pappalardo e a Mario Jacchia, per la sparatoria contro la CCdL del giugno 1919. Protagonista, insieme a Dino Zanetti, dell’assalto alla Camera del Lavoro di Bologna del 4 novembre 1920. Capitano della GNR durante la Rsi, viene ucciso a Ponte Ronca (Zola Predosa) da un gruppo di partigiani nel 1944. A seguito della sua morte la Brigata Nera di Bologna prende il suo nome.


Pedrini Adelmo

Minerbio, 11 agosto 1888

Da anarchico passa al campo interventista nel 1914 e parte volontario. Nel 1918 da vita con Ettore Cuzzani all’UIL, organizzazione sindacale degli anarchici e anarcosindacalisti interventisti. È poi tra i promotori dell’Unione Nazionale del Lavoro (UNL), organizzazione interventista che doveva contrapporsi a CGdL e USI. Anche lui presente il 9 aprile 1919 alla costituzione del Fascio di Combattimento di Bologna ed eletto nella giunta provinciale e nella commissione stampa. Esce con il gruppo degli interventisti democratici nel 1920, fondando poi sempre con Cuzzani “La Rivoluzione”. Poi va a Fiume nel 1921 e viene eletto nel Comitato Centrale dell’Associazione dei legionari fiumani. Tra 1921 e 1923 matura la militanza in campo antifascista e per questa sua decisione fu costretto ad espatriare in Francia.


Pedrini Garibaldo

Dirigente della “Lega Popolare Antibolscevica”, reggente della Lega stessa nel momento in cui Zanetti era impegnato a Fiume, nominato nell’estate 1919 fiduciario del Fascio di Combattimento di Bologna dal segretario Giulio Dal Sillaro.


Pini Corrado

Bologna, 3 febbraio 1875

Insegnante, è tra i massimi esponenti bolognesi della corrente che faceva capo ad Amadeo Bordiga. Aderisce poi all’ala massimalista dell’USB e con Armando Cocchi e Vittorio Martelli viene incaricato di organizzare le Guardie Rosse imolesi in occasione dell’insediamento di Enio Gnudi il 21 novembre 1921. Arrestato perché considerato responsabile degli scontri e della morte di Giulio Giordani, viene però assolto nel 1923 dalla Corte d’Assise di Milano. Rimesso in libertà è ripetutamente arrestato in via preventiva ogniqualvolta a Bologna vi fossero in visita personalità importanti. Il controllo della polizia nei suoi confronti dura fino almeno all’aprile del 1942.


Pini Giorgio

Bologna, 1 febbraio 1899

Volontario nella Prima guerra mondiale, studente-combattente e membro del Fascio nel novembre 1920. Giornalista de “L’Assalto”, di cui ne diviene direttore nel 1924. Nel 1928 diventa poi direttore de “Il Resto del Carlino”, ma scontrandosi con l’ala vicina ad Arpinati si trasferisce a Genova dove dirige il “Giornale di Genova” fino al 1936; dopodiché dirigerà il “Gazzettino di Venezia” e il “Popolo d’Italia”. Arruolatosi allo scoppio del secondo conflitto mondiale combatte in Africa e poi torna in Italia dirigendo nuovamente il “Popolo d’Italia” fino al 1943. Aderisce alla Rsi e diventa nuovamente direttore de “Il Resto del Carlino” ottenendo anche la nomina a sottosegretario al Ministero degli Interni della Rsi.


Puppini Umberto

Bologna, 16 agosto 1884

Già libero docente presso la cattedra di idraulica, durante la Prima guerra mondiale è tenente di artiglieria e viene congedato col grado di maggiore. Nel 1923 diventa sindaco di Bologna e si iscrive al Fascio il 2 novembre 1923. Dopo essere stato destituito nel 1926, tre anni dopo (1929) è eletto deputato alla Camera della XXVIII Legislatura, nel 1931-32 è membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici e nel luglio 1932 sottosegretario alle finanze. Presidente dell’Agip dal 1935 al 1939.


Regazzi Augusto

Molinella

Squadrista intransigente, delegato del Fascio di Bologna, e leader del sindacalismo fascista locale, è il protagonista dello squadrismo agrario dell’area di Molinella e comuni limitrofi. Membro del Direttorio fascista di Bologna.


Sarti Mario

Proveniente dalle fila dell’anarcosindacalismo ricopre la carica di segretario del fascio bolognese al posto di Garibaldo Pedrini.


Serrazanetti Marcello

Sant’Agata Bolognese, 31 ottobre 1888

Interventista, si arruola come volontario nel 12 Cavalleggeri di Saluzzo ed è decorato prima con la Medaglia d’Argento al Valor Militare e poi con la Croce al Merito di Guerra. Tra i fondatori del primo e del secondo Fascio di Combattimento di Bologna. Squadrista, partecipa alla Marcia su Roma, poi diventa sindaco di Sant’Agata Bolognese alle elezioni del 1923, dopo lo scioglimento della giunta socialista a seguito di ripetute violenze nel 1921. è vicesegretario federale di Bologna dal 1925 al 1928. Nel 1928 si trasferisce in Africa e diventa ispettore agrario in Somalia, segretario federale di Mogadiscio e poi nel 1929 Segretario Generale del PNF in Somalia. Nel 1930 è anche nominato Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia.


Tumedei Cesare

Montalto Marche (Ascoli Piceno), 11 luglio 1894

Arruolato volontario con l’ingresso dell’Italia in guerra, influenzato da Giacomo Venezian e Silvio Perozzi (suo professore di diritto romano all’Università di Bologna). Nel 1912 Tumedei si era avvicinato al Partito nazionalista guidato in quel periodo proprio da Venezian e Perozzi. Nel 1919 a seguito della morte del fratello Pompeo, parte per Fiume ed è tra i fondatori dell’Associazione combattenti di Bologna e della Lega antibolscevica dopo la rottura dei nazionalisti con il fascio bolognese. Editorialista, sotto lo pseudonimo di Caesar, de “La Battaglia” e collaboratore de “Il Secolo” e del “Giornale d’Italia”. Eletto deputato nelle file nazionaliste e nella Lista nazionale dopo la fusione dell’ANI con il Fascio, decisione alla quale si era opposto, iniziano gli attriti con l’ala estremista del Partito fascista. Tumedei è considerato un normalizzatore. Nel 1929 viene nominato presidente della giunta del Bilancio e nel 1931 diventa vicepresidente nell’Istituto mobiliare italiano. Nel gennaio 1935 è invece nominato sottosegretario presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Nominato poi consigliere nazionale nella Camera dei fasci delle corporazioni in qualità di componente della corporazione della previdenza e del credito. Allontanatosi dal fascismo, il 25 luglio 1943 rimane vicino agli ambienti monarchici, intessendo relazioni con il Cln. Ritiratosi poi dalla vita politica, muore nel 1980.


Zanardi Francesco

Poggio Rusco (MN), 6 gennaio 1873

Membro del Psi già dalla sua fondazione, diventa nel 1898 tesoriere della Società operaia di Bologna e nel 1901 viene eletto Sindaco di Poggio Rusco e dal 1904 al 1906 è il vicepresidente della provincia di Mantova. Trasferitosi a Bologna ne diventa assessore alla sanità nella giunta composta da radicali, repubblicani e socialisti nel 1902. Nel 1904, quando i tre partiti, presentandosi divisi alle elezioni perdono, entra in consiglio comunale come consigliere di minoranza e tale rimane per circa 10 anni. Nelle elezioni del 1914 il Psi conquista da solo la maggioranza e Zanardi diventa il primo sindaco socialista di Bologna. Rimane Sindaco fino al 1920. Durante il suo mandato compie numerosi progetti di riforma, tra cui un nuovo regolamento sull’igiene delle case e l’Ente autonomo dei consumi. Questi provvedimenti gli attirano le critiche e il risentimento della piccola e media borghesia cittadina. Schieratosi contro l’intervento in guerra, viene bastonato dagli interventisti nel 1914, i quali poi invadono Palazzo d’Accursio l’anno seguente senza però trovarlo. Nel 1919 viene eletto deputato e nel 1920 è rieletto sia in consiglio comunale che in consiglio provinciale, nel quale sedeva dal 1909. Tra 1920 e 1921 è ripetutamente bersaglio di violenze fasciste e dopo la morte del figlio Libero nel 1922 si trasferisce definitivamente a Roma. Di tendenza riformista, con l’espulsione dei turatiani aderisce al PSUI. Sconta quasi cinque anni di domicilio coatto nel mantovano e torna a Bologna solamente dopo la Liberazione, nominato commissario della Cooperativa bolognese di consumo.


Zanardi Libero

Bologna, 17 maggio 1900

Giornalista, in un primo momento aderisce al Partito Repubblicano e poi al Partito socialista. Figlio di Francesco Zanardi. Al ritorno dalla guerra entra nella redazione della “Squilla” e dal 1921 prende parte alla redazione bolognese dell’Avanti! Dopo una serie di bastonature subite dai fascisti si trasferisce a Rimini, dove a causa di un aggravamento di un intervento di appendicite muore il 9 giugno 1922.


Zanetti Dino

Bologna, 23 maggio 1897

Tenente dei bersaglieri durante la Prima guerra mondiale, ferito all’occhio destro. Nel dopoguerra è alla guida della “Lega Latina della Gioventù” e tra i primi fondatori del Fascio di combattimento del 1919. Con la secessione nazionalista Zanetti fonda la Lega antibolscevica popolare e i Sempre Pronti per la Patria e per il Re. Partecipa poi all’impresa fiumana. Nel 1921 torna a Bologna e ottiene il ruolo di vicedirettore generale dei magazzini ortofrutticoli della Cassa di Risparmio di Bologna e per la sua attività diventa commendatore nel giugno 1923. Nel 1922 partecipa alla Marcia su Roma e nel 1939 ottiene la promozione a capitano di complemento in congedo. Nel settembre 1941 è segretario della sezione locale del Pnf e l’anno seguente direttore della Cassa di Risparmio di Cento. Poi è nel Direttorio del Pnf di Ferrara fino al 1943. Non aderisce al Pfr e alla Rsi.